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Bike Block

Identità di quartiere, socialità e ricambio generazionale che viaggiano su due ruote

quartiere Pigneto

Scritto da Chiara Colli il 16 luglio 2020

Foto di Alberta Cuccia

Luogo di nascita

Roma

Attività

Ciclofficina

Non solo gentrificazione, locali food&beverage, stradine che sembrano quelle di un paese pieno di anziani fuori dai bar, fuga di cervelli verso il Nord Europa, musica off e l’Ama che passa a singhiozzo. Il Pigneto è anche quel quartiere dove c’è chi sceglie di restare, e non di scappare, per restituire qualcosa a un territorio che sa dare tanto in termini di esperienze condivise, collaborazioni ed esperimenti/contaminazioni sociali, ma che ha anche un grande bisogno di ricambio generazionale. La storia della giovane ciclofficina Bike Block – nata da poco più di un anno, ma giovanissima anche in termini anagrafici dei suoi fondatori, probabilmente i “meccanici della bicicletta” più giovani a Roma – non parla solo di saperi che dalle ciclofficine popolari si diffondono nel resto della città, di giovani che scelgono di fare gli artigiani, ma anche di un importante ricambio generazionale, di un senso di identità e di attaccamento al proprio territorio che è una delle peculiarità delle esperienze più importanti in questo quartiere. Dall’incontro alla ciclofficina dell’Ex Snia ai mille volti di un quartiere multietnico, Matteo Arcese e Matteo De Berardinis, dal loro bellissimo angolo tra via Antonio Tempesta e via Dulceri, raccontano il loro punto di vista sulle due ruote a Roma e il significato (anche politico) di aprire una ciclofficina proprio qui, dove l’integrazione sociale e culturale e la trasmissione dei saperi può ancora generare circoli virtuosi.

Foto di Alberta Cuccia
Foto di Alberta Cuccia
Foto di Alberta Cuccia
Foto di Alberta Cuccia

Partiamo dall'inizio: come siete arrivati al Pigneto e che tipo di legame avete con il quartiere?

MATTEO D.B.: Io sono arrivato a Roma dall’Abruzzo per studiare all’università, ormai più di dieci anni fa, e sono approdato al Pigneto per puro caso, tramite amici che già ci vivevano.
MATTEO A.: Io, invece, sono nato e cresciuto qui. Negli anni ho assistito a molti cambiamenti: ho visto questo quartiere perdere spazi verdi in favore di numerosi cantieri, ho visto chiudere attività storiche e aprire molti locali, alcuni dei quali hanno portato un valore aggiunto ma molti altri hanno soltanto cavalcato l’onda della gentrificazione; ho visto ragazzi trasferirsi in altre città e all’estero… Anche io c’ho pensato, visto che la mia compagna aveva vissuto due anni in Germania, ma entrambi abbiamo sentito la necessità di dare qualcosa indietro al posto in cui siamo nati e che ci ha visti crescere. Sono dell’idea che ci sia bisogno di fare, di provare ad incidere positivamente nei posti e nel tempo, di provare a migliorare quello che ci è stato lasciato e lasciarlo ai prossimi nella speranza che continuino a prendersene cura. Proprio per questo motivo ho iniziato a cercare posti in cui potessi rendermi utile: il principale è stato l’Ex Snia, dove ho potuto condividere lotte e iniziative di quartiere, poi lì mi sono dedicato in particolare alla ciclofficina popolare, un progetto politico che sul Pigneto ha avuto sicuramente una grande influenza. Proprio in ciclofficina ci siamo conosciuti con l’altro Matteo, che si era trasferito a Roma dall’Abruzzo per studiare.

Ci raccontate un po' la vostra storia e quella di Bike Block? La ciclofficina è molto giovane: da dove arriva la passione per la bici e la volontà di costruire qualcosa proprio qui In che momento e in che tipo di contesto è nata? Da quale esigenza? Vi è sembrato di portare una mentalità, un'attitudine vostra?

