Ad could not be loaded.

Che fine faranno le opere di Blu a Palazzo Pepoli dopo la chiusura di Genus Bononiae?

Scritto da Salvatore Papa il 8 marzo 2024

È di qualche giorno fa la notizia che Palazzo Pepoli, di proprietà della Fondazione Carisbo, andrà in comodato d’uso al Comune di Bologna che lì vorrebbe farci il nuovo Museo Morandi, trasferendo le opere dell’artista che ora si trovano al MAMbo. Ci sono però diverse questioni aperte, sia perché è ancora in corso una causa legale contro il Comune per riportare le tele del celebre pittore a Palazzo D’Accursio, sia perché non si sa dove finirà tutta la collezione ora conservata in quello che è stato fino a ieri il Museo della Storia di Bologna. Tra queste, è utile ricordarlo, ci sono anche le famose opere di Blu strappate da alcune fabbriche abbandonate.

Ripercorriamo brevemente quella storia: nel marzo del 2016 aprì a Palazzo Pepoli la mostra Street Art – Banksy& Co. L’arte allo stato urbano curata da Luca Ciancabilla, Christian Omodeo e Sean Corcoran. Tra le 250 opere esposte anche alcuni muri disegnati da Blu e prelevati dalle ex Officine di Casaralta e dalle ex Officine Cevolani. Ci si giustificò dicendo che lo scopo dello strappo era “salvarli dalla demolizione per la conservazione e trasmissione ai posteri”, ma non c’era comunque il consenso dell’autore. Il 12 marzo, qualche giorno prima dell’inaugurazione, arrivò la risposta di Blu che, con l’aiuto di diverse persone, cancellò tutte le sue opere nelle strade della città con una colata di grigio. Un gesto dirompente che segnò un prima e un dopo.

Le ragioni dell’atto furono riassunte sul blog dei Wu Ming: “Non importa – scrivevano – se le opere staccate a Bologna sono due o cinquanta; se i muri che le ospitavano erano nascosti dentro fabbriche in demolizione oppure in bella vista nella periferia Nord. Non importa nemmeno indagare il grottesco paradosso rappresentato dall’arte di strada dentro un museo. La mostra Street Art. Banksy & Co. è il simbolo di una concezione della città che va combattuta, basata sull’accumulazione privata e sulla trasformazione della vita e della creatività di tutti a vantaggio di pochi“.

– scorri sulle foto per sfogliare la gallery –

“Abbiamo perso un patrimonio – dichiarò l’Assessore alla Cultura dell’epoca Davide Conte. Il grigio che avanza obbliga a fare un ragionamento per non lasciarlo grigio e a cosa fare ora con la cultura. Ho i brividi, sono scosso e sto soffrendo. Non so se questo significhi che la cultura dei ricchi cancella quella dei poveri, ma nonostante ciò che sta succedendo per me l’opera è ancora vivissima. Ringraziamo Blu e continuiamo a pensare”.

Fatto è che per il Museo della Storia di Bologna quello fu il punto più alto della sua di storia. Dopo iniziò un lento declino accompagnato dalla crisi generale del circuito museale Genus Bononiae, annunciata prima dalla chiusura della Biblioteca di San Giorgio in Poggiale lo scorso anno, poi culminata nella drastica decisione di affidare i cinque siti di Casa Saraceni, Palazzo Fava, San Colombano, Santa Maria della vita e San Giorgio in Poggiale stesso a gestori esterni con un bando che scade il 20 marzo prossimo. Tranne, appunto, Palazzo Pepoli, “salvato” dal Comune nonostante il momento delicato per i musei civici della città e nonostante la Palazzina Magnani acquistata con l’intenzione iniziale di fare lì il nuovo Museo Morandi.

Ok, ma con le opere di Blu cosa si fa? Se la giustificazione originaria era conservarle per renderle disponibili alla “collettività”, adesso chi se ne prenderà cura? Insomma, nel momento in cui bisogna decidere del loro destino è evidente più che mai che ciò che era nato per non avere proprietari è ora comunque soggetto a decisioni private.

Secondo Fabiola Naldi, storica dell’arte, curatrice e docente che da sempre si occupa di arte urbana e segue il percorso di Blu (suo il libro Tracce di Blu) “quelle non sono opere, non esistono”: “Io mi auguro – dice – che quello spazio sia consegnato vuoto. Ma se quei pezzi dovessero rimanere nelle mani del Comune io credo che bisognerebbe disfarsene, perché non appartengono a nessuno”.

L’arte di strada snaturata – scrivevano i Wu Ming un anno dopopuò tornare soltanto al suo punto d’origine, sul ciglio della contraddizione urbana, nell’occhio del ciclone gentrificante. È il milieu stesso che l’ha prodotta a dover sciogliere il paradosso del suo destino, fosse anche con un potlach antifeticistico, per non farla morire di una morte peggiore, cioè sepolta in un museo a uso e consumo degli addetti alla cultura”.

Eppure una porta era stata lasciata socchiusa: “In ogni momento quei muri potrebbero tornare a essere le tele di Blu, come già lo sono ridiventati per altri street artist. Basterebbe volerlo. Per usare una metafora giudiziaria, esiste un modo arcinoto con cui un ladro può avere uno sconto di pena: restituire la refurtiva“.

Oggi, dopo otto anni è molto improbabile che Blu torni a a Bologna, quindi è rimasta forse solo una cosa giusta da fare: riportare gli strappi in strada e dargli l’ultimo colpo di grigio.