Essendo l’Italia il paese della nostalgia e del “si stava meglio quando si stava peggio”, nessuno deve essersi stupito più di tanto dello scetticismo e delle critiche che hanno accompagnato lo spostamento del vecchio mercato rionale di Testaccio dalla sede storica all’interno della piazza omonima a quella attuale, tra via Galvani, via Franklin e via Manuzio. Già l’idea di passare dall’aperto al chiuso fa storcere il naso, figuriamoci in una struttura che di mercato non sa proprio.
I lavori però vanno avanti e nel 2012 il Mercato viene inaugurato. Il progetto è a firma dell’architetto Marco Rietti, che lo descrive così: “L’impianto generale della nuova struttura riprende il concetto dell’isolato di Testaccio scalandolo proporzionalmente fino a divenire la cellula base di tutto il progetto: il blocco di quattro banchi vendita riuniti secondo una simmetria a due assi. Questo modulo, pressoché quadrato di 10×8 metri, è il cuore dell’intervento. L’edificio è a doppia altezza: la parte superiore è esclusivamente dedicata agli impianti e alle schermature che regolano il filtraggio della luce e il passaggio dell’aria”.
Dentro ci sono banchi alimentari di ogni tipo, banchi che vendono oggetti, altri che vendono abiti, poi un bar che dà su una piazzetta centrale, dove c’è anche un affaccio verso alcuni scavi archeologici. Contenuti non eccezionali quindi: il chiacchiericcio pubblico nei primi mesi è tutto centrato sull’intervento architettonico e la struttura in sé. Poi uno scatto copernicano: un vecchio detentore di una licenza per macelleria inizia a servire panini ripieni di carne cucinata con ricette tradizionali romane – picchiapò, allesso, coratella con carciofi, spezzattino, trippa e via dicendo. Lui si chiama Sergio Esposito, un istrione con la “ere”.
Da quel momento il cibo di strada diventa la chiave di volta: il trend è già di suo fortissimo, di gente che lo proponga all’interno di un mercato praticamente non ce n’è, la zona è anche centrale e turistica. Vale la pena tentare. Si arriva così all’alba del 2016 e a un mercato che ormai è una tappa gourmet: difficile stabilire se sia il caso di parlare già di gentrificazione dei mercati rionali oppure se si stia assistendo a qualcosa di nuovo e quindi non definibile. Sicuramente a Testaccio è in corso un esperimento, a cui stanno partecipando in molti. Oltre al già citato Mordi & Vai al box 15 – che nel frattempo ha dovuto munirsi dei numeretti per gestire la fila di affamati – bisogna segnalare Le mani in pasta (box 58) dedito alla vendita e alla cucina espressa di pasta fresca, dalle trofie ai ravioli; Zoé, particolarmente consigliato per i mesi più caldi, essendo specializzato in insalate, centrifughe, estratti di frutta e verdura; In Cibo Veritas (box 57) tappa obbligata per i celiaci, dove viene cucinato un po’ di tutto e tutto è gluten free; Scaramuré, succursale romana dell’azienda con base a Nola (box 75), dove tutto è a base di latte e di bufala.
Gli ultimi cucinieri arrivati segnano un ulteriore step, perché si tratta di due nomi che sulla ristorazione, romana e non, contano parecchio, il che vuol dire che il processo in atto è ormai uscito dallo stadio “larvale”. Il primo si chiama Cups e porta la firma di Cristina Bowerman (Glass Hostaria e Romeo) che, nomen omen, offre sia “tazze” – buone sia per mangiare in loco che per l’asporto – con tortellini in brodo, polpette al sugo o crema di zucca con salsiccia; sia panini di un certo spessore: dal vegetariano (pinoli, uvetta, funghi, cipolla) al polpo con patate e maionese al nero di seppia, dal tomino (intero) fuso con speck e senape alle costine d’agnello in salsa barbecue. Il secondo è Food Box – che ha preso il posto della pasticceria e rosticceria sicilian Dess’Art – che propone i fritt di Supplizio (Arcangelo Dandini) più altre piatti abbastanza fuori di testa, a cominciare dal panino con la quaglia. Bisogna, in ultimo, conferire anche un premio alla carriera: Enzo e Lina, che non cucinano ma sono tra i pizzicaroli più affabili che possiate mai incontrare e fanno anche dei signori panini.