La bici l’abbiamo scoperta a Roma come mezzo chiave per vivere la città e come scusa per sporcarci le mani. Non abbiamo mai capito come si possa preferire aspettare un’ora un notturno piuttosto che pedalare per 10 chilometri partendo quando si vuole… La macchina, poi, una vera follia pensare di potercisi spostare dentro Roma! Noi ci siamo conosciuti alla ciclofficina dell’Ex Snia: le ciclofficine popolari sono spazi incentrati sulla condivisione dei saperi, quindi se sei curioso lì puoi trovare spazi, strumenti e qualcuno disposto a spiegarti come si aggiusta una bicicletta. E da quel momento sei pronto a ritrasmettere al prossimo che ne ha bisogno ciò che hai imparato. Con poca esperienza e poco sforzo la bici ti ricambia restituendo indipendenza e libertà di movimento, poi se a questo accosti un’attitudine alla manualità e il bisogno di lavorare… Così siamo presto diventati meccanici per professione. Dopo anni passati a lavorare in posti e realtà diverse, ad esempio anche come corrieri in bici – pratica che chiaramente non ha inventato Deliveroo – ci siamo trovati entrambi, nello stesso momento, a cercare un altro lavoro. In un ambiente dove, come capita spesso, l’unica richiesta è quella di tirocinanti da sottopagare, la sola strada possibile ci è sembrata metterci in proprio per vedere se con le nostre competenze e attitudini, che sono certamente più da artigiani che da commercianti, potevamo comunque farcela. L’alternativa era abbandonare un mestiere che avevamo coltivato o abbandonare la città. Abbiamo deciso di aprire proprio in questa zona, che a dirla tutta non sapremmo stabilire se sia più Pigneto o più Torpignattara, per vari motivi: non c’era un’alta densità di officine, ma pure perché uno di noi ha lavorato in zona Ponte Milvio e si sentiva estraneo all’ambiente, e perché dopo aver valutato di aprire in altre zone che non erano questa ci sembrava strano avviare un’attività su strada in un quartiere che non conoscevamo.

Come è stata accolta inizialmente la ciclofficina nel quartiere? La bici è sicuramente un mezzo che induce a fare rete, a creare collaborazioni e complicità tra chi la utilizza...

Il vicinato si è subito mostrato felice, sia di vedere dei ragazzi che facevano un mestiere associato da molti a un volto anziano, sia che aprisse un’attività che aggiungesse un servizio e che non fosse un bar o un alimentari – che in zona di certo non mancano. Fino a pochi anni fa di ciclisti urbani non ce n’erano tanti: questa cosa di essere un po’ alieni nel traffico creava una certa complicità e quest’ultima è stata sicuramente uno dei collanti/motori della Critical Mass, che poi andando avanti nel tempo si è trasformata in vere e proprie amicizie e collaborazioni lavorative.

La bici, se usata quotidianamente e come mezzo per spostarsi, è quasi uno stile di vita, una scelta politica. Che tipo di clienti avete e come vi sembra che sia l'attitudine verso la bicicletta dei romani?

L’attitudine negli ultimi anni è certamente cambiata molto: fino qualche anno fa la bici era vista come una stravaganza, adesso notiamo una forte inversione di tendenza e comincia ad avvicinarsi alla bicicletta anche chi non parte direttamente da una scelta politica. Quest’ultima, inaspettata esplosione potrebbe essere per Roma un apice o un inizio – speriamo la seconda; di certo ha portato alla luce ai più il fatto che la bici sia un effettivo mezzo di trasporto piacevole e intelligente, non solo un hobby o un feticcio. E poi crediamo che, venendo usata sempre di più da una fetta molto trasversale di persone, come conseguenza sia possibile abbattere quella barriera identitaria tra automobilisti e ciclisti.

Come vi sembra che sia la mobilità al Pigneto - che magari nella sua dimensione un po' "autosufficiente" permette un mezzo come la bici anche per i più pigri - e a Roma? Vi sembra un po' cambiata/migliorata negli anni o viceversa? Credete anche voi che Roma non sia una città da bici per via dei saliscendi - e per l'inciviltà degli automobilisti - o abbiamo qualche speranza?

Roma è una città ciclabile e il Pigneto è, a nostro avviso, ciclabile tanto quanto altre zone come Centocelle, San Giovanni, Prati, Quadraro… L’utilizzo della bici, almeno nel quartiere, è certamente alla portata anche dei più pigri. Perché diciamocelo chiaramente: usare la macchina per spostarsi all’interno del proprio quartiere – e non sono in pochi a farlo – è davvero eccessivo. Chi ha paura di utilizzare la bici e soprattutto di cominciare a farlo è spaventato dalle automobili, o meglio da chi l’auto la guida senza considerare l’eventualità di incontrare un ciclista; quindi sfrecciando fra un semaforo rosso e il prossimo, inveendo contro chiunque gli si pari davanti… Figuriamoci poi se è un maledetto ciclista! Sicuramente più persone prendono coraggio e iniziano a pedalare per le strade di Roma, meno ci si sente soli, più si è considerati e quindi più si è al sicuro. E tutto questo genera un circolo virtuoso.

