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gio 30.05 2024

Stratosferica — Utopian Hours / Milan Edition

Dove

Step — Futurability District
Piazza Adriano Olivetti 1, Milano

Quando

giovedì 30 maggio 2024
H 14:00 - 20:30

Quanto

free

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Di Stratosferica e Utopian Hours vi avevamo già parlato in occasione delle edizioni degli anni scorsi. Per ribadirlo in breve, si tratta di un festival costituito da format di dialoghi, discussioni e confronti che coinvolgono architetti, city makers, imprenditori, scrittori e tutta una rosa di figure le cui pratiche e ricerche riguardano la città e i suoi potenziali immaginari, insomma: pratictioners – termine indicativo d’uso recente che riapre la discussione sulle tante pratiche d’architettura e di conseguenza sulle sue condizioni d’esercizio e di progettazione, che fu messo anche al centro del padiglione italiano della scorsa Biennale d’Architettura dai Fosbury, all’interno della cornice “spazialista”, che ben riprendeva la questione degli studi spaziali circoscritti ad aree specifiche.

Questo il framework generico in cui si inscrive Utopian Hours, Festival che racconta quella «nuova sostanza urbana», per dirla con quell’ottima penna di Rem Koolhaas, che sciorina tante buone possibilità quanto un orrendo sciame di problemi e criticità. Com’è dunque che si fa a fare città? Questa è in breve quell’unica domanda che attraversa ogni talk e conversazione, nel tentativo di intercettare da un lato le pratiche attive e attuabili e dall’altro l’immaginario che le sottende. Tant’è che l’anno scorso s’è parlato pure di progettazione su esopianeti, di Marte, di ambienti estremi, quasi intercettando quelle pulsioni che animano la fantascienza utopista odierna, il solarpunk, cosa tutto sommato degna di nota dal momento in cui si parla dell’architettonica di un pensiero entro le quali si articolano le possibilità e gli orizzonti di progetto, vale a dire: le visioni. Di fatto nell’edizione del 2023 ne è uscito anche un manifesto: Manifesto for a new city making, che individuava tre orizzonti costituenti: undensity, egomobility e polyspaces (il secondo è il più fraintendibile, e si riferisce al potenziamento delle infrastrutture di mobilità individuali), che orizzontano le progettualità odierne.

Con questi presupposti, Utopian Hours arriva anche a Milano, per una giornata intera da STEP in Piazza Olivetti, con tre panel tematici, sei speakers internazionali, una piccola fiera con magazine, media e università della città, e una mostra per raccontare Utopian Hours, sia attraverso i partecipanti dalla prima edizione del 2017, sia omaggiando le figure che l’hanno per certi aspetti ispirato (con riferimento a quella corrente tardo moderna, tra Ottocento e Novecento, che hanno spostato le asticelle d’analisi e d’immaginario, come il sempreverde Walter Benjamin o l’Aldous Huxley).

Riguardo i sei speakers internazionali, troviamo Angèle de Lamberterie, coinvolta nel format del Visiting Urban Explorer, dove un placemaker visita in lungo in largo la città, alla dérive, à la flaneur, per poi raccontare visioni e impressioni; Scott Kratz, portato a raccontare l’11th Street Bridge Park a Washington DC; Petra Marko, per la pubblicazione recente di Meanwhile City, una raccolta di 30 casi studio di interventi temporanei in centri urbani; Maria Stamati, per la visione dello studio di cui è Senior Project Manager: MVRDV; Jaanus Juss, per la visione di Telliskivi Creative City a Tallinn, un progetto di cittadella creativa in spazi dismessi secondo un’idea di città autosufficiente; David West, a raccontare dell’omonimo studio e della particolare gestione interna per cui la società ha come soci di maggioranza i dipendenti.

Ultima parola sui tre panel, più settati sul contesto milanese. Il primo, Living or leaving, come immaginerete, riguarda la condizione degli affitti e del mercato immobiliare, di quell’idea di esclusività (ben raccontata per esempio nel romanzo di Michele Truzzi Prima della rivolta) su cui s’erge il costante desiderio di rifuggire alla città. Il secondo, The people-first approach, guarda invece al coinvolgimento delle infrastrutture sociali nella progettazione del “welfare urbano” – che dipende in fondo dallo sguardo con cui s’immagina una città –, mentre il terzo pone una domanda cruciale e spinosa: Who makes the city?.

Dalle città di quarzo di Davis ne è passato di tempo, più di trent’anni. Idem per The Goegraphy of Nowhere, di James Howard Kunstler. In entrambi i casi, le problematiche lì elencate sono tutt’oggi condivisibili, così come le idee più radicali di deurbanizzazione di Murray Bookchin o della città a misura di bambino, di scoperta, di Colin Ward. Vediamo dunque da che parte andremo.

L’evento è gratuito, bisogna soltanto iscriversi qui.

Scritto da Giacomo Prudenzio