Non si ferma l’esplorazione del londinese Sam Shackleton nelle vastità del mondo ritmico. Ora le sue intricate partiture percussive non puntano più ne all’oscuro dance floor figlio di dubstep e techno, e nemmeno a un futuro distopico come nel suo capolavoro Music For The Quiet Hour, ma ad un eterno motore estatico. Ascoltare le tre Deliverance Series per la sua nuova label Woe to the Septic Heart fa ritrovare in umide giungle astratte, ad assistere a qualche rituale primitivo dalle origini oscure.

Questa nuova direzione di Shackleton – quasi un recupero “ideale” del ritmo primordiale – si compie definitivamente proprio nei live. È nel club che Shackleton riesce a ipnotizzare la sala senza bisogno di nessun cassone in quattro: lo vedrete zompettare dietro i suoi controller con gli occhialetti da nerd a tessere subdolamente la sua tela ritmica e poi zac! Vi troverete a ballare sospesi sulla pressione dei suoi bassi!