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“Tintoria”, un podcast di Daniele Tinti e Stefano Rapone

I due stand-up comedian raccontano il primo comedy podcast d'Italia, tra inizi locali e una nuova popolarità tutta meritata

Scritto da Giulio Pecci il 12 dicembre 2022
Aggiornato il 13 dicembre 2022

Foto di Enrico Berardi

Daniele Tinti e Stefano Rapone fanno il loro ingresso a Snodo Mandrione un paio di minuti dopo che il Marocco ha eliminato la Spagna ai rigori negli ottavi di Qatar 2022. I baristi stanno ancora esultando increduli, noi ci presentiamo e andiamo a sistemarci fuori per fare due chiacchere davanti a dell’ottima acqua in bottiglia. “Tintoria”, podcast dal vivo (nonché primo comedian podcast d’Italia) negli ultimi tempi ha avuto un exploit sorprendente, quasi quanto quello della nazionale africana. Nonostante il format sia stato pioneristico, per diversi anni è rimasto solo un piacere per “addetti ai lavori” o appassionati di stand-up, in un momento storico in cui non c’erano ancora special di comedian italiani su Netflix – a dire il vero non c’erano quasi da nessuna parte.

Ora però il tanto lavoro fatto sottotraccia sta dando i suoi frutti. Conversazioni lunghe, senza tagli, ospiti provenienti da ogni zona dello scibile umano: attori, comici, musicisti, scrittori, giornalisti, fumettisti, conduttori, celebrità di internet. Come sottolineano Daniele e Stefano prima di ogni puntata, il fulcro e la ragione del successo del podcast sono gli ospiti. Ma, dando a Cesare ciò che è di Cesare, la loro capacità di metterli a proprio agio, lasciandoli esprimere e intervenendo con tempismo perfetto solo nei momenti di stanca o di raccordo, si è affinata di puntata in puntata. Oggi ascoltare “Tintoria” è veramente un piacere e, aspettando gli appuntamenti del 2023, potremo farlo dal vivo, sempre negli spazi di Snodo Mandrione, ancora domenica 18 (una puntata speciale) e martedì 20. Nel frattempo, ce lo siamo fatti raccontare meglio direttamente da Daniele e Stefano, invertendo per una volta i ruoli.

 

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Questa chiacchierata la volevo fare da un po’ e nel frattempo “Tintoria” ha avuto un exploit enorme. Quindi la prima cosa che mi viene da chiedervi è: com’è stare dall’altro lato, essere intervistati e non intervistatori?

Stefano Rapone: Presi singolarmente di interviste ne abbiamo fatte.

Daniele Tinti: Però in due… Sei più rilassato, non devi prepararti niente.

SR: Non è che poi noi ci prepariamo quando intervistiamo qualcuno…

DT: Sì, infatti. Tipo oggi con Zerocalcare (podcast del 6 dicembre 2022, ndr), per quanto non ci siamo preparati abbiamo letto tutto quello che fatto, conosciamo letteralmente tutta la sua opera. Ci siamo visti le sue ultime interviste. Un po’ di lavoro ci sta dai.

Faccio un passo indietro, visto che comunque su ZERO non abbiamo avuto ancora il piacere di ospitarvi. Mi raccontate un po’ la genesi di Tintoria?

DT: “Tintoria” è nato nella cucina di una vecchia casa in cui vivevo. Io sono grande fan dei podcast, soprattutto quelli lunghi in cui c’è un ospite che chiacchiera. In Italia, fino a quel momento, così non c’erano proprio. Soprattutto quelli condotti da comedian, quella cosa che varia tra il serio e lo stupido per intenderci. Così mi son detto: perché non farlo io? Ho chiesto qualche consiglio su aspetti tecnici e sono partito. All’inizio Stefano era un “autore ombra” . Veniva in cucina e assisteva al podcast.

SR: Un po’ eminenza grigia.

DT: Esatto. All’inizio chiamavo persone del mio mondo, comedian o gente come Nicolo Contessa, che è poi colui che mi ha aiutato a comprare e settare le attrezzature che mi servivano. Insomma, amici che facevano cose che mi interessavano. Poi è cresciuto un po’ e a un certo punto Stefano è entrato dentro al podcast…

SR: E da lì…

DT: Da lì è cambiato tutto! No, da lì altre ottanta puntate e poi è cambiato tutto! (ndr. ridono)

Secondo voi perché è “cambiato tutto” a un certo punto? La pandemia ha giocato un ruolo importante?

