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Conoscere per bere: le regioni del whisky in Scozia

Prontuario per il perfetto apprendista degustatore, in vista dell'edizione 2024 del Roma Whisky Festival

Scritto da Roberto Contini il 19 febbraio 2024

Anche se negli ultimi anni abbiamo assistito a un sensibile miglioramento, grazie anche a eventi come il Roma Whisky Festival e alla sempre più maggior diffusione del whisky come distillato nobile nelle carte di ristoranti, pub e cocktail bar, è innegabile che per il bevitore poco assiduo di scotch e dintorni questo mondo presenti ancora qualche difficoltà e navigare tra i vari stili non sia immediato. Quindi, per andare oltre al tormentone “torbato o no?” – che negli ultimi è stato spesso sostituito da “vuoi assaggiare un whisky giapponese?” – abbiamo pensato a una breve e, si spera, efficace guida per orientarsi tra le varie regioni della Scozia e le loro peculiarità, senza scordare che la produzione del whisky non si limita più alle sole regioni scozzesi e il resto del mondo – gli ormai affermati Giappone, USA, Irlanda, ma anche newcomer come India, Taiwan, Francia o Australia – ha ormai raggiunto livelli di eccellenza quasi paragonabili a quelli dei maestri anglosassoni.

La suddivisione canonica delle aree di produzione del whisky in Scozia prevede sei macroregioni: pur senza arrivare alle particolarità del vino, in cui una valle o un territorio danno prodotti spesso diversissimi pur se a pochi metri di distanza, anche per la distillazione la regionalità ha il suo impatto, a maggior ragione se si pensa che gli ingredienti di base sono sempre gli stessi. Da sud e procedendo in senso orario, la ripartizione prevede Lowlands, Campbeltown, Islay, Islands, Highlands e Speyside, che tecnicamente è una sotto-regione delle Highlands, ma ha una densità di distillerie tali da dover necessariamente essere considerata autonomamente.

Ognuna di esse, pur con le ovvie distinzioni e caratteristiche dei singoli produttori, ha delle qualità proprie che permettono di distinguerle con un po’ di pratica e qualche assaggio, che è poi la parte migliore e più divertente! Andiamo quindi nel dettaglio, indicando qualche nota distintiva dei whisky che queste sei regioni producono e qualche etichetta, tra nomi storici e gemme da scoprire.

 

LOWLANDS

Come fa intendere il nome stesso, siamo nella parte bassa della Scozia, appena sopra al confine con gli “ingombranti” vicini inglesi. È forse la regione storicamente meno “vocata”, ma negli ultimi anni è quella su cui si stanno riversando le maggiori attenzioni, con tante nuove aperture interessanti o recuperi di stabilimenti “mothballed” – letteralmente, “messi in naftalina”, ovvero distillerie chiuse ma con le strutture ancora recuperabili – facilitati anche dalla vicinanza con Glasgow ed Edimburgo. Il whisky prodotto in questa zona è solitamente molto spinto sul cerealr, con qualche nota speziata e sentori della tipica caramella “toffee” britannica. Tradizionalmente nella zona si usava la tripla distillazione – al contrario del resto della Scozia, dove il malto viene distillato due volte – ma le nuove leve sembrano aver abbandonato questa tecnica che viene più comunemente associata al whiskey irlandese. In linea generale non si usa la torba e siamo spesso all’interno del Paese, quindi non avremo quasi mai un prodotto affumicato o salino, ma a risaltare sono tutti i sapori più “puri” della distillazione. È un tipo di whisky ideale per chi vuole approcciarsi ad un prodotto meno diffuso, ma, in certo senso, più originale.

Hanno fatto la storia; Auchentoshan, Rosebank (distilleria che è stata recuperata nel 2022 dopo 10 anni di inattività).

Da tenere d’occhio: Daftmill (i loro single cask sono poesia), Eden Mill Park (ancora giovanissimi, ma sembrano sulla buona strada).

