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Arcangelo Dandini

Intervista ad Arcangelo Dandini, chef a capo de L'Arcangelo e ideatore di Supplizio, avamposto dedicato al suo piatto preferito: il supplì.

Scritto da Nicola Gerundino il 10 novembre 2015
Aggiornato il 23 gennaio 2017

Quando si parla di cucina è un’istituzione, quando si parla di cucina romana è una delle dieci istituzioni capitoline. Chef sincero, innamorato del cibo, della tradizione e della vita vissuta attraverso l’esperienza della cucina. Lo si capisce anche dall’architettura del suo ristorante di Prati, L’Arcangelo, con un pochissimi coperti e un bancone stile bar di fronte la cucina dove chiacchierare; e anche dai piccoli giocattoli d’infanzia sistemati decorativamente sui tavoli, a celebrare il motto “Il cibo è memoria”. Oltre a L’Arcangelo, c’è una seconda attività a Roma a firma Dandini: Supplizio, piccolo avamposto in pieno centro dedicato al cibo di strada e alla passione/tormento culinaria di Arcangelo: il supplì.

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Zero: Iniziamo dalle presentazioni
Arcangelo Dandini: Mi chiamo Arcangelo Dandini, sono nato a Frascati (Roma) il 13 gennaio 1962

Quando hai iniziato a cucinare i primi piatti?
A 12 anni circa, nel ristorante dei miei genitori.

Immagino che vivere in una famiglia di ristorati abbia influenzato più di ogni altra cosa il tuo percorso, sia lavorativo che culinario: puoi raccontarci come si lavorava, quali piatti si preparavano, come veniva vissuta la ristorazione allora e quali differenze ci sono con l’attuale ristorazione?
Nascere e vivere in una famiglia di ristoratori ha influenzato la mia vita professionale fino al tormento, quasi allo spasimo, tant’è che fino a venti anni e spicci non volevo diventare quello che sono oggi. Come si lavorava, lo racconto nel mio libro “Memoria a mozzichi”. La differenza tra ieri e oggi la stabilisce la tecnologia. I miei avevano un ristorante capace di contenere quasi duemila persone e non possedevano un freezer. La qualità era la freschezza del vero km zero. Verdure dell’orto, uova delle nostre galline, patate dei nostri campi etc. La tecnologia serve, purché non diventi uno strumento primario nell’eccesso, soprattutto della conservazione alimentare. Io faccio la spesa tutti i giorni, memore degli insegnamenti dei miei. La cosa più’ brutta di quegli anni era la poca libertà di cui si godeva, per gli orari massacranti a cui erano sottoposti i miei. Ora è molto diverso. Quello del ristoratore rimane sempre un lavoro duro ma non più’ proibitivo. I piatti top erano le paste ripiene, lasagne cannelloni, ravioli con ricotta e spinaci. Gli arrosti e le grigliate, la cacciagione. Ne avverto ancora i profumi,ripensandoci…

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Ricordi in bianco e nero sulle pareti de L’Arcangelo.

Quando, invece, è nata l’idea L’Arcangelo e la volontà di trasferirsi e a Roma?
L’Arcangelo è nato il 10 giugno del 2003, ma non è stato il mio primo ristorante. Ne ho gestito un altro a Monteporzio Catone – il Richelieu, era il 1990. Roma è la luce. Ti attrae con il suo fulgore e come una falena impazzita finisci tra le sue braccia, antiche e cosmopolite. Tutti vorrebbero venire a Roma. Io parlo quotidianamente con decine di cuochi che sarebbero disposti a trasferirsi nella nostra capitale. Quando arrivi una volta a Roma non la dimentichi facilmente, al di là del bene e del male. Problemi a migliaia, ma anche bellezza, cibo a portata di mano nei mercati, sia di pesce che di verdure. Un vero bengodi. Mi sono spostato di qualche km, alla fine.

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Capatura dei carciofi a Campo de’ Fiori.

Negli ultimi tempi c’è un interesse incredibile nei confronti del cibo: che ne pensi? È un interesse genuino o tra poco il cibo per molti tornerà ad essere semplicemente qualcosa per riempirsi lo stomaco?
Penso che sia un bene parlare di cibo e soprattutto di qualità, quella vera e non mediatica. Di cibo bisogna nutrirsi e nutrirsi è l’atto più importante della nostra esistenza. Troppi giocano con gli alimenti e li usano come traino per farsi pubblicità. Come tutte le mode segneranno il passo tra qualche tempo, ma lasceranno il segno, di sicuro perchè nel frattempo avranno creato interesse, soprattutto tra le nuove leve.

