Armonika non è un party, non è una festa, non è un incontro o una mostra o una serie di performance o dei concerti, ma tutto questo assieme. In altre parole, quello che vi abbiamo scritto tempo addietro: un varietà traumagico, un palinsesto di pazzi, una combriccola di amici che è diventata un paese come la Gran Garabagna di Michaux, di cui vi riproponiamo uno stralcio particolarmente rappresentativo in questa circostanza: «passeggiano con indolenza, seguiti dalle ancelle con tutto un assortimento di cappe di diversi colori, di cui se ne tolgono una per mettersene un’altra, per poi levarsela subito e mettersene un’altra ancora, senza una ragione apparente, con una serietà che fa scappar dal ridere».
È proprio così: un mondo al contrario. Dove c’è una hotline per sapere il programma. Dove entri e a tutti gli effetti non hai mai ben capito che cosa ti troverai davanti. Dove c’è chi cambia cappello ogni ora e chi cambia capelli ogni minuto, chi blenda l’armonica a bocca come se fosse un sitar cosmico con la strenua convinzione di riscrivere la teoria delle stringhe – e vi convince che è possibile farlo –, chi si sposa (sul serio), chi interpreta la sfinge immobile e intenta a fare indovinelli ai passanti e ai ballerini e ai performer, chi crea pozioni d’amore e acquette lisergiche, chi apre portali nel dancefloor mentre intreccia capelli, chi fa ambient “dindondero” e danze al time-lapse.
Scritto da Giacomo Prudenzio