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Coloriage: una nuova moda interculturale, etica e sostenibile

A un anno dall'apertura dello store-laboratorio di via della Lungaretta, abbiamo intervistato Valeria Kone, fondatrice del progetto di sartoria sociale che si muove tra i quartieri di Trastevere e Testaccio

quartiere Trastevere

Scritto da Nicola Gerundino il 15 novembre 2023
Aggiornato il 16 novembre 2023

Luogo di residenza

Roma

Anni fa il termine “glocal” era diventato una chiave per leggere e dare forma alla contemporaneità caotica di inizio millennio, in risposta alla più selvaggia e irruenta globalizzazione. Anche se non più all’ordine del giorno, questa parola potrebbe prestarsi perfettamente per una descrizione breve, ma estremamente significativa, del progetto Coloriage, fondato e portato avanti da Valeria Kone. Da un parte il “local” di Roma, con il laboratorio che nasce negli spazi del Villaggio Globale a Testaccio, per poi sdoppiarsi e ibridarsi con uno store a Trastevere; dall’altra le dinamiche “global” che intersecano la vita quotidiana di ogni persona e nazione: le migrazioni, la multiculturalità, la sostenibilità, l’ambiente, il riciclo, il lavoro, la formazione. Al centro di tutto, come un ideale telaio che unisce i fili, c’è l’abbigliamento e la moda. Coloriage infatti è un progetto di sartoria sociale che mescola batik e stoffe artigianali dell’Africa, tessuti recuperati da dead stock di aziende italiane, designer e artigiani che vengono formati in maniera gratuita. I primi passi Coloriage li ha mossi nel 2019 come scuola all’interno del Villaggio Globale, due anni dopo si è costituito come impresa sociale e nel 2022 ha preso vita anche la sede di via della Lungaretta, dove, oltre alle attività di laboratorio, è possibile trovare e acquistare i capi delle varie collezioni e collaborazioni. Propio in occasione del primo compleanno dello spazio trasteverino, abbiamo deciso di farci raccontare tutto di questo progetto dalla sua fondatrice.

 

 

Come e quando nasce Coloriage?

L’idea nasce dal mio passato lavorativo nel settore della moda che mi ha aperto gli occhi sulla criticità dei processi produttivi della “fast fashion”, sia da un punto di vista ambientale che sociale, soprattutto nel continente asiatico. Inoltre, e in modo determinante, la nascita di Coloriage è legata alla mia scoperta della cultura tessile dell’Africa dell’Ovest, del Mali in particolare, in cui c’è una bellissima e antichissima tradizione di tessitura e decorazione artigianale. Viaggiare nei Paesi a basso reddito mi ha permesso di constatare come in molte zone dell’Africa e dell’Asia la sartoria artigianale sia ancora più comune del prêt-à-porter: ogni strada ha la sua sartoria, mentre i negozi di vestiti si contano sulla punta delle dita. Coloriage nasce da queste esperienze. L’idea iniziale è stata promuovere e preservare l’artigianato tessile nell’Africa dell’Ovest, producendo tessuti in loco e importandoli in Italia per poi trasformarli in collaborazioni con designer e artigiani rifugiati e migranti che, per quanto numerosissimi nel nostro territorio, difficilmente riescono a trovare un lavoro adeguato alle loro competenze. La realizzazione di questa idea ovviamente non sarebbe stata possibile se non avessi conosciuto le persone che hanno animato con me e il progetto, in primis incredibili artigiani/e, rifugiati/e e migranti con cui collaboro sin dagli inizi.

Raccontaci dei primi passi di Coloriage dopo la nascita.

