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Cinema Godard - Fondazione Prada
Largo Isarco 2, 20139 Milano

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sabato 20 aprile 2024
H 16:00

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Preso a schiaffi da un vento senza odore, me ne stavo lì con la mia guida in mano. La strada non c’era più.
La guida era del 2007. Era il 2013. In mezzo, a Shanghai, c’era stato l’Expo 2010 che aveva cambiato i connotati alla città. Le metropolitane si erano moltiplicate, inghiottendo vie e palazzi. Un gomitolo di nuove soprelevate avvolgeva l’abitato. A Pechino, idem. Un bel pezzo del quartiere di hutong attorno alla Città Proibita era scomparso dalla mappa. Altra guida turistica che finiva in pattumiera.
I cinesi sono così, a un certo punto buttano giù tutto e costruiscono. È come il campo petrolifero di Daqing nello Heilongjiang, edificato sul nulla negli anni Sessanta da un esercito di operai. Poi arrivano le “quattro modernizzazioni” di Deng Xiaoping, il Nuovo sfonda il muro di vetro di secoli immobili, subalterni, ed esonda nella società. Oggi Xi Jinping parla di sviluppo delle “nuove forze produttive”, il modello di crescita dell’èra che verrà. Ma l’ascesa tumultuosa rosicchia le tradizioni e scombussola la realtà delle persone. Sutura ferite nel corpo sociale e altre ne apre.

È su questo pulviscolo umano che Jia Zhangke dirige la macchina da presa.

Dietro l’espansione di un immenso paese c’è una marea di individui che ingrossa e spinge il cambiamento, venendo a sua volta spinta e rimescolata. È su questo pulviscolo umano che Jia Zhangke dirige la macchina da presa. Succede in Al di là delle montagne, con la giovane Tao, contesa da due uomini, uno operaio e l’altro rampante imprenditore di fine XX secolo. Tao farà una scelta, ma vedrà suo figlio emigrare in Australia, farsi chiamare Dollar, e perdere l’identità. O succede col sottobosco criminale di una città mineraria di provincia impoverita dalla crisi economica, ne I figli del fiume giallo, dove nemmeno l’amore resiste a un mondo di valori che si sgretola. Per non parlare di quell’odissea fisica nella classe lavoratrice cinese che è Still life, Leone d’Oro a Venezia nel 2006. I cambiamenti collettivi sono ferite individuali, è una meccanica da cui non si scappa. Uno degli episodi de Il tocco del peccato si chiude col suicidio di un operaio: un volo di alcuni metri, un tonfo liquido. È dichiaratamente ispirato al suicidio di SunDongyong, lavoratore venticinquenne della Foxxcon di Shenzhen, uccisosi nel 2009 per le pressioni ricevute in azienda. Un’altra ventina di dipendenti lo imiterà. Qualcuno ha scritto: «atti corporei di resistenza del nuovo soggetto operaio».

Il cinema di Jia Zhangke è l’epopea a pezzi della grande nazione cinese: alza il cofano e ci mostra il motore di un enorme corpo sociale.

Sono storie che scivolano nell’arte, nel cinema di Jia Zhangke. Ma anche nella letteratura. Da anni in Cina si sta sviluppando un movimento di poeti operai che scrivono della fabbrica e delle proprie condizioni. Lo guida la poetessa Zheng Xiaoqiong, lavoratrice migrante, quelli che in Cina chiamano dagongren e che sono il carburante mobile della macchina economica. Le poesie di Zheng assomigliano al cinema di Jia. Linguaggio semplice, sguardo intimo, ma tutto è uno specchio su cui si riflette l’immagine collettiva. Il cinema di Jia Zhangke è l’epopea a pezzi della grande nazione cinese: alza il cofano e ci mostra il motore di un enorme corpo sociale. Un paese che, fra mille contraddizioni e nuove certezze, si avvia a egemonizzare il XXI Secolo e parte del XXII.

 

Sabato 20 aprile Jia Zhangke incontra il pubblico del Cinema Godard in occasione di una masterclass a ingresso gratuito su prenotazione.

 

Scritto da Ivan Brentari