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Le Alleanze dei Corpi

Lo spazio della cura

quartiere NoLo

Scritto da Annika Pettini il 10 ottobre 2021
Aggiornato il 18 febbraio 2022

Una delle scoperte poetiche più affascinanti in cui mi sono imbattuta è la radice della parola cura – termine usato tantissimo negli ultimi anni, che scivola di bocca in bocca spalmandosi su tanti ambiti diversi. Le sue origini si legano a questo significato incredibile: inquieta sollecitudine. Ovvero, la vita stessa. Questa connessione ci racconta di un meccanismo che appartiene all’essere umano – andare dove le cose stridono, percepiamo l’aumento di energia sui confini delle zone di collasso, di rinascita, di cambiamento. Sono come fiori e noi api.

In ambito urbano poi, il bisogno di cura è sempre più frequente, sboccia in progetti, cooperazioni tra associazioni, unioni a favore di un agire.
Una situazione recente che ha fatto della cura il suo cardine è le Alleanze dei Corpi, un progetto ampio che si è sviluppato proprio dalla condivisione di visioni e valori da parte di diverse realtà e della conseguente volontà di coesione e co-progettazione. Associazioni quali DiDstudio, Itinerari Paralleli, Progetto Aisha, Prospettive Teatrali e ZEIT, che si muovono sui diversi equilibri della rigenerazione urbana per mezzo della performatività e di contenuti culturali, hanno unito le forze per un obiettivo comune.

Alleanze dei Corpi nasce nel 2019 e si districa nei successivi due anni, complessi e cruciali, assecondando il fiorire di nuovi bisogni. L’innesco è stata la zona di Via Padova, dove i confini si spostano dal territorio al corpo dell’essere umano, nello specifico, in questo caso, a quello delle donne. Zone sensibili in cui nascono molti problemi e fragilità, dove ogni scelta determina possibilità o privazione, azione o immobilità e il corpo diventa la dimensione del tutto. Del tempo, della scansione tra giorno e notte, dello spazio della socialità, della maternità, del gesto e del rito che non sono più scontati, né certezze con cui interagire.
Nel momento in cui si spostano i confini di un luogo, cambia il linguaggio e nascono due necessità: di conservare la memoria delle abitudini del posto da cui si arriva e di sviluppare nuovi modelli di comunicazione nel luogo in cui si è arrivati. Questo è il terreno su cui nasce le Alleanze dei Corpi, come forma di ascolto, racconto, indagine e cura, dello spazio del corpo.

Il movimento non è un’azione scontata, veicola ed è veicolato dalle circostanze – la danza, il benessere, il piacere – sono solo alcuni dei gesti indagati dal progetto per creare un’alfabetizzazione dei corpi, per liberare e tradurre attraverso lavori comunitari.
Ma le pratiche che hanno attuato con il quartiere, l’individuazione dei punti di cura, sono state solo l’inizio del percorso tracciato, dove sono stati chiamati in gioco gli artisti e la loro capacità di mantenere morbide le corde della sensibilità, per interrogare lo spazio pubblico con degli interventi.
Una condivisione per mezzo della dimensione del reale: hanno aperto un palinsesto di eventi e workshop fortemente legati alla performatività e alla cultura, in grado di coinvolgere addetti del settore e pubblico generico, per mantenere viva la voce della cura.

Questa fase dedicata al fare non è il tempo per riflettere e Maria Paola Zedda, curatrice della programmazione di Alleanze dei Corpi, mi ha portato una riflessione importante: “avere un confronto teorico dopo aver fatto tanto vuol dire far atterrare un pensiero. Stare insieme e parlare – come in un simposio dedicato alle pratiche performative – vuol dire mettere a confronto corpo e pensiero. E il confronto è una forma di attivismo che informa e interroga l’arte.”
Questa è stata la fase conclusiva del progetto: una serie di talk capaci aprire e sviscerare l’azione realizzata – evidenziando punti di forza e debolezze – per innescare nuovi processi di consapevolezza e solidarietà culturale.
Soprattutto a fronte dei cambiamenti che stanno investendo il settore delle arti – fonte di cura per eccellenza. Le Alleanze dei Corpi nasce per permettere alla danza, al teatro, alla performance, alle forme di espressione, di coesistere per sottolineare che la disciplina non è vincolante e che i temi sono accoglienti.

C’è, in fondo a questo racconto, un’ulteriore spunto sullo spazio della cura, sul passaggio dalla forma dell’opera a quella dell’operare. La voglia e la necessità di fare, di portare altrove quest’oggi, apre una dimensione fatta di piccoli gesti, di un lavorio continuo che ha la forma di un ronzio. Non espressioni maciste e verticali, ma un sommesso e profondo agire nello spazio orizzontale. Accogliente e conforme a lasciarsi attraversare, dimensione della potenza generativa. Ovvero – l’inquieta sollecitudine.