Il primo ostacolo con cui si è scontrata l’idea di una sartoria sociale che producesse un brand di moda etica è stata la differenza tra le tecniche sartoriali in Africa o in Asia e quelle europee, vale a dire la necessità di una formazione preliminare delle persone coinvolte nel progetto. Proprio per questo Coloriage nasce nel 2019 come progetto di scuola di moda gratuita. Se si considera, come accennavo prima, che la sartoria nei Paesi a basso reddito è essenzialmente su misura, cioè ogni abito è progettato per il singolo cliente, è evidente come questo tipo di lavorazione sia diversa da quella di un brand di moda europeo, che prevede la produzione in serie e lo sviluppo di taglie. Di fatto, nelle sartorie comuni in Africa o in Asia non si usa il cartamodello, che invece è alla base delle nostre tecniche. C’era dunque bisogno di una formazione iniziale, che non sarebbe potuta decollare se non avessi avuto la fortuna di incontrare professionisti e docenti del settore con una forte vocazione sociale, come Clara Tosi Pamphili, Alessio de’Navasques e Anthony Knight, che hanno preso parte al progetto permettendoci di offrire una formazione di eccellenza a rifugiati e migranti con un background artigianale o creativo, che non avevano i mezzi per frequentare una scuola di moda. Al contempo, sarti migranti esperti, come Khassim Diagne, sarto artigiano senegalese con un’esperienza ventennale in Italia, hanno avuto un ruolo decisivo nel progetto come mediatori e formatori, seguendo gli studenti rifugiati e migranti della scuola quotidianamente e diventando co-fondatori insieme a me del progetto Coloriage. La scuola all’inizio era completamente autofinanziata, eravamo strutturati come un ente no-profit, organizzando eventi di crowdfunding in cui i primi capi prodotti con gli allievi valevano come ricompensa per le donazioni a supporto. Grazie alle nostre competenze pregresse nel settore, alla formazione di eccellenza offerta e alla bellezza e qualità dei tessuti impiegati, la produzione si è velocemente consolidata e dopo due anni, nel 2021, è nata l’impresa sociale Coloriage, dove oggi lavorano i primi otto studenti della scuola.

Coloriage ha sempre avuto la sua casa a Trastevere o le attività sono iniziate in un altro quartiere della città?

In questi giorni abbiamo festeggiato il primo anniversario del laboratorio-negozio nel cuore di Trastevere, all’angolo tra via della Lungaretta e via della Luce, dal lato di Santa Cecilia, a pochi passi dall’isola Tiberina. Fino a un anno fa avevamo un solo laboratorio a Testaccio, nel plesso dell’Ex Mattatoio, nei locali di Villaggio Globale, adiacente alla Città dell’Altra Economia. Il Villaggio Globale oggi è un grande spazio di coworking di artisti e artigiani, un luogo molto stimolante in cui nascono sempre nuove collaborazioni e idee. Al momento abbiamo quindi due spazi: a Testaccio il laboratorio di produzione e la sede di molti dei corsi del progetto formativo, a Trastevere il negozio e il laboratorio di sartoria.

Come nasce sede di Trastevere di Coloriage?

Il locale è accatastato come laboratorio artigianale, per cui è possibile vendere solo capi prodotti da noi. Di fatto trovo riduttiva la parola “negozio” per lo spazio, che invece è pensato come un luogo di promozione e produzione di una nuova moda: interculturale, etica e sostenibile. A ogni persona che entra viene raccontato il progetto, ogni capo esposto per la vendita porta con sé un cartellino con il nome dell’artigiano che lo ha realizzato e il tempo impiegato a produrlo. Inoltre, tutti i capi acquistati possono essere perfezionati su misura dai sarti presenti, con il risultato di un capo di qualità con un fit perfetto che ci accompagna nel tempo. C’è un grande tavolo e un divano in cui è possibile consultare letteratura sulla moda etica, sui tessuti africani, magazine di arte e moda e la rassegna stampa Coloriage. Infine, organizziamo regolarmente talk, eventi e incontri su questi temi.

Com'è il rapporto con il quartiere?

La parte di Trastevere in cui ci troviamo è ancora prevalentemente abitata da residenti e quindi con il passare dei mesi abbiamo coltivato nuove bellissime amicizie e relazioni di vicinato. A pochi passi da noi c’è la storica libreria Griot, dedicata alla letteratura africana e sull’Africa, con cui abbiamo collaborato in occasione della prima edizione del festival Roma Diffusa. Stanno poi aprendo tanti spazi d’arte e artigianato con cui ci sentiamo affini.

