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Filippo Osnaghi

Dall’Aero Club di Milano a Parigi passando in volo per le Alpi

quartiere Bicocca

Scritto da Piergiorgio Caserini il 13 marzo 2023
Aggiornato il 23 marzo 2023

Foto di Lera Polivanova

Se si guarda il cielo dalla Bicocca o dal Parco Nord è facile che lo si trovi trafficato. Almeno ogni quarto d’ora passa un Cessna o un Piper, in volo a bassa quota o in un raso affusolato con manovra acrobatica. È anche probabile che su uno di questi aerei, in particolare su un biplano in legno e tela di nome SARY, ci sia Filippo. La storia che raccontiamo qui è tanto quella dell’Aero Club di Milano, pista di amatori e piloti, quanto quella di un aereo di ottant’anni.

«Fummo accolti alla stregua di eroi: avevamo passato le Alpi e compiuto il tragitto più lungo di chiunque altro.»

Come e quando hai cominciato a volare?

Dacché ricordo ho sempre avuto la passione per gli aerei. Da bambino avevo puntualmente in mano modellini vari, ho preso i primi simulatori da consolle, e quelle volte che sono capitato su un aereo di linea insistevo per farmi portare in cabina. È una passione che mi ha accompagnato da sempre, e che ho cominciato a considerare davvero a diciassette anni, quando si può fare il brevetto di volo. Ma aspettai tre anni, perché come sempre e nonostante le passioni c’è sempre bisogno di qualcuno che ti dia la spinta giusta. Questa fu la ricerca di un biplano (uno Stampe SV4C) che apparteneva a mio padre, quando volava negli anni Settanta. Era un grande appassionato di motori più che d’aviazione: faceva corse in macchina, era campione del mondo di motonautica, e diciamo che l’aero era più altro qualcosa che lo divertiva. Il biplano in questione era un acrobatico del ’46, molto performante per l’epoca in cui mio padre lo prese. Lui smise poi di volare negli anni Ottanta, continuando però a prendersi cura dell’aereo e restaurandola negli anni Novanta. Non riuscii però mai a vedere l’aereo prima che lo vendesse nel 1997.

Com’è andata a finire, l’hai trovato?

Sì, e trovarlo fu lo scatto giusto per cominciare a volare. Chiamai a tappeto tutti gli aeroporti di zona, tra Bergamo, Cremona, Milano, chiedendo a tutti se per caso avessero un aereo di nome SARY o sapessero dove fosse finito – come tutti i veicoli anche gli aerei hanno delle targhe composte da una serie di quattro lettere, al ché ti può andare male con un DDXU o bene, come con FILO o per l’appunto SARY. Mi indirizzarono alla fine proprio qui all’Aero Club, dove saltò fuori che la persona che l’aveva comprato era il vicepresidente, che si ricordava bene di mio padre e m’invito a rivedere SARY, che allora era tutta coperta di teli, l’interno in legno impolverato con una madonnina di Loreto appesa e un santino di Padre Pio. Andai diretto all’ufficio a iscrivermi per il brevetto, con l’idea di riprendere a pilotare SARY.

Visto il portato sentimentale di SARY non ci resta che chiederti di descrivercela.

Beh, innanzitutto SARY è bellissima, ma soprattutto ha un imprinting di famiglia emotivamente molto potente, perché la livrea l’ha fatta tutta mio padre. Il giallo è lo stesso giallo della nostra casa, e anche la croce dei Cavalieri di Malta sul timone arriva dalla nostra casa – che tanti anni fa era una villa dell’Ordine dei Cavalieri di Malta. È insomma una specie di stemma di casa, uno stemma che porto nei cieli come una bandiera. Come ti dicevo è un aereo abbastanza vecchio, il motore si mette in moto ancora a mano, l’abitacolo è scoperchiato e quindi senti tutta la forza del vento, l’aria di alta quota ma anche tutti i profumi dei luoghi su cui voli, dai boschi alle campagne.

