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Dall’1 ottobre nei cinema Straight Outta Compton. Arriva preparato!

La nostra guida ai dischi fondamentali del gangsta rap dagli N.W.A. a Snoop Dogg

Scritto da Roberto Contini il 24 settembre 2015
Aggiornato il 15 ottobre 2015

Quando si parla di determinate correnti artistiche, ci sarà sempre qualcuno che vi dirà: «Vanno analizzate nel loro contesto storico-culturale». Considerazione imprescindibile quando si parla di “gangsta rap”, che con l’uscita del biopic Straight Outta Compton rischia di portare di nuovo a galla questi temi, legati a doppio filo agli N.W.A. (acronimo di “Niggaz With Attitude”, già dal nome una sfida al mondo esterno) – gruppo che ha portato il gangsta rap negli stereo di mezzo mondo – e al background in cui sono cresciuti. La loro presa di posizione era piuttosto semplice, da Compton contro il resto del mondo e senza scendere a compromessi, a partire dal successo ottenuto praticamente senza “air-play” – ovvero senza alcun passaggio in radio, visto che Fuck Tha Police non era proprio l’emblema del politically correct.

Non è un discorso semplice si diceva, ma di base, tutto ciò che di negativo si associa all’hip hop – anche all’interno dei circoli hip hop stessi (violenza, turpiloquio, glorificazione delle armi da fuoco e della droga, misognia) – è frutto di un ascolto superficiale e di mancata contestualizzazione storica. Il gangsta rap ha portato alla ribalta quei temi e ne ha spesso incarnato il manifesto, cercando un difficile equilibrio tra la denuncia sociale dei problemi delle comunità afro-americane e latine alla fine degli anni 80, le esperienze personali dei rapper e una buona dose di story-telling.

Con le gang war tra Bloods e Crips a Los Angeles, l’epidemia di crack e cocaina nei ghetti (spudoratamente neglette entrambe dal “sistema”, fino a che non sono sfociate a infastidire l’establishment della White America) e una situazione di tensione culminata nei riot post Rodney King, non è una sorpresa che certi temi trovassero dei cantori. Come spesso gli stessi interpreti si sono difesi, «Cosa pensavate che potessimo raccontare, l’apple pie sulla finestra e le famigliole felici?».

Il gangsta rap, che ha trovato nella costa Ovest terreno fertile e i suoi maggiori esponenti è quindi il classico esempio di “product of the environment”: a livello culturale, il suo impatto sulla scena hip hop “politicizzata”, fino ad allora ancorata a temi sì scomodi ma più cerebrali, è importante tanto quanto il contributo strettamente musicale. Si potrebbe poi discutere sul seguito di tale denuncia e sull’applicazione degli stessi interpreti a volerla cambiare, oppure sulla virtù musicale del sottogenere una volta esauritasi la spinta iniziale, ma lasciamo spazio alla musica stessa e presentiamo un compendio di dieci album imprescindibili del gangsta rap al suo apice.
Così, quando andrete a vedere Straight Outta Compton, potrete dire di aver fatto i compiti a casa.

BACK TO THE OLD SCHOOL – JUST ICE (1986)

Dare la paternità di un genere o sottogenere non è mai simpatico, anche perché i semi già erano stati sparsi qui e lì da altri, ma Just Ice emerge dal Bronx, da un virtuale anonimato (ex buttafuori nei club di New York) e si presenta con una nuova immagine: tatuaggi in vista, catenoni, denti d’oro e rime totalmente diverse dall’hip hop dell’epoca. Con Kurtis Mantronik alla produzione, Back to the Old School rimane uno spartiacque fondamentale e se non si riconoscono ancora tutti i segnali del gangsta rap, ne evidenza certamente i prodromi e quantomeno lo battezza con la traccia che si chiama, per l’appunto Gangster of Hip Hop. Per stile, rhyme delivery e diversità delle basi gonfie di rullanti e cassa, ha avuto un’importanza seminale nello sperimentare nuove forme di hip hop che verranno poi ampliate e sviscerate.