 

CAMPBELTOWN

Passiamo dalla seconda regione più estesa a quella più piccola, a oggi patria di sole tre
distillerie. Sebbene Campbeltown sia un po’ in declino rispetto alle altre, rimane comunque un caposaldo, non solo per la sua importanza storica, ma anche perché i tre resistenti sono veramente dei pezzi grossi, che solitamente fanno innamorare anche i palati più esigenti. Siamo a una delle estremità della Scozia, nella parte finale di una penisola nell’ovest da cui, nei giorni più sereni, si riesce a intravedere l’Irlanda del Nord (spoiler alert: ci sono stato, oltre alle distillerie non è che ci sia molto altro da vedere…). Qui ovviamente il whisky è fortemente condizionato dall’aria marina che rilascia un intenso tono salino. Il lavoro in botte fa tutta la differenza del mondo e infatti le tre distillerie producono whisky tutto sommato abbastanza diversi tra loro, pur mantenendo le caratteristiche classiche di Campbeltown, con quelle note fruttate che contrastano l’effetto della brezza marina.

Hanno fatto la storia: Il nome inevitabile è Springbank, il whisky per tutte le occasioni che è nel cuore di ogni appassionato.

Da tenere d’occhio: Io ho sempre avuto un debole per Glen Scotia, che riesce a tirar fuori dei piccoli gioielli nelle giuste mani.

 

ISLAY

Se fino a ora siamo rimasti sulla terraferma – per quanto la Gran Bretagna è pur sempre
un’isola – cominciamo da Islay, pronunciato “àila”, il giro dell’arcipelago scozzese e, in particolare, dalla più meridionale delle Ebridi. Quando parliamo di Islay l’associazione più immediata è “torba”. Oltre a punteggiare il caratteristico paesaggio isolano, questo combustibile naturale è la ragione per cui sentiamo quel classico odore di affumicato nei whisky prodotti sull’isola, casa di otto distillerie storiche (più una in fase di riapertura) in poco più di 600 km². Anche se ormai sono tutte parte di grandi gruppi industriali e solo Kilchoman resiste da indipendente, basta scorrere i nomi per farsi un’idea di quale sia la qualità media: d’altra parte, non è un caso che uno dei soprannomi di Islay sia “l’isola del whisky”. Come detto, pur con qualche eccezione (notevoli gli esperimenti di Bruichladdich in merito), domina il sapore affumicato della torba e la vicinanza al mare dà quella freschezza in più per bilanciare l’intensità di prodotti spesso molto potenti anche a livello di gradazione.

Hanno fatto la storia: Lagavulin, Ardbeg, Caol Ila, Laphroaig.

Da tenere d’occhio: Non scopro nulla di nuovo, ma Bunnahabhain e Bruichladdich ultimamente non stanno mancando un colpo.

 

ISLANDS

Ah, il destino ingrato delle isole! Pur non avendo magari troppo in comune tra di loro, vengono spesso accomunate perché hanno ancor meno da spartire con le regioni al di là dello Stretto. Rimaniamo sempre nella parte occidentale: l’Atlantico soffia sulle coste frastagliate di Arran, Jura, Orkney e Skye. Sono posti incantevoli, c’è da perdersi a ogni tramonto e avere un buon dram di certo aiuta. E per fortuna qui non c’è carenza, anzi! Come per ogni raggruppamento troviamo un po’ di tutto, dal padre di tutti i torbati, ovvero l’ormai sdoganato Talisker dell’isola di Skye, a un whisky più pieno e con un tocco di miele come l’altrettanto iconico Highland Park, solo per citare forse i due più famosi, senza dimenticare le altre chicche che si possono assaporare viaggiando da un’isola all’altra. Personalmente, un posto nel cuore lo ha sempre avuto lo Scapa, massima espressione delle Orcadi, che con un complicatissimo sistema di tubature riesce a far passare l’acqua, già torbata di suo, dalla fonte alla distilleria senza farla affumicare ancora di più nel passaggio.

Hanno fatto la storia: Talisker, Highland Park, Tobermory.