DT: Mah, la verità è che alla fine in Italia i podcast di questo tipo sono arrivati, pur se in ritardo. Chiaramente superando “Tintoria” a destra e sinistra (seguono meravigliosi rumori onomatopeici di bolidi che sorpassano, ndr). Ora ce ne sono tanti, simili, anche se quasi nessuno dal vivo. Il format con l’ospite e la chiacchierata è stato ripreso da tanti, penso banalmente a “Muschio Selvaggio”, che arriva a un numero altissimo di persone. Un sacco di gente si è abituata a questo tipo di contenuti e se ne arriva uno nuovo già si sa cos’è.

SR: E poi c’è da dire che noi ci siamo impegnati. Prima era più una cosa fatta per noi e il mondo nostro. Invitavamo tutta gente che conoscevamo ed era interessante chiedergli del loro percorso professionale in modo personale. Però a un certo punto abbiamo pensato che un po’ di contatti negli anni ce li eravamo costruiti, quindi perché non provare a chiamare persone che vedevamo in televisione quando eravamo bambini o adolescenti, per dire?

Effettivamente, se chiami persone che conosci e fanno parte di un tuo giro si instaura una dinamica precisa, familiare. Se chiami persone che hanno già un loro pubblico forte che li riconosce, Paolo Calabresi per esempio, allora è un’altra dimensione.

SR: Paolo un po’ l’avevo conosciuto, ci eravamo già incrociati.

DT: Sì però non lo definirei un nostro amico, uno del giro.

SR: Sono comunque persone che sanno parlare davanti a un pubblico e sono alla mano. Alla fine ci siamo trovati bene con tutti quelli che sono venuti, anche solo a parlarci davanti a una birra prima della registrazione. Nel format gli ospiti sono centrali, quindi è normale che si riescano a sciogliere un po’, l’attenzione è tutta su di loro.

DT: E poi registrare dal vivo con un pubblico alimenta tutto. Noi facciamo sempre un premessa prima di iniziare: non si assiste a uno spettacolo ma alla registrazione di un podcast, quindi il fine ultimo è la conversazione con l’ospite. Però, inevitabilmente, è difficile che davanti a un pubblico ci siano dei momenti morti o che l’ospite si tenga delle frasi. Magari ci sono degli argomenti più intimi e riservati che fanno un po’ più fatica a tirare fuori, ma per il resto è tutta benzina.

Vi esibite in piccoli club, teatri, locali veri e propri come Snodo Mandrione, chiaramente con format diversi. Una dinamica che fa il paio con l’evoluzione della stand-up in Italia negli ultimi anni: da fenomeno di nicchia a realtà con un pubblico importante. Come avete vissuto questa evoluzione?

DT: Per la stand-up direi che si è trattato di un processo naturale, che abbiamo vissuto passo dopo passo.

SR: Sì, è stato naturale. Poi c’è stato il Covid di mezzo e quando siamo tornati a esibirci la richiesta è letteralmente esplosa. Non so se il motivo sia che le persone chiuse in casa si sono fatte una cultura sulla stand-up o hanno recuperato cose nostre, o semplicemente volevano tornare ad uscire. In ogni caso, se la stand-up già stava partendo, con la pandemia è esplosa definitivamente.

Siete stati presi in contropiede da questa esplosione?

SR: Ci ha stupito in modo positivo, ma il percorso, appunto, era già in atto. C’è stato un buco per un po’, poi è continuato linearmente.

Parlando di Roma, la stand-up ha iniziato a emergere nel momento d’oro dell’“indie romano”, da una rete di contatti e di locali che ora non esistono più, e la maggior parte degli ospiti che avete invitato in qualche modo faceva parte di quel mondo. Oggi manca quel sottobosco secondo voi? Come avete vissuto quest’evoluzione?

DT: In un certo senso la stand-up sta prendendo il posto dell’indie. Quella scena che c’era prima, con tutti localetti sparsi per la città ognuno con una sua identità, nella musica non c’è praticamente più, nella stand invece tantissimo. Oggi a Roma puoi salire su un palco tre o quattro volte a settimana, magari solo open mic, ma tutte situazioni diverse. Questo è meraviglioso. Quando abbiamo iniziato ti esibivi al massimo una volta al mese, cinque minuti. Il pubblico era sempre lo stesso (i tuoi amici) quindi eri costretto a fare materiale nuovo ogni volta.

SR: La cosa bella è che non diventi mai troppo grosso per non andare nei localetti a fare open mic: li devi continuare a battere per forza per provare cose nuove. Per noi non è una dimensione da cui si può prescindere e quindi capita sempre di dividere il palco con chi invece ci sale per la prima volta: un’altra cosa abbastanza impensabile nella musica, perché quando diventi “grosso” non è che poi torni a suonare nel localetto minuscolo. Noi quelli invece li cerchiamo proprio. Per dire, (Francesco) De Carlo ora si è spostato in un pub.

DT: Al Big Star, a Trastevere. Dimensione perfetta perché sono quaranta posti.