Prima di parlare nello specifico delle attività di Coloriage, mi piacerebbe avere un tua visione di cosa sia un laboratorio di sartoria a carattere sociale. Che opportunità può dare e che dinamiche può/deve sviluppare al suo interno?

Credo che un laboratorio di sartoria sociale debba promuovere una concezione della creatività e del lavoro priva di diseguaglianze sociali. Nel nostro caso ciò equivale a garantire formazione gratuita e strumenti di espressione creativa a designer e artigiani rifugiati e migranti, che difficilmente riescono ad accedere ad accademie di moda o al mercato del lavoro in Italia. Strettamente legata a questa concezione della produzione è l’idea di disegnare collezioni che rappresentino una società multiculturale, che in Italia è sempre più ampia ma ancora non trova molti spazi di espressione. Quest’idea si traduce in un design che unisce alta sartoria italiana con tessuti africani, con un rimando nello stile al minimalismo giapponese, dalla vestibilità adatta a corpi e forme molto diversi, perfettamente unisex. Inoltre, nel nostro laboratorio sostenibilità sociale e ambientale sono inseparabili. Le collezioni Coloriage utilizzano esclusivamente tessuti in fibre naturali e portiamo avanti un progetto di economia circolare di recupero di stock di lane, velluti e cachemire di aziende tessili del Nord d’Italia, che ci permettono di produrre capi di altissima qualità a basso impatto ambientale.

Ci puoi raccontare della scuola di moda di Coloriage? Chi insegna, chi sono gli allievi e cosa si apprende?

Come accennato, l’idea di una formazione gratuita per rifugiati e migranti è nel DNA di Coloriage. Per un progetto fortemente sociale ma indipendente e autofinanziato come il nostro, investire nella formazione è un obiettivo ambizioso e non privo di ostacoli. Tuttavia, siamo molto fieri del risultato. La formazione di alta qualità, insieme alla fortissima determinazione degli attori del progetto e degli studenti coinvolti, ci ha permesso di creare in pochi anni un team eccellente e affiatato. Al momento il progetto formativo è strutturato attraverso due percorsi principali. Organizziamo dei workshop intensivi di dieci/quindici giorni, circa quattro volte l’anno, a cui prende parte tutta l’equipe, nessuno escluso, con docenti e designer internazionali che ci aiutano nella creazione di nuovi modelli, grazie ai quali perfezioniamo i nostri capi e le tecniche di confezione. Poi, ogni sei mesi circa, attiviamo tre nuovi tirocini formativi in collaborazione con centri di accoglienza del Lazio e cooperative che lavorano nel settore accoglienza. Tirocini rivolti a designer e artigiani rifugiati e migranti arrivati da poco in Italia. I tirocinanti hanno delle borse di studio erogate dai centri e Coloriage copre i costi della formazione, che consiste in un tutoraggio individuale quotidiano volto all’insegnamento delle tecniche di modellistica e confezione europee. Nei momenti di crescita aziendale siamo riusciti a inserire alcuni tirocinanti nel nostro team, negli altri casi li abbiamo aiutati a cercare lavoro in aziende esterne. Il nostro sogno nel cassetto è dare vita a una vera e propria scuola di moda, con un programma completo per l’intero anno accademico, ma al momento è un progetto irrealizzabile senza un finanziamento esterno. Riguardo ai docenti, i percorsi più duraturi e fecondi sono stati quelli con Clara Tosi Pamphili, che nel 2022 ha coinvolto tutto il team di designer e artigiani in un corso di storia della moda interculturale, volto in ultima istanza a condurci a raccontare la nostra storia o il nostro viaggio nella progettazione di un abito. Queste lezioni sono culminate in un progetto speciale presentato ad Altaroma nel 2022 su Pasolini e l’Africa. Nel 2023 Alessio de’Navasques ha curato un ciclo di lezioni che ha coinvolto diversi docenti di accademie di moda tra cui Iuav, Koefia e Naba, e ha tenuto un corso sulla comunicazione nella moda che è stato decisivo per Coloriage. Sempre nel 2023 abbiamo avviato un’importante collaborazione didattica con Anthony Knight, docente di Design della Moda dello Iuav di Venezia. Anthony ha un passato di migrazione, sia familiare che individuale: nato a Londra da una famiglia di origini jamaicane, è arrivato in Italia negli anni Ottanta e forse per questo ha una spiccata vocazione sociale e una straordinaria capacità di interagire con i nostri studenti. Da questa collaborazione sono nati nuovi capi e la capsule collection “Mosaics”, realizzata con mosaici di scampoli di tessuti wax delle collezioni Coloriage degli ultimi quattro anni.