STRAIGHT OUTTA COMPTON – N.W.A. (1988)

Straight Outta Compton è l’album di questa top ten che troverebbe sicuramente posto anche in un (difficilissimo) best of assoluto dell’hip hop. L’aggettivo che più si addice a descriverlo, e scusate l’anglicismo, è “ground-breaking” – probabilmente non solo in senso figurativo, dato l’impatto dirompente che ebbe sulla scena musicale, non esclusivamente hip hop. «You’re about to witness the strength of street knowledge»: col sapere della strada citato come incipit, nulla è lasciato al non detto, d’altra parte la seconda traccia è una denuncia aperta alla violenza della polizia, quella Fuck Tha Police che è diventata a ragione l’inno dei ghetti e che ha trovato un tragico riscontro nei fatti di cronaca pochi anni dopo, con Rodney King ed altri casi simili. Ice Cube, Dr. Dre, Mc Ren ed Eazy-E, accompagnati da Dj Yella, portano su vinile uno sguardo che denuncia, pur senza voler trovare soluzioni o avvisare delle conseguenze: pura cronaca da Compton, tra droga, drive-by’s, gang e suoni minimali. La ricetta, non convenzionale quanto volete, di un classico, senza mezzi termini.

POWER – ICE-T (1988)

Per certi versi, Power è l’altra faccia della medaglia di Straight Outta Compton: i temi e la denuncia sociale sono tendenzialmente gli stessi di quelli esplorati dagli N.W.A., ma l’analisi tende a differire. C’è più sociopolitica e volontà informativa da parte di Ice-T, che pure a livello di credibilità ed esperienza sul campo della “gangsta life” non è certo da meno. Ice porta queste esperienze nei suoi rap, cantando in prima persona sulle dinamiche della inner city life, aggiungendo un sottotesto di critica che pochi altri dopo di lui sapranno replicare. La canzone simbolo è I’m Your Pusher, che riprende un grande classico del funk (Pusherman di Curtis Mayfield) e la reintepreta in chiave gangsta rap.

LIVIN’ LIKE HUSTLERS – ABOVE THE LAW (1990)

Affiliati e vicinissimi agli N.W.A. (l’album uscì per l’etichetta di Eazy-E e con contributi di Dr. Dre), Livin’ Like Hustlers è sostanzialmente il primo vero tentativo di dare al gangsta rap una sonorità personalizzata, distintiva e che potesse quindi essere riconosciuta al di là delle tematiche. Quello che poi si chiamerà g-funk, al di là delle diatribe su chi lo ha “inventato”, muove dei passi da gigante nell’album di debutto degli Above The Law, che da South Central ritornano sulle tematiche classiche del gangsta rap, ma appoggiandosi sulle innovazioni di Cold187um e KMG, con notevoli influenze jazz e funk nella produzione (le “sirene” usate come appoggio per i beats nascono qui) che verranno poi espanse da Dr. Dre nelle sue esperienze da solista.

STRAIGHT CHECKN ‘EM – COMPTON’S MOST WANTED (1991)

Anche per i Compton’s Most Wanted (o CMW per facilità), la marcia vincente è stata un’innovazione dal punto di vista tecnico. Campionando a piene mani anche loro dal funk anni 70 e guidati dalla creatività lirica di Mc Eiht, i CMW prendono un approccio più leggero, almeno all’apparenza, nel trattare le problematiche di Compton e dintorni. Dopo un album d’esordio (It’s a Compton Thang) promettente, con il loro secondo prodotto Straight Checkn ‘Em arrivano ad una maturità lirica e musicale che viene troppo spesso sottovalutata.

WE CAN’T BE STOPPED – GETO BOYS (1991)

Se la patria del gangsta rap viene a ragione indicata in Los Angeles, non va dimenticato il contributo dei Geto Boys e di tanti rapper di Houston. Dal cuore del Texas, Willie D, Bushwick Bill e l’immenso Scarface si discostano un po’ dallo schema losangeleno del gangsta rap, esplorando tematiche anche più politiche (contro le guerre di Bush padre, ad esempio) o più strettamente hip hop. Ciò non toglie che forse sotto l’influenza della costa ovest e dopo qualche fatto di cronaca che li ha visti direttamente coinvolti, i tre mc’s di Houston virano decisamente verso tematiche più crude, a partire dalla copertina con Bushwick Bill reduce da una sparatoria ed escono con un album che sebbene con qualche passo falso, ha messo definitivamente il Texas sulla mappa del’hip hop, anche grazie a quel vero e proprio capolavoro firmato Scarface che risponde al nome di Mind Playing Tricks On Me.