SR: Se ci propongono un locale da centocinquanta mediamente lo rifiutiamo. Ci serve un posto in cui entra poca gente e in cui, a volte, non siamo neanche annunciati.

Questo il lato più tecnico e performativo diciamo. Dal punto di vista del tessuto sociale invece? Quella cosa per cui esci nei posti e conosci tutti, c’è una rete e via dicendo? C’è una comunità?

DT: C’è una comunità forte, che rispetto alla musica è molto slegata dai locali e più legata alle persone: è nata dal niente, pochissimo tempo fa, quando il format Satiriasi si è stabilito in un locale e la gente ha iniziato ad andarci. Quando poi si spostava da un’altra parte, il pubblico lo seguiva. Poi siamo arrivati noi e idem. Il pubblico è legato al comico e i comici sono tutti legati fra di loro, perché quando vai in un’altra città a esibirti la persona con cui ti interfacci è il comico locale di riferimento. Tre anni fa, pre-Covid, ti avrei detto che conosciamo tutti quelli che fanno stand-up in Italia. Adesso non è assolutamente più così, però alla fine rimane la familiarità con tutti.

Ora mi è partita la nave sul parallelo musica/stand-up. Negli Stati Uniti c’è spesso un rapporto diretto , comedian amici di musicisti o che usano la musica attivamente negli spettacoli. Se doveste scegliere un brano da accompagnarvi verso il palco quale sarebbe? Tipo ring walk di un pugile.

DT: Cambia di volta in volta. Io dico “Everybody Needs Somebody To Love” dei Blues Brothers.

SR: Una volta in un locale mi hanno chiesto che musica volessi per entrare e uscire e ho fatto mettere “Ti voglio bene Denver” (risate generali, ndr)

DT: E l’hanno messa?

SR: Sì, sì. Più seriamente, tu che metteresti?

DT: Eh io sul serio, “Everybody Needs Somebody To Love” perché mi piacciono i Blues Brothers e la canzone un sacco.

SR: Io qualcosa dei cartoni animati…

DT: Altrimenti sai cosa, il fischio de “Il mio nome è nessuno” ( via di fischio, ndr)

SR: Ah ecco cosa, il tema della quarta stagione di “JoJo”, si chiama “Il vento d’oro”, è il tema di giorno, veramente fico, ti carica. Me lo sento prima di salire sul palco.

DT: Per fare mindfulness?

SR: No, quando sto in hotel.

DT: Ah tu ti senti la musica in quei momenti? Sai che io non lo faccio mai…

SR: No, non “la musica”, solo quel brano. Mi dà lo sprint.

Tornando al podcast, qualche domanda di quelle banali ma che si devono fare per forza: puntata preferita?

SR: Vabbè sempre la stessa…

DT: Ceccherini, sì, è stato incredibile. Anche Sonia, meravigliosa.

 

So che Tintoria è il podcast che si “vanta” di non tagliare, ma di quella puntata abbiamo veramente visto tutto quello che è successo? Perché a un certo punto si stava andando verso lidi intensi…

DT: Di base è vero che non tagliamo nulla, poi qualche cosa ogni tanto può capitare.

SR: Con Ceccherini c’è giusto un taglio su una sua cosa veramente molto personale, che non ci siamo sentiti di mettere online.

DT: Dal vivo è stata magica!

Ma perché era tipo pallottola impazzita, non sapevate dove sarebbe andato a parare?

DT: No, non quello: è stato molto più pallottola impazzita Lundini. Ceccherini è veramente un gigante, di suo.

SR: Sì, Ceccherini è proprio così. Prima della registrazione ci ho passato tutto il pomeriggio e già erano uscite delle cose del tipo «No questo non lo posso dire…», «No, io non dico niente, so’ stanco, parliamo degli acciacchi».

DT: Poi sul palco incredibile, il pubblico avrà rotto quindici bicchieri perché stavano tutti sempre ad applaudire. Poi, appunto, il podcast con Sonia di Super 3 emotivamente è stato bellissimo, anche quello con Ceppaflex.

SR: Anche quello con Gipi.

DT: Sì, però sai, Gipi è di tutti, è IL fumettista italiano. Sonia e Ceppaflex fuori Roma non li conoscono.

Questa cosa ve l’hanno fatta notare fuori da Roma o no?

DT: Ci hanno scritto che non sapevano chi fosse, ma la puntata è stata bellissima ugualmente, perché è un personaggio incredibile e una persona bellissima, idem Ceppaflex.

SR: Abbiamo fatto questo trio in fila: Sonia-Cicalone-Ceppaflex.

DT: La santa triade romana!

SR: Con Cicalone che si mette a parlare di astrofisica quantistica.

DT: Insomma, ce ne sono diverse che rimangono nel cuore. Ma chiaramente la più bella sarà… La prossima!

