Poco tempo fa mi sono innamorata del Teatro Out Off, e non escludo che ciò dipenda anche dal bar all’angolo, dove prendo un aperitivo prima degli spettacoli e ascolto gli umori del quartiere. Per esempio ieri sera un architetto e un fotografo di circa 70 anni, chiacchieravano vociando e sbracciando. Accanto a me due donne, l’una protesa verso l’altra, si confidavano le difficoltà del rapporto con i figli adolescenti. Sono andate via presto, lasciando spazio a una coppia di mezza età, che ha ordinato due crodini. Lei leggeva qualcosa sullo spettacolo, recitando ad alta voce alcune frasi per lui che era immobile, muto, impassibile e alla fine, mentre io mi alzavo per pagare, ha borbottato qualcosa sulla lentezza del cameriere.
Fino al 22 ottobre il palcoscenico accoglie tre monologhi, tre voci di donne. Si ride sui disastri familiari di una casalinga senza tempo con vestaglietta leopardata, un marito, un ragazzo, due figli e un cognato tutto ingessato. Si ride sul sesso, sulla gravidanza, sulle favole metaforiche.
Alla fine non si ride più, quando arriva un’appassionata Medea avvolta in un cappotto rosa brillante. Personaggio antico, unisce tutti i precedenti episodi contemporanei, come se improvvisamente, alla fine, ci rendessimo conto di guardare le donne messe in scena da molto lontano, dal 431 a. C.,  con un cannocchiale che le mostra in fila, come fossero madri, figlie, nipoti, pronipoti, e così via, in una lunghissima genealogia.
Ad eccezione ovviamente del brano di Medea, il testo dei cinque monologhi è del 1977, di Dario Fo e Franca Rame, e possono essere recitati tutti o in parte, come in questo caso, in cui sono tre. Tutta casa letto e chiesa è uno spettacolo già storico ma tremendamente attuale, con un ritmo sostenuto e una comicità intelligente. Monica Bonomi l’ha interpretato magistralmente, direbbero i critici, e mentre tutti applaudivano, io ho urlato brava!