Riesci a fare la spesa quotidianamente al mercato?
Sì, anche due volte al giorno.

Quanto varia il menu in base alla spesa quotidiana?
Tanto, spesa e stagione influiscono in maniera netta nella mia carta, tanto che giornalmente ho piatti “speciali”, frutto della spesa appena fatta.

Quali sono i prodotti o i fornitori ai quali non rinunceresti mai? Ce n’è qualcuno in particolare che merita di essere citato?
Sì, High Quality Food. Senza Simone Cozzi sarei finito. Carne, foie gras e tanto altro. E Grizzly, il mio pescivendolo della Garbatella.

Nel menu dell’Arcangelo ci sono diversi piatti visti come dei “classici” che il cliente si aspetta di trovare: ci sono dei momenti in cui avverti questa cosa come un limite e vorresti riscrivere il menu daccapo?
Sì, suppli, l’amatriciana e la trippa. Il mio limite? La carbonara, uno giorno di questi la toglierò dal menu.

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La sala per i commensali de L’Arcangelo.

Al contrario, c’è un piatto che non leveresti mai dal tuo menu?
Il mio piccione al profumo di incenso, Arcangelo e l’inferno.

C’è qualche ricetta della tradizione romana che ancora non hai esplorato, nel senso di trasformarla in un offerta L’Arcangelo?
Una marea di piatti, soprattutto della cucina ebraico romanesca, vero baluardo di tradizione. Noi conosciamo un millesimo dei piatti romani. Siamo legati per via della moda a piatti buoni, ma privi di profondità storica. La cucina romana è tra le più ricche cucine al Mondo e non ha eguali. Possiamo partire dal 46 A.C. con la cucina di Marco Gavio Apicio, passare per la cucina ebraico romanesca, arrivare alla cucina del Rinascimento con Bartolomeo Scappi, cuoco dei papi e finire con l’ultima parte, quella che conosciamo meglio, ma solo in maniera parziale, e cioè la pastorale-testaccina. Le ricette si rivedono, si alleggeriscono in chiave moderna, senza stravolgerle. Non esistono sapori forti o deboli, esiste l’equilibrio.

Un'illustrazione tratta dai libri di Bartolomeo Scappi
Un’illustrazione tratta dai libri di Bartolomeo Scappi

La tua rivisitazione delle ricette tradizionali spesso avviene attraverso un elemento dolce (meringhe, biscotti), puoi dirci il perché di questa tua scelta?
Il cibo è memoria, il cibo ha memoria. Quando mi viene in mente un piatto si formano dei ricordi che mi portano alla mia vita vissuta, è sempre così e sempre lo sarà. Da bambino mangiavo molti dolci che hanno caratterizzato fortemente il mio approccio al cibo. In un‘altra epoca forse sarò stato un pasticciere, chissà. Io cucino quello che piace a me, è ormai assodato.

Qual’è il piatto che preferisci mangiare in assoluto?
Il supplì di riso. L’ho chiamato “Supplizio” perché è un mio disturbo alimentare (e a cui Arcangelo ha dedicato l’omonimo Supplizio, bottega del fritto di strada in via dei Banchi Vecchi, nda).

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I supplì di Supplizio.

Quello che preferisci cucinare?
La coda di bue alla vaccinara, cinque ore e rotte di cottura. Mentre la coda cuoce puoi organizzare un aperitivo a Parigi e ritornare per la cena a Roma. I risotti sono un’altra delle mie passioni in cucina. Quelli, al contrario della coda, richiedono presenza ed attenzione millimetrica.

Dove ti piace mangiare e bere a Roma quando non sei ai fornelli de L’Arcangelo?
Mangiare: Il San Lorenzo, Sora Lella, Settimio al Pellegrino, Armando al Pantheon, Roscioli. Bere: Il Goccetto a via dei Banchi Vecchi e Jerry Thomas a vicolo Cellini.

Un luogo dove consiglieresti di andare per appassionarsi al cibo?
Antica Corona Reale in piemonte e Villa Maiella in abbruzzo. Patrimoni del cibo di tradizione italiana.

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Le tre generazioni di Villa Maiella.