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Siamo stati al Dr. Martens Fest

L'idroscalo a ottobre fa tutto un altro effetto: il nostro racconto

Scritto da Beatrice Atzori il 26 ottobre 2022
Aggiornato il 27 ottobre 2022

Dr. Martens Fest 2022

Foto di Arianna Carotta

Dr. Martens Fest, volume due. Tutto è successo ancora una volta all’Idroscalo. Sì, è vero, il bosco del Magnolia a ottobre fa tutto un altro effetto, come il mare d’inverno – non può fare a meno di notarlo anche Giorgio Poi prima di attaccare con Acqua Minerale. Ma tutto era accaduto qui anche un anno fa: il Tough As You Fest, oltre a essere il primo festival organizzato da Dr. Martens a Milano, aveva significato per noi che eravamo sottopalco riappropriarci dopo due anni delle gioie dei concerti in piedi e senza restrizioni. E adesso, a poco più di un anno di distanza – il 22 e il 23 ottobre – Dr. Martens e MI AMI hanno unito di nuovo le forze per farci ballare, sudare, cantare in una due giorni intensissima, con 15 artisti, 8 workshop e 2 talk e che hanno trasformato per 48 ore il Magnolia in fabbrica della musica, annullando le distanze tra artisti e pubblico.

«il bosco del Magnolia a ottobre fa tutto un altro effetto, come il mare d’inverno»

Sì, perché quando c’è di mezzo Dr. Martens, che con il mondo della musica va a braccetto da sempre, la musica la si crea dal principio (e la si sostiene: il ricavato della biglietteria di questa edizione, infatti, sarà devoluto a La musica che gira, associazione impegnata a favore del benessere dei lavoratori della musica e dello spettacolo).

 

Immaginatevi adesso un grande salotto con al centro un tappeto persiano. E poi due cerchi concentrici di persone: in quello interno ci sono Frenetik, LNDFK e Whitemary, in quello esterno ci siete voi, insieme ad altri sconosciuti. Siete seduti per terra su dei cuscini in velluto blu. Potete scegliere se chiudere gli occhi e limitarvi ad assistere o se prendere parte a una jam collettiva. È quello che succede ogni volta che Open Machine – la performance ideata e diretta da Vittorio Cosma – approda da qualche parte. E al Dr. Martens Fest ha fatto ben due tappe, aprendo le danze di sabato e con un bis domenicale (questa volta con Orang3, So Beast e Carlo Corbellini dei Post Nebbia). Lì, proprio sul floor che solo qualche ora dopo avrebbe preso fuoco con le barre di Lina Simons – la rapper afro-italiana classe ’98 che ha aperto la line up del festival – è andata in scena questa piccola magia d’improvvisazione che frulla insieme musicisti che normalmente non potremmo ascoltare in contemporanea. Qualcuno di loro non riesce a non abbozzare il riff di Smoke on the Water, ricordandoci che qualunque cosa il destino abbia in serbo per noi, quando s’inforca al volo una chitarra e s’improvvisa siamo davvero tutti uguali.

La musica si è fatta da zero anche durante Project Together, il format che Dr. Martens ha riproposto dopo il grande successo del 2021, e che regala ad alcuni talenti emergenti un momento di confronto con artisti d’esperienza. I mentori di quest’anno: il duo Frenetik&Orang3, i producer Splendore & Plastica, Fight Pausa e Cosmo. La musica fatta in casa Dr. Martens, secondo un circolo più che virtuoso, risuona poi live direttamente sul palco del Magnolia. È la storia che sta dietro, per esempio, a Darkamore di Ibisco: il brano, pubblicato lo scorso maggio, è il frutto di un lavoro a quattro mani tra Cosmo e il cantautore emiliano classe ‘95 (già parte della line up del Tough As You Fest, unico a fare doppietta), ed è stato concepito proprio all’interno di questo progetto promosso da Dr. Martens, presentata per la prima volta al pubblico a maggio sul palco del MI AMI e riproposta al festival nella serata di sabato.

 

 

Assieme a Ibisco, quest’anno accompagnato da una band tutta sua, nella prima serata anche una raggiante Lina Simons, che ha scaldato la pista al ritmo cadenzato dello Shaku Shaku nigeriano, con rime che switchavano all’impazzata da un perfetto inglese a un liquidissimo beneventano; un ospite internazionale direttamente da Madrid, Ralphie Choo; seguito dalla performance tra jazz ed elettronica, a tratti spirituale, dell’artista italo-tunisina LNDFK, aka Linda Feki; poi il duo di producer romani Frenetik&Orang3, che al festival hanno davvero fatto di tutto, sopra e sottopalco: «suoniamo, improvvisiamo e facciamo i professoroni» – per citare un post di Frenetik – con un live che ha raggiunto le vette durante i blitz di Victor Kwality e Vipra e con il tributo strappalacrime a Coez (con Le luci della città); poi l’attesissimo momento di Massimo Pericolo, per cui un esercito di giovanissimi sostava accampato nelle prime file da ore. Cassa dritta e visual ipnotici rossoturchini con Whitemary, e si inizia a ballare, e si prosegue fino a tarda notte con il djset di Crookers, dall’house all’hyperpop gabberina: è già domenica.

 

 

I live ripartono alle 19. Il la lo danno Katarina Poklepovic e Michele Quadri, il duo di beatmaker bolognesi in arte So Beast, e si prosegue con il rock di Giungla. Poi è il momento del cantautorato tenero di Bais: riga in mezzo e caschetto lungo, forma una coppia perfetta con Carlo Corbellini che inizia a salire sul palco per scaldare la voce, con DNA. Arrivano finalmente i suoi compagni dei Post Nebbia, con tutto il carico di pop psichedelico made in provincia veneta per Gen Z, e il pubblico è in delirio. Da qui è tutto un climax, e non manca lo stage diving. Sono le 22.30 ed è il turno di Giorgio Poi, che può vantare un coro di fedelissimi di tutte le età. Il più giovane ha nove anni e cerca di rimanere sveglio per sentire I pomeriggi. In effetti quando parte ondeggiamo tutti quanti sul suo motivetto iniziale, rapiti dalle ginocchia molleggiate del suo bassista, poi Giorgio ci delizia con Missili – una rarità – e ci saluta con la malinconica Tubature.

La messa finale l’ha celebrata Marco Jacopo Bianchi, cioè Cosmo. E non poteva che essere lui l’officiante del rito che ha concluso la due giorni di Dr. Martens, mandandoci tutti a casa danzanti e di nuovo bambini. Lui che da sempre si è speso per dimostrare l’importanza e la bellezza dell’aggregazione, nel suo valore estetico e politico, sui palchi e per strada. Due ore di set sognante che si sono chiuse sulle epistrofi vorticose di Io ballo, il brano de La terza estate dell’amore scritto apposta per celebrare i corpi vicini, sudati, potenti, dove il noi si mangia l’io. I due slogan della seconda edizione del festival (Nessun musicista è un’isola / Ogni canzone è una comunità) ora hanno un senso. Si fa fatica a lasciare la pista, ma questo è un finale perfetto, e noi non vediamo l’ora di ritornare.