Questo articolo non è stato scritto, ma inviato da un nostro collaboratore via messaggio vocale What’sApp alla redazione di Zero. Lo pubblichiamo scusandoci in anticipo con Dante Alighieri e tutti i grandi maestri della grammatica e della sintassi italiana.
Nella mia casa di Dubai, dove vivo e lavoro, c’è un portariviste della Kartell, che non contiene magazine ma un libro insolito che ha due titoli: Vieni in Italia con me nella versione italiana, in quella inglese Never Trust an Italian Skinny Chef. Un libro che parla di arte, di storie di paese e di scultori, fotografi, artisti in generale.
Questo libro è la vita di Massimo Bottura. Sfogliando le pagine si trovano ricette come quella di un risotto ispirato a Marchesi, viaggi come quello in Francia per mangiare ostriche, incontri con persone. Come Yoji Tokuyoshi.
Yoji è una persona come tante altre, umile, rispettosa e devota al suo lavoro, che è quello dello chef. Ho avuto modo di conoscerlo quando sono tornato in Italia per celebrare un momento importante della mia vita, quello del cammino di Santiago di Compostela. Dato che sono una persona curiosa avevo voglia di provare qualcosa di diverso, e quindi eccomi nel suo ristorante.
Yoji è stato sous chef di Massimo all’Osteria Francescana, il suo braccio destro, ma anche suo fratello. Tuttavia se fossi in Yoji da un lato un po’ m’incazzerei perché il suo nome è sempre è legato a quello di Massimo Bottura, dall’altra parte ne sarei fiero perché per me lo chef emiliano è l’artista màximo che abbiamo in Italia oggi, una grande persona, una grande personalità, come si evince dal suo libro.
Un’altra cosa che mi farebbe incazzare se fossi in lui è l’importanza che viene data alle stelle Michelin (nonostante ne abbia già presa una a pochi mesi dall’apertura): perché stelle o non stelle conta poco, quello che conta è l’attitudine, la passione, la prospettiva di uno chef e del suo ristorante. E qui siamo ai massimi livelli.
Tokuyoshi è un ristorante di cucina italiana e giapponese, quindi né giapponese né italiana, semplicemente un nuovo punto di vista. La cucina di una persona che arriva da un’altra cultura e, avendo studiato dal nostro più grande talento, propone ricette tradizionali e contemporanee al tempo stesso, ricche ma anche minimaliste, trasversali, piene di spunti e nozioni, che guardano sì indietro a Bottura ma fanno intravedere un diverso punto di vista, specchio perfetto di una città che rispetto a dieci anni fa è cambiata tantissimo.
Ho provato il menu degustazione a 100 €, vi scrivo il nome di alcuni piatti che ho mangiato anche se come avete notato preferisco parlare di altro: bruschetta di cannocchie, cannolicchi nel porto, lumache e anguille nella vigna, risotto alla milanese sempre croccante, risotto all’olio evo e “Furikake”, piccione 33 giri: la personalità dello chef si fa sentire eccome. Guardando il menu avrei assaggiato volentieri anche i tortelli di robiola e brodo via Emilia con tartufo nero e la pappa al pomodoro e rap rosse: un motivo in più per tornare presto in Italia.
Ho avuto modo di apprezzare lo staff giovane e il clima festoso, difficilmente riscontrabile in locali di questo tipo. Anche il design mi ha convinto: quando si pensa a un ristorante stellato s’immaginano canoni estetici che non appartengono più a questa era, invece qui si è optato per un arredamento contemporaneo: pareti color smeraldo/petrolio, luna che pende dal soffitto, collezioni di coltelli dello chef in esposizione.
Come sempre sono rimasto fino alla fine (che senso ha andare via dai locali prima della chiusura?), parlando con Yoji di alta cucina, di locali impersonali e di come i cuochi curino tutti i sensi tranne uno: l’udito. Da buon musicista non mi è sfuggita la colonna sonora impersonale.
Ed eccomi al momento dei saluti: ma non aspettatevi un giudizio, chi sono io per farlo? Portiamo rispetto a una persona che si dà da fare, cuoco lavoratore artigiano che sa guardare alla ristorazione italiana con una prospettiva differente.
Grazie Yoji, e grazie Sibilla per averlo avvisato!
Articolo di Ivan Minuti