Adagio è una poesia.
Saburo Teshigawara e Rihoko Sato sembrano fluttuare in un universo marino, acquatico e rallentato e come alghe nella corrente si lasciano trascinare e danzano tra le note di musiche che hanno fatto la Storia.
L’adagio, nella musica classica, è il secondo movimento di una sonata o di un concerto, è qualcosa che viene tendenzialmente dopo un movimento veloce, un allegro. Il secondo tempo si oppone al primo sia per modalità esecutiva sia per tonalità, è il più difficile da suonare perché ha in sé una tensione costante che vedrà la sua risoluzione solo nel terzo movimento. È significativo quindi che questo spettacolo sia composto solo da adagi, in una tensione eterna che i due performer sostengono fino alla fine con movimenti lenti e perfetti dando alla musica senza parole un significato corporeo, di gesti che incidono la scena, la scolpiscono.
Saburo Teshigawara e Rihoko Sato danzano vestiti di bianco in uno spazio illuminato da una luce calda e soffusa sulle note di Mahler, Bach, Beethoven, Mozart, Rachmaninov e Ravel, disegnando una partitura gestuale che accompagna le note della musica. Il duetto che si crea sul palco è un appuntamento impossibile tra luna e sole, sempre distanti e allo stesso tempo simili e dipendenti l’uno dall’altro il cui destino, però, è quello di non incontrarsi mai.
Adagio è una poesia impossibile da descrivere, di cui la parafrasi non può esistere perché avviene nel hic et nunc del teatro.