Quella gran genia della mia amica – che in realtà sono io, voi, tutto il genere femminile con residenza o domicilio a Milano – dice sempre che qui non si rimorchia. Lei ci prova, si impegna, spende pure 15 euro ogni due settimane per la ceretta all’inguine nella speranza di liberare l’impulso freudiano per eccellenza. Niente. Ha provato a inserirsi tra gli ambienti hipster, ma quello che ha portato a casa è stata la playlist dei Nu Guinea; si è infiltrata al Terraforma, due giorni di sbattimenti tra caldo e docce improvvisate nel fiume e niente, se non scambiare due parole sulla techno trascendentale di Donato Dozzy. Ai vernissage si sforza d’andare non perché capisca d’arte, sia ben chiaro, ma perché tenta di capire se quando escono dall’Accademia sanno usare anche altri pennelli. La risposta è sempre no. A Milano non si rimorchia.
Rimorchiare è atto sovversivo in quanto estinto.
Che parola volgare rimorchiare. La lingua italiana parla di cavi, catene, con le quali si trascina un veicolo in avaria. Sembra quasi una pratica bondage, forse non lo è. Lo lascio all’interpretazione della somma Accademia della Crusca, impegnata in questi giorni sul significato della parola eskere. Quella del rimorchio è arte sopraffina, naturale, mai banale o uguale a se stessa. Rimorchiare è atto sovversivo in quanto estinto. Svuotato del suo significante, relegato a pratica obsoleta e agghiacciante, materiale, brutale e brutalista, mortificante della dignità femminile. Ed ecco come l’uomo italicus milanesis si è spento, ritirato, intimidito, imbruttito. A nulla vale che sia nato nella calda terra del meridione, cresciuto a pane, panelle, calcio balilla con mbare Salvatore: una volta atterrato a Milano si monta la testa, si riempie di parole come apericena, sushino, follow up, experience, cerca di entrare alle feste di Burlon, a quelle dei brand dove non succede mai nulla. L’uomo milanese o milanesizzato diventa così becera imitazione di non si sa bene quale stereotipo, a mezza via tra l’influencer di costumi da bagno e l’intellettuale dell’ultimo banco. Una strana malattia direttamente proporzionale al grado di sfiga: più le pretese sono fittizie e inconsistenti, più questo strano personaggio che si aggira per i locali di Milano si pone sul piedistallo delle divinità intoccabili.
La mia amica ha mappato la città in lungo e in largo. Ha suddiviso la notte milanese in base a feste, club, locali che ha frequentato con mestizia in questi anni nel capoluogo meneghino. E pensare che le avevano detto che qui, tra modelli ubriachi, graphic designer in crisi d’identità (e quindi più vulnerabili) e bocconiani con la sindrome di Matteo Renzi, qualcosa si tirava su. Che in parte è vero, ma non era quello che pensava lei. Ecco i suoi consigli, un piccolo vedemecum per evitare di tornare a casa in bianco.
FESTE DEI BRAND E DINTORNI
Che siano auto di lusso, marchi moda altisonanti, brand sportswear che ammiccano alla trap o al versante opposto techno, andare alle feste dei brand è tempo perso. Tutti si guardano, nessuno si parla – se non su WhatsApp -, tutti presi a fare stories e scroccare in maniera quatta quatta due birre calde. Dalla Design Week alla Fashion Weeek il confine è labile. Si gira a caso, si cerca di far entrare il coinquilino usando il nome di qualche pr sentito a caso e si va avanti tra noia e frustrazione fino a che la fame si fa sentire e si va al paninaro non poco distante. Uno sterile presenzialismo che a nulla porta. Livello di rimorchio: 5.
FESTE TECHNO E DINTORNI
Qui si dovrebbe rimorchiare, pensa la mia amica. Tra un drop lanciato dalla consolle e una ripartenza, complice l’ambiente buio e le pillole dell’amore, alle feste techno si dovrebbe creare chimica tra corpi. Invece quello che l’md unisce, il club (milanese) divide. Sia ben chiaro, non sempre è così: ci sono locali o serate, dove il pretenzioso e intellettuale italicus milanesis non va perché considerate truzze, dove ancora il fattore umano conta (vedete alla voce Social Music City). Il resto è un bagno di sangue. Provate ad andare a ballare all’Apollo per capire di cosa si sta parlando. Influencer o pseudo tali che si danno pacche sulla spalla, gare all’ultima Nike Huarache, la bandiera che si sventola è quella del: “You can’t sit with us”. Figurati a scopare. Al Dude, Tunnel e compagnia danzante, la cosa migliora ma l’uomo technuso preferirà sempre la techno a voi. Un po’ come la mamma. All’Amnesia invece buone possibilità se avete fatto prima un corso di napoletano avanzato. Poi son gusti. Livello di rimorchio: 6.
Quello che l’md unisce, il club (milanese) divide.
FESTE HIPSTER E DINTORNI
Gli hipster sono esseri indefiniti per eccellenza. Quella specie maschile che forse è un uomo, forse è una donna, forse ha 35 anni, forse è gay, ma no dai forse è mio nonno. Vagano nei loro feudi fieri del loro aspetto finto povero, finto chic, finto ebbasta. Sotto l’egida del pensiero radical, a tratti da hater, si nasconde la loro impossibilità di avere un’opinione non imposta dal Dio Instagram. E se provi a essere sincera dicendo che di Carola conosci solo Marco, per te è finita. Dallo Spazio Maiocchi passando per l’Elita, pensare di pasturare è come sperare ancora che Ricky Martin sia etero. Livello di rimorchio: 4.
Vagano nei loro feudi fieri del loro aspetto finto povero, finto chic, finto ebbasta.
FESTE TRUZZE E DINTORNI
Bocce di prosecco con fischioni incorporati (seh, magari lo champagne), camicie slacciate, serie A Tim e Bob Sinclair come metro musicale. Il truzzo che pensa di essere fighetto lo trovate nei feudi della movida milanese: tra Hollywood, Old Fashion, The Club e dintorni, qui il rimorchio è pratica ancora accettata. Un po’ maldestri, troppo gonfi di Belvedere vodka, in questi locali eppur qualcosa si muove. Ma Miss Italia per voi termina quando scoprite che il sangue non arriva dove dovrebbe arrivare per sinusiti improvvise. Livello di rimorchio: 6/7.
FESTE GOURMET E DINTORNI
Qui rientra quel vasto universo di inaugurazioni, buffet a scrocco, compleanni dei locali, nuove drink list. L’uomo gourmet o pseudo tale non si ferma davanti ad assalti al cibo o all’angolo bar. Caparbio come gli ateniesi a Troia, si fa largo tra la folla affamata e arriva alla meta. Nel frattempo si muove con lo smartphone in mano e spara close up a ogni singolo piatto che esce dalla cucina. Per lui tira di più una foglia di basilico caramellizata, non c’è niente da fare. Livello rimorchio: 3 (perché sai che fatica con la pancia piena).
Si potrebbe andare avanti all’infinito, la sostanza cambia poco. La mia amica cosa fa? Si iscrive a un corso di yoga, lascia perdere la notte, non compra nessun gatto perché fa già fatica a pensare a se stessa e poi dice le gattare siete voi, italici milanesis in crisi d’identità. E poi gli stereotipi non le piacciono.
Contenuto pubblicato su ZeroMilano - 2019-09-01