Tre consigli alla sindaca per invogliare i romani all'utilizzo della bici.

Dare in mano la gestione della ciclabilità a chi veramente si sposta da anni in bici a Roma e ne conosce i vantaggi e le criticità. Iniziare con ciclabili temporanee disegnate a terra, facili da realizzare, da modificare e da manutenere, e non ciclabili arancioni con cordoli di travertino mal costruite e super costose. Infine sarebbe bellissimo se si iniziasse a lavorare a parcheggi sotterranei per le automobili – come in altre città d’Italia e d’Europa – in modo da poter avere non solo carreggiate molto più ampie per auto e bici ma anche marciapiedi più larghi.

Come scegliete la bici da usare? Ci dareste qualche dritta per scegliere una bici adatta a Roma?

Ci teniamo a sfatare subito due falsi miti: no, le gomme tacchettate micidiali non aiutano con l’asfalto bagnato; e no, gli ammortizzatori non sono essenziali per l’asfalto dismesso, la loro funzione può essere sostituita da copertoni generosi – tenuti alla giusta pressione – che non incidono eccessivamente sul peso della bici e non vanno a disperdere l’energia applicata alla pedalata. Negli ultimi anni hanno spopolato le bici Gravel, che fondamentalmente sono bici da terreno misto e sconnesso – quindi ottimo per Roma – senza ammortizzatori, più o meno “corsaiole”. In sostanza bici da “corsa” con gomme grosse, generalmente con attacchi per portapacchi, ideali per l’asfalto romano, per le scampagnate con gli amici e per i viaggi d’estate. Siamo comunque sostenitori anche delle MTB rigide vecchio stile o delle bici da passeggio per l’utilizzo urbano… Secondo noi, c’è sicuramente un comune denominatore per tutte: il telaio deve essere d’acciaio, poi per adattare la bici alle proprie esigenze basta andare in un’officina e farsi due chiacchiere con un meccanico.

Tornando in quartiere: secondo voi ci sono dei "simboli" caratteristici del Pigneto, a cui siete affezionati o che trovate particolarmente rappresentativi?

Piazza Persiani Nuccitelli è un luogo cardine della socialità a Roma Est, vede alternarsi iniziative organizzate dal comitato di quartiere e altre realtà come per esempio la Brigata Preneste – gruppo di ciclisti, di cui facciamo parte, che si dedica alle pedalate ma anche a iniziative legate al territorio. Siamo indubbiamente entrambi legati a Via della Marranella, emblema della condivisione e integrazione fisica e culturale, dove diverse realtà coesistono a stretto contatto sfruttando pienamente gli spazi pubblici. Proseguendo lungo la Casilina e costeggiando i binari del mitico “trenino giallo”, si può arrivare a Via del Mandrione, ora in parte chiusa alle auto, dove c’è un surreale mix tra capannoni industriali e resti dell’acquedotto romano.

Quali credete siano le maggiori criticità e i maggiori punti di forza del Pigneto?

Ci chiediamo come mai l’Ama non lavori al Pigneto con la stessa cura che in altre zone, come ad esempio Prati. Sembra che il quartiere dal punto di vista della raccolta dei rifiuti venga un po’ trascurato. Però è a misura d’uomo, ci si incontra tutti fra marciapiedi e piazze, si socializza e nascono muove collaborazioni.

Dovendo riassumerla, quale credete sia l'identità del quartiere?

L’anima del quartiere è estremamente variegata: per noi parte dalla musica underground supportata dai vari Circoli di zona e arriva alla gentrificazione, dai locali hip per mangiare e bere alla rete di supporto sociale, passando per i tornei di Badminton in Largo Perestrello a cura della comunità del Bangladesh, il coatto antico che lascia il macchinone sulle strisce pedonali, la moschea, la chiesa evangelica cinese, il cibo di strada bengalese e chi più ne ha più ne metta.

Quali sono i luoghi che frequentate di più del quartiere? Sapreste indicarci un percorso di posti di fiducia che raccomandereste?

Vi consigliamo di partire con una ricca colazione da Banglar Shaad, proseguite il giro fra Villa de Sanctis e il parco San Galli, giusto una spulciata alle bancarelle all’incrocio fra via di Torpignattara e via Casilina, poi risalendo una tappa da Hop Corner per rifocillarsi e fare due chiacchiere. Se vi interessano i dischi non potete non fare un salto da Radiation Records, aperitivo con una buona pinta da Birra +, per poi terminare con un bel concerto live al Fanfulla 5/a – e se andate di questi tempi ricordatevi di prenotare!