Poi c'è il laboratorio di upcycling, che immagino sia una dimensione fondamentale di Coloriage e della sua missione.

Come ti dicevo, per noi sostenibilità sociale e ambientale sono imprescindibili e inseparabili. Abbiamo un progetto di upcycling e ricamo di camicie e giacche vintage in collaborazione con l’artista Sara Basta: pezzi unici ricamati con versi di poetesse contemporanee, in particolare di Patrizia Cavalli. Il progetto Mosaics realizzato in collaborazione con Anthony Knight è sempre in un certo senso un progetto di upcycling: recuperiamo gli scampoli delle nostre stesse collezioni per creare nuovi tessuti, mosaici composti da pezzi di tessuti diversi, che danno vita a capi unici. Inoltre, organizziamo regolarmente laboratori di upcycling aperti al pubblico in cui è possibile portare un proprio capo dismesso o da riparare di alta qualità e trasformarlo, con i nostri designer e sarti, attraverso inserti realizzati con gli scampoli delle nostre collezioni. Questo progetto è strettamente legato all’idea di produrre capi di alta qualità che durano nel tempo: ci piace sensibilizzare le persone sul tema del riuso e recupero creativo in chiave “zero waste” e di economia circolare.

Andando nel dettaglio dei tessuti, sono curioso di conoscere la storia di quelli provenienti dall'Africa. Come nasce poi la commistione con il materiale tessile che invece arriva dall'Italia?

Sulla storia dei tessuti africani dovremmo fare un’intervista a parte! È un tema che mi appassiona e su cui studio molto, sono stata anche invitata a tenere lezioni sul tema da università e accademie. Brevemente, posso dirti che i tessuti artigianali della collezione
“Coloriage Handwoven” – filati a mano, realizzati a telaio e dipinti con pigmenti naturali, che produciamo in Mali – nella cultura tessile locale sono più che oggetti “funzionali”, dei veri oggetti “rituali”. In base all’elemento naturale utilizzato per la decorazione (argille e decotti di piante) e al disegno geometrico tracciato sul tessuto, queste stoffe hanno una funzione protettiva dell’individuo o della comunità e veicolano un messaggio preciso. Questa concezione ancestrale dei tessuti, fortemente comunicativa e sociale, persiste, anche se in modo diverso – decisamente “pop” – nei coloratissimi tessuti wax africani che usiamo nella collezione “Basic”, che si basa sull’unione tra tessuti italiani e wax appunto, con un design quasi sempre reversibile, double-face. Per quanto riguarda i tessuti italiani, sono esclusivamente dead stock che recuperiamo da aziende tessili del Nord: lane, cachemire, velluti di altissima qualità che ci permettono di produrre capi in fibre pregiate a dei prezzi competitivi sul mercato, con l’intento di offrire al pubblico un’alternativa concreta rispetto alla “fast fashion”. Recuperare dead stock, spesso in piccole metrature, esalta il nostro carattere artigianale perché ci porta a produrre collezioni di pezzi unici o in edizione limitata. Quello che per un brand tradizionale sarebbe un limite, non poter produrre un’intera collezione con lo stesso tessuto, per Coloriage diventa un punto di forza: offrire un pezzo unico, sartoriale e reversibile a un prezzo competitivo. La reversibilità è uno dei fil rouge delle nostre collezioni, che esprime perfettamente la filosofia di integrazione e contaminazione culturale: giacche, cappotti, gonne, cappelli, borse, possono essere portarti sia dal lato del tessuto italiano che da quello africano, hanno una doppia anima.