Professionista navigato…

DT: Esatto, è sempre la prossima, occhio che sarà la migliore.

E invece quella più complessa da portare avanti?

DT&SR: Quella con Lundini!

SR: Lo volevo strozzare…

DT: Cioè, faceva ridere, ma è stato faticoso.

SR: Ma lui stesso oggi me l’ha ridetto, «Per me è stato un trauma».

DT: Lo possiamo dire solo perché è un amico.

SR: Sì, e poi perché ha chiesto scusa!

DT: Ma alla fine è stata bella pure quella, un po’ particolare, e poi lui era già venuto tre volte…

SR: Comunque a me il libro suo l’ha dato solo oggi! (risate, ndr) È passato un mese e sono dovuto andarmi a prendere il tè con i genitori

DT: Meglio tardi che mai.

A Roma avete portato in giro “Tintoria” dal vivo in posti molto diversi tra loro. Avete notato un pubblico mutevole o ce n’è uno che è proprio vostro ormai?

DT: Sì, ci siamo spostati in giro per la città ma ci siamo sempre trovati bene. Le differenze ci sono, ma più a causa dall’orario, che ti fa perdere o acquisire un certo tipo di persone. Anche perché è difficile che finisci per caso a vedere la registrazione di un podcast.

SR: Anche quando lo abbiamo portato fuori da Roma, tipo nelle Marche.

Vi viene in mente qualche aneddoto carino che comprenda l’interazione con il pubblico?

DT: A Prato questa estate, che di norma faceva caldissimo, siamo morti di freddo. Il giorno prima c’era stata tipo una tromba d’aria che aveva sollevato un gazebo poi finito in testa a una persona, proprio lì dove eravamo noi. Quindi c’era questa aura un po’ post apocalittica.

SR: Era lì che c’eravamo portati…?

DT: La lavatrice in macchina? Sì, che è il logo del podcast e casualmente io dovevo portare una lavatrice a L’Aquila, ma c’era troppo traffico e non avevamo fatto in tempo a lasciarla. Che poi è diventata il tema centrale del podcast, perché Stefano gli aveva fatto una foto chiedendo domande per la serata e tutte erano sulla lavatrice.

Voglio girarvi quelle che sono le vostre due domande “classiche”, declinandole su Roma. Iniziamo con la “Cacata in discoteca”.

SR: Anche lì, la migliore cacata è sempre la prossima, vediamo stasera…

DT: Diciamo tutti i locali romani in cui mi sono esibito.

SR: Memorabile non me la ricordo a Roma.

DT: Memorabile neanche io, però mi viene in mente che al Pierrot Le Fou non c’è la chiave per il bagno, quindi ogni volta è un brivido.

SR: Sai che anche io una volta l’ho fatta al Pierrot Le Fou. Ho scaricato, tutto apposto, controllo sempre. Poi sono uscito e c’era una ragazza in fila che appena entrata ha scaricato di nuovo. Perché ‘sta cosa?! Avevo fatto io! Mi sono un po’ offeso.

DT: Potevi entrare a dirle “Ao ma che cazzo voi?!”

SR: Tra l’altro è brutta come roba questa dell’assenza della chiave. Pensa se sei uno che deve salire sul palco e mentre stai lì seduto entra una e ti sorprende così.

DT: E tutta la sera lei saprà e sta lì che ti guarda.

Tutta l’autorità che si acquisisce salendo su un palco…

DT: Se sente l’odore delle tue feci è completamente persa, svanita! Però fa ridere.

E quella sul dittatore preferito invece? Sempre solo romani ed escludendone uno chiaramente…

DT: Io sto in fissa con Nerone. Alla fine, dove vai vai, in Italia lo conoscono tutti.

SR: Vabbè però non è proprio un dittatore dai.

DT: Forse addirittura imperatore.

SR: Però dittatore è proprio un titolo.

DT: Vabbè allora Cesare, che ha fatto proprio il colpo di Stato per pigliare tutti i poteri. ROMOLO, provocazione. No dai, Cesare, è il mas grande, che je voi dì.

Chiuderei con la canonica domanda sulle prossime novità, qualche piccola anticipazione

DT: Sì, seguiteci sui social perché ne sono in arrivo di piccantissime, non si può dire altro.

SR: Facciamo una puntata di recupero domenica 18 dicembre, la sera.

DT: Puntata speciale, Tintoria Christmas Special. Ci vestiamo sia da Babbo Natale che da Anno Nuovo

Quindi il lancio della serata è: “Venite a scoprire come ci si veste da Anno Nuovo”

DT: Esatto, venite a scoprirlo: maschera antigas, mitragliatore. Vabbè, questa la tagliaaamo. E un saluto agli amici di ZERO.