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Luci su Roma: tra le strade di Ostiense con None Collective

Scenario e ZERO vi portano in giro tra i quartieri della città con delle guide d'eccezione, scelte tra i protagonisti della progettazione, della creatività e dell’artigianato di Roma

Scritto da Nicola Gerundino & None Collective il 31 agosto 2021
Aggiornato il 7 settembre 2021

Foto di Foto di Flavia Rossi/Archivio Scenario

Gli ultimi due anni pandemici sono stati caratterizzati da dinamiche e movimenti agli antipodi: se da un lato la diffusione e la cura vaccinale del Covid hanno rimarcato una certa irreversibilità dei processi di globalizzazione, dall’altro il tempo di resilienza trascorso tra questi due momenti ha riportato tutti con forza a una dimensione iperlocale: quella dell’appartamento, delle strade attorno alla propria casa, dei quartieri, fino a riscoprire la città come una somma di unità e reti. Proprio su questo terreno ZERO ha incontrato nelle ultime settimane il lavoro di Scenario, realtà a cavallo tra Roma e Berlino che indaga il ruolo dell’immagine fotografica nella cultura e nella divulgazione architettonica e urbana, ampliandone la consapevolezza. Da questo incontro è nato Luci su Roma, un progetto editoriale che nei prossimi mesi vi porterà in giro per la città attraverso il racconto e le foto di alcuni dei protagonisti della progettazione, della creatività e dell’artigianato di Roma. Il terzo appuntamento è con None, collettivo fondato da Gregorio De Luca Comandini, Mauro Pace e Saverio Villirillo dall’identità progettuale ibrida, che prende le mosse dal design all’architettura fino a porre al centro della propria ricerca il rapporto tra l’uomo e la macchina: “utilizziamo la tecnologia come strumento per creare narrazioni, pratiche, installazioni e mostre, e indaghiamo i nuovi linguaggi che combinano elementi fisici e digitali”. A loro abbiamo chiesto di parlarci dell’area che circonda il loro quartier generale: Ostiense, zona spuria sospesa tra un passato industriale e “controculturale” e un futuro dai contorni ancora sfocati e confusi.

None Collective: “Uno dei nostri primi ricordi di Ostiense è legato a quelle volte in cui uscivamo da scuola – ma forse a volte a scuola non ci entravamo proprio – e attraversavamo la città per pranzare da Pierino al Gasometro: una storica trattoria in cui Pierino e la moglie servivano fettine panate e gricia. Pierino ci raccontava di quando da bambino aiutava il padre a portare i pasti agli operai dell’Italgas e della Mira Lanza dall’altro lato del Tevere, in bicicletta con il portapacchi carico di teglie di amatriciana. Un’altra memoria indelebile di Ostiense è sicuramente il Centro Direzionale Argonauta, dove si andava per le multe, quelle brutte, o per le sanzioni amministrative: come scordare le scalette sul retro che portavano alla sezione psicologi dove si era costretti ad andare per qualche incontro dopo essere stato sorpreso con un po’ di fumo o erba?

In attesa di riconversione, le ex architetture industriali di Ostiense sono state luogo di diverse occupazioni da parte dei movimenti per la casa e la cultura, pensiamo a Pirateria (Mercati Generali) o Alexis (Acea). Oggi rimane solo la Caserma dell’Aeronautica, l’edificio reso famoso dal grande murales di Blu al cui interno vivono più di 450 persone, che si tiene in vita grazie all’autofinanziamento degli abitanti del luogo. Poi Ostiense è diventata il centro della vita notturna con i locali di Via del Gazometro, come il Sinister Noise e l’Alpheus, e i club di Via Libetta: Goa, Saponeria, Rashomon etc. Prima di diventare un “centro commerciale”, per un lungo periodo anche il grande edificio accanto la stazione Ostiense, l’Air Terminal, ha ospitato concerti e festival. Per molti anni, forse ancora adesso, Ostiense è stata la zona dei manifesti, dei flyer, delle locandine, delle tag. Poi sono arrivati i graffiti e la rigenerazione urbana, attraverso intensi processi di comunicazione e street art.

Quando l’Università Roma Tre ha scelto questa zona come headquarter, sono arrivati i giovani studenti, le pizze al taglio, i print service; e poi le agenzie di comunicazione, i ristoranti modaioli, il sushi, il take away. Una sorta di gentrificazione rimasta superficiale come una pelle truccata, che nasconde sempre la stessa carne: un quartiere popolare, operaio, costantemente intasato dal traffico e dalla monnezza. Era il 2014 quando lo abbiamo scelto e abbiamo fatto di Via Libetta la nostra base, affittando gli spazi da tempo abbandonati di un ex falegnameria che abbiamo poi trasformato nel nostro studio. Un centro di sperimentazione e ricerca e – finché si poteva – di festa e perdizione con Simposio, un programma di incontri, performance e installazioni che abbiamo promosso a partire dal 2017. Lo spazio di quasi 500 metri quadrati è suddiviso su due piani – laboratorio, magazzino e il loft dove progettiamo e testiamo le nostre installazioni. Negli anni abbiamo condiviso lo studio con molti amici artisti e creativi: Franz Rosati, Quiet Ensemble, So What, Noao e oggi gli Ultravioletto.

Nell’ultimo anno e mezzo Ostiense è stata deserta, i locali notturni sbarrati, così come le università, e con loro tutti i ristoratori e i negozianti. Oggi l’Università si allarga con un nuova architettura vetrata; gli enormi spazi vuoti dell’Acea, oltre a ospitare ancora il tanto bello quanto poco visitato museo all’interno della Centrale Montemartini, accolgono accademie di belle arti e incubatori di talenti; i ristoratori riaprono e si appropriano dei marciapiedi e della strada; gli studenti tornano a frequentare. Insomma, c’è aria di ripresa. 

Chissà se l’amministrazione affronterà seriamente gli interventi necessari per il quartiere: la conversione di ciò che resta dell’Italgas (non con lo stadio “daaroma” eh!); i percorsi del Ponte della Scienza, che oggi collega il nulla con il nulla; o il recupero dell’area dell’ex Mira Lanza di cui il Teatro India è una parte – il resto degli spazi sono in mano a famiglie rom che organizzano anche visite guidate ai murales sugli edifici abbandonati: davvero, ci siamo andati! E ancora, l’edificio recuperato e poi demolito dell’ex sede del Gambero Rosso, e gli ormai leggendari spazi dei Mercati Generali, oltre alle tante altre aree vuote, abbandonate o incompiute, e ai cantieri fermi: di fatto spazi negati alla cittadinanza da troppo tempo. Prima che diventi tutto un ristorante in stile “industrial cinese” o un incubatore di creatività non richiesta, l’idea a nostro avviso da considerare è quella di mettere in rete e a sistema gli spazi vuoti o semi vuoti, i capannoni dei carrozzieri, i cortili dei magazzini, le attività produttive e i negozianti per fare un festival dedicato alla trasformazione della città nella città: idee, progetti performance orientati al recupero del patrimonio industriale in maniera condivisa e dal basso, che magari possano anche attrarre altre idee ancora e investimenti. Come recita una scritta sui Mercati Generali “Sulla riqualificazione decide il territorio”.