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Cinema Godard - Fondazione Prada
Largo Isarco 2, 20139 Milano

Quando

sabato 13 settembre 2025
H 20:30

Quanto

€ 6/4

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La mia infanzia è stata un discreto andirivieni dagli ospedali. Ho alternato i corridoi di scuola a quelli in linoleum verde, i banchi alle sale operatorie, il tempo tra i libri a quello in attesa delle dimissioni. Non c’era molto che un bambino potesse fare, in quei momenti, se non imparare a memoria i nomi dei reparti: sapevo dire pneumologia e otorinolaringoiatria prima delle tabelline, in pratica. C’erano cartelli da leggere ma, soprattutto, i corpi da guardare. Quella per questi fragili gusci imperfetti non è mai stata una fascinazione morbosa, ma la presa di coscienza che i corpi feriti raccontano storie più profonde di qualunque parola. Forse per questo, quando ho incontrato il cinema di Alejandro González Iñárritu, ho sentito che parlava a una parte intima di me.

Un’ossessione per i corpi e la loro vulnerabilità, una messa in scena che faceva del dolore non un accidente, ma la sostanza del racconto.

È successo all’università, durante un corso di istituzioni di cinema. Ci era stato chiesto di studiare il neo-noir proponendo l’analisi di alcuni film e tra i titoli a disposizione scelsi 21 grammi. Provai a scomporlo per capire se e come rientrasse nei codici del genere, ma mi restituì un valore diverso. Oltre alle storie spezzate e ai personaggi tormentati, c’era una costruzione narrativa frantumata, un’ossessione per i corpi e la loro vulnerabilità, una messa in scena che faceva del dolore non un accidente, ma la sostanza del racconto. È stato lì che ho capito che il cinema poteva essere un giocattolo stratificato, complesso, tridimensionale, capace di aprire abissi interiori. 21 grammi racconta tre destini che si incrociano a partire da un incidente e, al centro di tutto, ci sono i corpi: quello malato di Paul, quello devastato dal lutto di Cristina, quello redento ma marchiato di Jack. Grazie a quel film mi è sembrato che Iñárritu parlasse non solo del dolore dei personaggi, ma anche del mio, di quello che avevo conosciuto fin da bambino.

La scoperta è proseguita a ritroso con Amores Perros, dove i corpi sono ancora più centrali: feriti, esposti, randagi. Octavio che sogna la fuga, Valeria intrappolata nel suo appartamento e nella sua gamba spezzata, El Chivo che porta addosso la stanchezza e i resti di una vita passata. E i cani, che combattono, soffrono, muoiono, diventando il riflesso più diretto dell’umano. Iñárritu costringe a guardare in faccia la violenza della carne, la precarietà che ci accomuna. E ancora, Biutiful: Uxbal, logorato da una malattia terminale, attraversa le strade di Barcellona come un uomo che sa di essere già a metà nell’aldilà. La sua sofferenza fisica diventa specchio della responsabilità verso i figli, delle colpe mai saldate, delle cicatrici che non guariscono. Per me, che avevo passato l’infanzia a misurarmi con certe fragilità, è stato come guardare un riflesso ingrandito della mia esperienza.

Ma i film di Iñárritu non parlano solo di corpi. Li attraversa un altro tema: il destino, le interconnessioni invisibili che legano le vite. Chi ha conosciuto la malattia sa bene quanto un dettaglio minimo possa cambiare tutto (o dare l’illusione di farlo). È la logica crudele di un referto medico ed è la logica narrativa che guida film come Babel, dove ci viene mostrato come un singolo gesto – un colpo di fucile sparato in un villaggio remoto – possa innescare una catena di eventi che attraversa continenti e culture. Qui il destino non è solo individuale, ma collettivo: ci mette di fronte alla nostra incapacità di comunicare, alla fragilità dei confini che ci dividono e insieme ci legano. Ho riconosciuto qui la stessa verità che avevo intuito nella mia esperienza personale: che dietro alle differenze, dietro alle lingue e alle distanze, ci sono paure e dolori che ci rendono simili.

Negli anni successivi Iñárritu ha spostato lo sguardo verso altri territori, pur restando fedele al nucleo emotivo del suo cinema. Birdman ha esplorato il corpo e la mente di un attore in cerca di legittimazione, trasformando la scena teatrale in un labirinto di ossessioni; The Revenant ha portato all’estremo la resistenza fisica; Bardo ha intrecciato ricordi e sogni, identità e appartenenza, trasformandosi in un viaggio interiore e visionario. Queste sono tutte altre storie, ma l’affetto e la vicinanza verso il suo cinema non sono mai scemati e hanno saputo trasformare in immagini universali ciò che avevo conosciuto sulla mia pelle.

Nel mese di settembre il filone #Soggettiva del Cinema Godard di Fondazione Prada ripercorre la filmografia di Alejandro G. Iñárritu, in corrispondenza della mostra multisensoriale Sueño Perro: Instalación Celuloide de Alejandro G. Iñárritu, concepita dal regista messicano premio Oscar e nata nell’intersezione tra cinema e arti visive. L’installazione di Iñárritu sarà allestita al piano terra del Podium. Al primo piano dell’edificio prenderà forma un allestimento visivo e sonoro concepito appositamente per “Sueño Perro” dallo scrittore e giornalista messicano Juan Villoro, creando un secondo livello narrativo partendo da una diversa prospettiva.

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Scritto da Cristiano Bolla