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Nelle viscere digitali della distopia: Jon Rafman

L'artista canadese protagonista di una retrospettiva negli spazi del Basement firmato CURA. dal 28 febbraio al 23 maggio 2024

Scritto da Nicola Gerundino il 7 febbraio 2024
Aggiornato il 8 febbraio 2024

Jon Rafman, Stills from "Egregore IV", 2024 @ Jon Rafman

Con buona pace delle teorie primitiviste – e non è un bene, sia chiaro – la nave della completa digitalizzazione del reale è partita. Il grande salto non è tanto relativo alla quantità di strumenti che utilizziamo e possono aiutarci nella quotidianità, permettendoci di programmare e monitorare qualsiasi attività o di ridurre lo sforzo fisico lavorativo, quanto alla riconfigurazione strutturale della cognizione umana.

Immaginari, memorie, capacità di assimilazione di determinati contenuti a discapito di altri, saturazione e moltiplicazione del visibile e del conoscibile, iperconnessioni, bolle. L’annuncio da parte di Elon Musk del primo chip impiantano nel cervello di un essere umano – appartenente ovviamente a un suo progetto privato, Neuralink – dà la perfetta direzione della traiettoria, lasciando intravedere all’orizzonte neuromanti e singolarità.

 

 

Il lavoro di Jon Rafman nasce tra questi flussi e racconta già il presente, seppure preferiamo credere che si tratti di una distopia ancora lontana a venire. Un lavoro che ha nella fagocitazione e nell’accumulo seriale uno dei suoi aspetti principali – basta dare un’occhiata al suo tumblr o al progetto ongoing “Nine Eyes” che incornicia scene dell’assurdo rubandole da Street View – e disegna un inconscio abitato da tutti gli spettri possibili del web e di un reale che sta battendo in ritirata. La dematerializzazione ha i suoi mostri e le sue aberrazioni e la strada verso il metaverso è lastricata di orrende visioni.

L’idea di Rafman però non è quella di un disegno occulto imposto da pochi eletti alla popolazione: al complottismo – che pure popola di post-verità la rete tutta – preferisce la dialettica, intesa come interazione e influenza reciproca tra un essere umano che si evolve e modifica le sue categorie e una tecnologia che, seppur lanciata a velocità esponenziale, non compare e non si impone in un vacuum. Allo stesso tempo, questa constatazione non gli impedisce di certificare il crollo delle ideologie e della visione messianica propria della Silicon Valley, con un mondo 5.0 “salvato” e migliorato dalla tecnologia in rete.

Scherzando, spesso si dice che migliaia di ingeneri, informatici e ricercatori abbiano lavorato per anni solo per permetterci di sollazzarci con pagine e pagine di meme, sgraziati e sgrammaticati. Ecco, Jon Rafman questa cosa la prende talmente sul serio dal volere andare a perlustrare e svelare cosa ci sia davvero nella mente e nell’inconscio internettiano, mostrandone senza pregiudizio ogni aspetto, anche quello più morboso e orrorifico. Inutile dire che tutto questo lo abbia portate a essere considerato uno degli artisti contemporanei più quotati e influenti e che sia irrinunciabile presenziare a ogni suo passaggio in città.

Questa volta tocca a CURA., che ha fatto le cose in grande immaginando una retrospettiva tutta site-specific negli spazi del suo Basement, dal 28 febbraio al 23 maggio 2024. L’intera architettura della mostra è stata pensata dallo studio BB di Milano (Alessandro Bava e Fabrizio Ballabio); ci sarà una postazione dove potersi immergere nelle sue opere video principali – da “Dream Journal”, con le musiche di Oneohtrix Point Never e James Ferraro, a “Counterfeit Poast”, da “Minor Daemon” a “Punctured Sky” fino ad arrrivare a “Egregores” – poi dipinti e altri lavori ancora. Con l’occasione della mostra sarà presentata anche la prima monografia di Jon Rafman, disegnata da Dan Solbach ed edita proprio da CURA.