Un altro tassello storico della musica live e dal basso a Milano annuncia la chiusura e nella babele italiana di una politica assente (che sembra contemplare, eventualmente, solo “cinema e teatri”) e di iniziative di protesta corali forse non comprese fino in fondo, il nostro pensiero fisso resta sempre lo stesso: chi sopravviverà a questa crisi? Chi rialzerà le serrande non appena si potrà? La preoccupazione non è certo quella di aver perso il gusto di frequentare gli eventi “in persona” – non sarà difficile, lo crediamo, scordarci dei concerti in streaming e buttarci in mezzo al pogo. Piuttosto, la preoccupazione resta quella di ritrovarci a fine emergenza con un deserto culturale. Con un appiattimento della proposta artistica, un azzeramento delle realtà medio piccole, un’omologazione ancora più evidente rispetto alla fase pre pandemica tanto nelle forme di divertimento, quanto in quelle di aggregazione e fruizione di ogni espressione culturale. In tutta Italia, e soprattutto nelle sue declinazioni più peculiari, a misura d’uomo, vicine ai territori e mosse da energie dal basso. Dopo la chiusura di Ohibò e Serraglio nel corso del 2020, il mese di marzo si apre con un lunedì nero, sicuramente per chi negli ultimi quindici anni ha seguito la scena sotterranea della musica live a Milano: quella non solo alternative, cantautoriale, noise, hardcore, connotata da scelte artistiche mai legate ai trend ma, soprattutto, quella guidata da un’attitudine punk, da una vicinanza importante e determinante al territorio e al quartiere di riferimento, quello complesso di Via Padova, completata e amplificata da una programmazione che contemplava anche cinema, teatro, presentazioni di libri e dj set.
Un luogo a metà strada fra una Casa del Popolo e una locale underground all’avanguardia, in mezzo alla via più multietnica, contraddittoria e forse anche innovativa, di una città che cambia pelle ogni anno
Con un post FB stamattina lo Spazio Ligera ha annunciato la propria chiusura, lasciando qualche speranza che non si tratti di un addio definitivo, ma palesando tutta l’amarezza e la difficoltà di resistere e fare delle scelte sostenibili in un momento in cui la tenuta culturale e sociale del paese sembra ancora non passare per questo tipo di spazi, di realtà e proposte, che seppur nella loro frammentarietà sono la linfa vitale per intere fasce sociali. «Non siamo soliti gettare la spugna, non è proprio del nostro DNA, ma quando ci vuole, purtroppo, ci vuole». Si apre così il commiato firmato dai due fondatori, Riccardo Bernini e Federico Riccardo Chendi, che continuano: «Riguardando indietro a questi quasi 15 anni, sappiamo di aver preso sotto gamba i conti, ma detto questo, credo che qualcosa rimarrà di quello che è stato il Ligera, lo Spazio Ligera e le Edizioni Ligera. Di sicuro ce l’abbiamo messa tutta per aprire a Milano un luogo diverso e farlo vivere, ogni giorno e ogni notte, insieme a voi. Un luogo che forse non c’era prima, e che forse non ci sarà più. A metà strada fra una Casa del Popolo, e una locale underground all’avanguardia, in mezzo alla via più multietnica, contraddittoria, e forse anche innovativa, di una città che cambia pelle ogni anno. Siamo resistiti a tutto, al coprifuoco Moratti-De Corato, la storia si ripete sempre due volte, la prima come tragedia la seconda come farsa. Abbiamo retto anche l’urto forte di chi ci voleva taglieggiare, sembravamo invincibili ma adesso ci arrendiamo. Lo facciamo per motivi squisitamente economici, con il cuore non lo avremmo mai fatto».
Quindici anni di concerti rumorosissimi di band italiane ma anche di chicche internazionali memorabili, dai recenti live di Faust’O, Michael Chapman, Matt Elliott e Nick Oliveri ai pienoni e i palchi ribaltati di Vibrators e Dragged Into Sunlinght, attraverso una miriade di formazioni punk, dall’indie americano di POP 1280 e The Men a formazioni locali che non avrebbero potuto suonare altrove se non qui, fino agli esperimenti sotto pandemia dei set “in serie” di Bologna Violenta e OvO e le lunghe notti di Milano Mods. Una presenza coraggiosa e cruciale sul territorio e nel quartiere, capace anche di fare rete con realtà diverse. «Il nostro spazio è sempre stato aperto per le associazioni della zona, questo è stato il nostro personale, ma mai univoco, modo di vedere le cose. Senza via Padova il Ligera sicuramente non sarebbe esistito, e forse anche via Padova senza il Ligera si sveglierà più corta. Noi abbiamo sempre pensato in grande, non quando si trattava di fare i danè, ma sicuramente quando si trattava di fare di via Padova il meglio di Milano», continuano nel post i due fondatori. Nella speranza che sia possibile evitare la chiusura definitiva, magari attraverso un campagna di autofinanziamento come fatto da altri spazi (tra cui la Scighera), “per far passare il magone” dalla propria pagina FB il Ligera ha chiesto alla propria “comunità” di condividere un bel ricordo vissuto tra le sue mura – che si tratti di un concerto ascoltato o organizzato, la presentazione di un libro, qualche spettacolo teatrale, un cineforum o una serata tra amici. Nella speranza che, in qualche modo, si torni presto “a fare un putiferio”.