Da tenere d’occhio: Oltre al già citato Scapa, c’è da seguire con molto interesse le nuove aperture di Raasay e Saxa Vord.

 

HIGLANDS

Terra iconica nella mitologia scozzese, nonché la più estesa tra le sei regioni, le Highlands sono a loro volta suddivise in quattro aree, in cui la varietà e i sentori si differenziano molto anche sulla base delle caratteristiche geografiche del territorio. Si va dai whisky più leggeri e fruttati delle zone a sud alle grandi bevute strutturate e con note legnose delle botti prodotte al nord, passando per sapori più affumicati e che ricordano i “cugini” di Islay nelle distillerie sulla costa est. A scorrere la lista dei produttori si capisce già che abbiamo a che fare con dei pesi massimi: Glenmorangie, Pulteney, Oban non hanno certo bisogno di presentazioni, ma ci sono molte distillerie meno note che non sfigurano affatto di fronte ai nomi più affermati. A differenza di altre regioni, i grandi spazi e l’isolamento relativo delle singole distillerie hanno consentito ai master blender, con un lavoro certosino e quasi da alchimisti, di creare delle pozioni uniche e molto diverse tra loro, pronte a scaldare corpi e cuori degli Highlander anche nei lunghi, freddi e piovosi inverni del nord della Scozia.

Hanno fatto la storia: Glenmorangie con la sua classe, Oban con la sua delicatezza torbata e anche il grande classicone Glen Goyne, un whisky pulito, didascalico e perfetto nella sua semplicità.

Da tenere d’occhio: Balblair (che da quasi 250 anni non sbaglia un imbottigliamento) e Clynelish sono nomi tutto sommato già noti, quindi propongo un mio coup de coeur, ovvero Ben Nevis, il loro 10 years old stupisce per complessità e gusto.

 

SPEYSIDE

Per gli appassionati di whisky, la regione dello Speyside potrebbe benissimo essere una specie di Nirvana affacciato sul Mare del Nord. A livello numerico non c’è regione al mondo con la stessa densità di distillerie: scorrendo le strade di campagna dello Speyside, spesso a senso unico alternato, ci si imbatte in una distilleria a ogni curva o imbocco di paesino e tutta la regione è un continuo inno al whisky, tra locande, inn e pub che hanno carte dei distillati che fanno impallidire i migliori bar del resto d’Europa. A livello di produzione, invece, nello Speyside i whisky si distinguono per le loro forti note fruttate e per la loro spiccata dolcezza: la torba da queste parti non è mai arrivata e le caratteristiche si sviluppano più nella fase di affinamento, quasi sempre in botti ex-sherry che consentono di esaltare i sentori di vaniglia e miele tipici della regione. Tra i produttori di spicco ci sono veri e propri giganti commerciali – per citarne tre, Glen Grant, Macallan e Glenfiddich – ma, ovviamente, anche tantissime realtà più a dimensione d’uomo e che puntano su numeri meno imponenti e su alcuni signature bottling imprescindibili (penso ad esempio a Balvenie). La gran quantità di distillerie, che nel passato erano spesso il serbatoio dei grandi marchi per creare i blended malt, fa sì che lo Speyside sia anche un ottimo “territorio di caccia” per gli imbottigliatori indipendenti, che vanno a cercarsi delle botti ancora giovani per poi concludere l’invecchiamento con un twist personale.

Hanno fatto la storia: I nomi sarebbero tantissimi, ma oltre a quelli citati sopra, meritano una menzione d’onore anche Aberlour e Miltonduff.

Da tenere d’occhio: Forse non ci sono grandi tesori nascosti, ma sicuramente qualche nome meno conosciuto da esplorare si trova, ad esempio Craigellachie e Glenburgie, che hanno sempre un posto speciale nel mio armadietto dei distillati e che esemplificano in maniera perfetta le caratteristiche che un buon whisky a mio avviso dovrebbe sempre avere: malto, un sapore fruttato non eccessivo e contrasti decisi tra la dolcezza e la nota alcolica.