Avete realizzato diverse collaborazioni con artisti contemporanei, ad esempio Agostino Iacurci. Mi piacerebbe sapere cosa ne pensi del rapporto tra sartoria e arte: come possono dialogare da un tuo punto di vista?

Come ci piace unire e confondere tessuti, culture e stili diversi, così ci piace muoverci tra i confini di queste discipline. Per questo siamo un progetto aperto e collaboriamo regolarmente con artisti, designer, registi. Nel caso di Iacurci abbiamo recuperato l’opera “Landscape n° 2” realizzata sul telo che copriva la faccia del Pastificio Cerere di San Lorenzo durante i lavori di restauro e l’abbiamo trasformata in un’edizione speciale di borse, pezzi unici e numerati. È stato uno dei progetti più belli in cui siamo stati coinvolti, in cui l’opera di Iacurci è passata dalla dimensione pubblica a quella di oggetto intimo e personale. Tra le altre collaborazioni importanti, c’è quella con Paolo Virzì per i costumi del film “Siccità”, la performance con Muna Mussie al Mattatoio di Roma e lo spettacolo con Amanda Pina, prima per il festival Short Theatre a Roma e poi per il Festival d’Automne di Parigi. Rispetto al rapporto tra sartoria, moda e arte potrei parlare dei musei africani che ho visitato, in cui non si trovano mai opere da “contemplare” dall’esterno, ma sempre oggetti che appartengono alla vita quotidiana o ai riti delle comunità: in primis tessuti, ma anche maschere, utensili, etc. In Africa c’è una concezione dell’arte inseparabile dalla vita, così come lo è il rapporto tra arte e moda nella sua pervasività.

Qual è la vostra rete a Roma? I vostri partner e le collaborazioni?

Le collaborazioni e i partenariati sul territorio riguardano in primo luogo il progetto formativo. Sapienza (Master in Fashion Studies), Naba, Ied, Accademia Koefia e American University sono alcune delle realtà con cui abbiamo collaborato in uno scambio di docenti e studenti, partecipando ai loro seminari o ospitandoli per delle lezioni da Coloriage. O, viceversa, organizzando noi lezioni e laboratori con i lori studenti. Inoltre, siamo in contatto continuo con i centri di accoglienza del Lazio e con le cooperative del territorio che lavorano in questo settore, che ci segnalano l’arrivo di nuove persone con background creativo o artigianale che selezioniamo per i tirocini formativi. Abbiamo collaborato con tante realtà diverse in occasioni di eventi culturali e artistici, come il Mattatoio o il festival Short Theatre, e siamo ospitati da spazi come i bookshop del MACRO di via Nizza e del Palazzo delle Esposizioni di via Nazionale, dove si trovano corner con le collezioni Coloriage.

Se dovessi fare un bilancio di questo primo anno a Trastevere, quale sarebbe? Cosa ti aspetti invece per i prossimi di anni?

Il laboratorio-store di Trastevere è stato sicuramente un passo importante, che ci ha permesso di consolidarci e di puntare sempre più in alto. Il nostro obiettivo è diventare una realtà concreta di integrazione sociale, in grado di accogliere un numero via via crescente di persone e, insieme, un progetto di moda sperimentale e interculturale, che unisca tessuti, culture e stili diversi, per dare voce a una nuova società multiculturale. Dal punto di vista programmatico il nostro obiettivo per i prossimi anni è ampliare e consolidare la rete di distribuzione del brand, sia in Italia che all’estero.

Se dovessi scegliere un capo particolarmente rappresentativo di Coloriage, quale sarebbe?

Uno dei nostri capi iconici, che è anche uno dei nostri “best-seller”, è il kimono reversibile in lana e wax. Si tratta di un capo con una fodera interna in tessuto wax africano che può essere indossato da entrambe i lati. Il taglio a kimono evoca le forme minimaliste giapponesi ed è adatto a corpi e forme diverse, oltre a essere perfettamente unisex. È un capo versatile, adatto a occasioni e fit diversi. Questo kimono spiega meglio di mille parole la filosofia Coloriage che anima lo store.