LIVE AND LET DIE – KOOL G RAP & DJ POLO (1992)

New York non poteva certo rimanere a guardare immobile il trend che arrivava da Los Angeles e dall’ovest e seppur con delle accese differenze, non passa molto prima che gli stessi temi vengano ripresi da mc’s del Queens o del Bronx. Le sonorità rimangono assai diverse, non c’è il funk predominante e anche il taglio delle rime è diverso, tanto da meritare una definizione distinta in quello che si chiamerà “mafioso rap”. Kool G. Rap porta il concetto narrativo dell’epopea criminale a un livello superiore, attingendo a piene mani dal mondo del crimine organizzato e della mob mentality. Non più quindi solo cronache di ghetto e di rivolta sociale, ma una prospettiva quasi cinematografica sul mondo del crimine, applicando la filosofia delle strade newyorchesi alla malavita. L’influenza della West Coast si nota sia nella produzione (l’album fu infatti registrato in California) che nelle collaborazioni, con Ice Cube e i Geto Boys in Two to the Head, mentre l’abilità di Kool G Rap fa il resto, una gioia per tutti i patiti del virtuosismo lirico.

THE CHRONIC – DR. DRE (1992)

Se l’esordio degli N.W.A. ha portato notorietà al gangsta rap, è solo giustizia poetica che uno dei loro membri fondatori (sebbene dopo una litigiosa e acrimoniosa scissione del gruppo) firmasse la pietra miliare del genere, rivedendone i canoni e fissandoli a vette sublimi in quanto a musicalità e ispirazione. Dr. Dre ha preso i germogli del “gangsta funk”, o come diventerà poi noto worldwide “g-funk” e ci ha costruito sopra un’ora di delizia musicale. Mai stato un fenomeno al microfono, il doctor Andre Young (almeno secondo l’anagrafe, ma Dre per tutti) capisce in fretta che per il suo primo album solista deve concentrarsi sui beat e appoggiarsi ad altri mc’s per non gravare troppo il suo compito. Un giovane Snoop Dogg fa la parte del leone in quanto a featuring, ma né lui né gli altri guest riescono a rubare la scena all’uso massiccio di sintetizzatori e linee di basso che non possono non portare alla mente i capolavori dei Parliament o dei Funkadelic. Se ci aggiungiamo un contenuto lirico sempre molto vivido, alternandosi tra feste, erboni di ogni qualità, war on the street (i fatti di Rodney King sono di pochi mesi prima e il Dre di Fuck Tha Police non esita a ricordarcelo appena può) e vecchi conti in sospeso. E sì, sarà un album controverso per alcuni contenuti, il messaggio sociale non va oltre la denuncia schietta e diretta di quanto succede, ma per una volta, dobbiamo pensare solamente a goderci il prodotto finale. A quasi 25 anni dall’uscita, provateci voi a non muovere la testa quando parte Let Me Ride

DOGGYSTYLE – SNOOP DOGGY DOGG (1993)

Con l’entrata in scena di Snoop su The Chronic, prorompente a dir poco, il suo album d’esordio, elegantemente titolato Doggystyle, era uno dei più attesi da tempo. E, nonostante le aspettative, il buon Snoop non delude nessuno, proseguendo sulla falsariga di quanto già mostrato sull’album di Dr. Dre. La ricetta non cambia di molto e il risultato continua a essere ottimo: dal punto di vista musicale (con Dre sempre al comando dei beat), si insiste con dei gran campionamenti funk, che forniscono un’atmosfera rilassata e di puro divertimento a ogni traccia, mentre Snoop come solista dimostra che non era un fuoco di paglia quanto visto su The Chronic. Il suo stile innovativo, un po’ “sbiascicato” si direbbe a Roma (ok, il termine tecnico è drawl, tipica parlata di chi s’è fatto dei gran miccioni), di posare le rime sui beat risulta contagioso e melodico, staccandosi quindi, e pur di netto, da quella tradizione di gangsta rapper che aggrediscono il beat.

SAFE + SOUND – DJ QUIK (1995)

Senza nulla togliere ai due lavori precedenti di DJ Quik, il suo terzo album Safe + Sound porta una ventata di freschezza al gangsta rap degli anni 90, che rischiava di piegarsi un po’ su se stesso dopo l’avvento del g-funk. Quik risponde quindi con il suo “p-funk”, ma decide di muoversi in una direzione diversa: meno sample, più strumenti “live” e sonorità quasi da orchestra in luogo degli ormai abusati beat su cassa e rullante. A metà tra le situazioni da “feelin’ good” e i canoni classici della West Coast, le tematiche di Safe + Sound si potrebbero riassumere con questa frase dall’intro: «All I give a fuck about is music and sex, a fifth of Remy Martin and some big fat checks». Specie per la questione sessuale, possiamo dire che Quik è stato il primo a farne una ragione di stato: le descrizioni delle sue conquiste e prodezze (si veda ad esempio Can I Eat It?) sono talmente vivide che per lui l’adesivo “Explicit Lyrics” rischiava di non essere abbastanza…