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Il Coppedè di Dario Argento

Il quartiere progettato da Gino Coppedè è un luogo di culto per le ambientazioni cinematografiche, incluse quelle del maestro dell'horror

quartiere MACRO

Scritto da Nicola Gerundino il 8 giugno 2022
Aggiornato il 17 giugno 2022

Foto di Francesca Di Paola

Il Coppedè è ammantato da un alone di mistero. Nonostante il suo stile non sia affatto rétro – anzi, tutt’altro –, i suoi palazzi e la sua manciata di strade sembrano conservare un segreto misterico che proviene dai tempi più lontani. Non a caso su questo luogo e sul suo inusuale aspetto abbondano leggende. Neanche a farlo apposta, il quartiere fu ideato nel 1915 da un ente dal nome enigmatico: Società Anonima Edilizia Moderna. Basterebbe questo aneddoto minimale per incuriosire. Come tutti sanno, il progetto fu affidato a Gino Coppedè, architetto che aveva già caratterizzato col suo stile eclettico alcuni palazzi, castelli e ville di Genova, e da cui deriva il nome del quartiere. La predisposizione di Coppedè nei confronti dell’ornamento e della decorazione hanno reso i suoi lavori qualcosa di unico, quanto meno nell’architettura italiana, e l’isolato romano è praticamente un museo a cielo aperto dove poter osservare le sue creazioni.

Metà del lavoro di costruzione del climax e della suspense lo fa da sé questo piccolo quadrante tra Regina Margherita e corso Trieste.

Il Coppedè, proprio a causa del suo massimalismo visivo, è stato usato in molteplici occasioni per ambientare scenari cinematografici, prevalentemente tendenti al genere giallo, al noir e all’horror. Come a dire: metà del lavoro di costruzione del climax e della suspense lo fa da sé questo piccolo quadrante di appena situato tra viale Regina Margherita e corso Trieste. Ne approfittò Mario Bava, girando lì un giallo che farà scuola, sfruttando al massimo i chiaroscuri del bianco e nero, “La ragazza che sapeva troppo”, ma anche Richard Donner per il suo inquietante “The Omen” del 1976, così come Francesco Barilli per il suo thriller psicologico del 1974, “Il profumo della signora in nero”. In quest’ultimo c’è una scena piuttosto caratteristica di un bambino che fa il bagno nella famosa Fontana delle Rane, posta al centro di piazza Mincio. Secondo la leggenda, fecero lo stesso anche i Beatles dopo il concerto del 1965 al Piper, storico locale di via Tagliamento a poche decine di metri di distanza. In tema di bravate è utile ricordare anche la“Roma violenta” di Franco Martinelli, che si aggiunge all’elenco di registi che hanno opzionato l’iconica piazza Mincio come set. Ancora oggi c’è chi continua ad approfittarne, ad esempio Ridley Scott per il recente “House of Gucci”, incorniciandovi, peraltro, una delle scene chiave del film.

Probabilmente non è solo una questione di affetto geografico: la quasi completa assenza di nomi sui citofoni e il fatto che non ci siano ancora oggi negozi o enti con insegne – ma in generale anche la discrezione massima che aleggia, favorita dagli alti muri che costeggiano le case, oltre i quali è quasi impossibile sbirciare – hanno indotto tanti registi a girare in questa zona. E se ce n’è uno che ha reso il Coppedè un luogo ormai consueto per le ambientazioni cinematografiche, contribuendo a ingigantirne l’aura occulta, quello è sicuramente Dario Argento. Il celebre regista romano che ha riscritto le regole dell’horror ha un rapporto particolare con la sua città. Tanto per dirne una, da 1989 ha sede in zona Prati il negozio Profondo Rosso, tuttora attivo, dove è possibile visitare il museo a lui dedicato e acquistare i più svariati prodotti aventi per tema l’horror, il giallo, la fantascienza e il mistero tout court. Al Coppedè Dario Argento ha girato alcune scene di “Inferno”, uscito nel 1980, dieci anni dopo il debutto con “L’uccello dalle piume di cristallo”. Il film inizia nel più onirico dei modi, con una poetessa newyorkese che si mette alla ricerca dell’autore di un misterioso libro, ritrovandosi in una casa allagata e orrorifica. Entra poi in scena Sara, una giovane e bellissima Eleonora Giorgi, amica del fratello della poetessa, la quale, avendo letto una lettera in cui si parla del libro, si mette anch’essa alla ricerca, recandosi di notte – be’, è un film di Dario Argento – in una biblioteca. Scende dal taxi e si ritrova davanti all’imponente palazzo che sta proprio di fronte la fontana di piazza Mincio. Questa scena è un classico del cinema di Argento e mostra alla perfezione la sua idea di surrealismo notturno, con colori abbaglianti che irrompono nella notte. L’effetto è un’inquietudine crepuscolare, caratterizzata da rifrazioni rosa e viola sull’acqua della fontana, finite lì chissà come.

Foto di Francesca Di Paola

Nel corso del film ci sono poi altre bellissime scene girate nell’aula magna dell’ospedale odontoiatrico George Eastman. Anche “L’uccello dalle piume di cristallo” ha radici in questo quartiere, sebbene qualche centinaia di metri più in là: in via Po e in largo di Villa Paganini ad esempio. In questo film sono già presenti molti degli elementi cari al suo cinema. Tanto per cominciare, le riprese esterne, soprattutto notturne, in luoghi privi di persone. Argento per questo suo primo film – un adattamento sceneggiato da lui stesso del libro “La statua che urla” dello scrittore americano di fantascienza e gialli Fredric Brown – decise di affidare le musiche al maestro Ennio Morricone. Si interessò all’idea grazie a Bernardo Bertolucci, che era stato incaricato di far realizzare un film tratto da questo libro e con il quale aveva già collaborato per “C’era una volta il west”. Argento iniziò a lavorare alla sceneggiatura, cambiandola abbastanza, assecondando le sue infatuazioni oniriche e misteriche, per poi cominciare a proporlo ai vari distributori che puntualmente cercavano di modificare il tutto. Per questo motivo, con l’aiuto del padre, decise di autofinanziare il film, anche perché difficilmente avrebbe mai trovato produttori disposti ad accettare questa pellicola insolita: un giallo con elementi che spaziano dall’horror allo psicologico, molto visivo – e in questo la fotografia di Vittorio Storaro ha contribuito parecchio – con una linea narrativa non così ordinaria e soprattutto girato a Roma. Con queste premesse, il film fu inizialmente un flop, soprattutto perché la distribuzione fu concentrata nel Nord Italia. Quando arrivò al Centro e al Sud, invece, iniziarono ad arrivare le prime recensioni positive fino a una nuova ridistribuzione in tutta Italia, diventando nel tempo un cult assoluto, apprezzatissimo anche all’estero.

Leggenda vuole che durante le riprese Argento si innamorò dell’ascensore di un palazzo di via Dora, ricostruendone le fattezze in studio. Altra curiosità: nel 2018 Gucci ha voluto incentrare la sua collezione prefall sulle atmosfere horror chic di Dario Argento. Provate a indovinare in quale luogo hanno deciso di ambientare lo shooting…