C’è un volo memorabile che hai fatto con SARY?

Ce ne sono tanti, e devo dire che il tramonto è sempre un momento spettacolare: sei hai la giornata con il cielo limpido, da Milano si riesce a vedere tutte le Alpi… sono immagini che dopo qualche tempo uno va a cercarsi, sempre. Un esercizio di sguardo che è il saper vedere una certa posa di luce, una certa atmosfera. Ma se invece che di voli parliamo di viaggi, ce n’è uno nello specifico che fu particolarmente bello. C’era un raduno di aerei storici dello stesso modello di SARY (Stampe SV4C) a sud di Parigi, e decidemmo di andarci. Abbiamo volato per 600 miglia, passando dalla Costa Azzurra, e percorrendo distese infinite di campagna francese. Quando atterrammo all’aeroporto di Pithiviers, luogo in cui si teneva questa manifestazione di aerei storici, fummo accolti alla stregua di eroi: avevamo passato le Alpi e compiuto il tragitto più lungo di chiunque altro al raduno.

Ma com’è che si impara a volare?

Beh si tratta di fare 45 ore di pratica di cui almeno 10 da solo. Il momento del primo solista è sempre memorabile. Per me fu inaspettato, come ogni lezione si facevano cose nuove e quella volta furono soltanto atterraggi e decolli, come ogni giorno. A un certo punto l’istruttore scende dall’aereo davanti alla torre di controllo e se ne va: «Tocca farlo da solo». Momento di panico, la porta era chiusa e io dentro l’aereo, sapendo che devi mettere in pratica tutto quello che hai imparato. E lì l’unica cosa che pensi è: ora sono cazzi miei.

SARY è un aereo acrobatico, ma ha la sua età, quasi ottant’anni. Le tiene ancora le acrobazie?

Allora sì, ha la sua età, ma diciamolo a bassa voce che si offende. Ha un animo SARY, e bisogna darle affetto. Ma comunque sì, mi capita spesso di essere chiamato per fare voli con scene acrobatiche, più o meno nella stessa misura dei raduni d’aerei d’epoca. Poi in verità ho anche un altro aereo, comprato più recentemente, che è un velivolo da turismo. Con questo ho fatto un brevetto apposito per poter atterrare in piste corte o in montagna. Il ché significa che posso parcheggiare l’aereo pressoché ovunque e su qualunque terreno, a patto che abbia il permesso del proprietario, e la distanza sufficiente per atterrare e poi decollare. E allora atterro nei terreni, nei giardini, insomma quest’altro aereo è una specie di fuoristrada dei cieli. Con questo bastano cento metri, con la SARY un quattrocento abbondante. A riguardo, c’è una piccolissima comunità di persone molto appassionate – sono quattro – che hanno trovato il modo di farsi una pista di fianco alla casa oppure di farsi la casa di fianco alla pista, cosicché possiamo fare affidamento gli uni sugli altri.

Qual è invece la storia dell’Aero Club, e com’è oggi?

Nasce come aeroporto militare, e quando diciamo questa cosa dobbiamo immaginarci sostanzialmente un campo d’erba nei pressi delle aziende belliche e militari che allora componevano per la maggior parte questo quartiere, come la Breda. Quando non c’era più necessità di avere aeroporti militari così vicino alla città, venne dismesso e dato in uso civile. Erano gli anni Sessanta, e l’Aero Club – che allora era una piccola pista all’aeroporto di Taliedo, nei pressi di Linate – si trasferì a Bresso. Se vedi gli hangar sono molto simili al mood della SARY, perché hanno più o meno la stessa età: vennero costruiti negli anni Trenta per i bombardieri militari.
Diciamo poi che puoi trovare piloti professionisti (solitamente istruttori che diventano poi piloti di linea) quanto piloti per diletto, che si dividono a loro volta tra chi affitta gli aerei e chi semplicemente tiene parcheggiato il proprio velivolo nell’hangar e vola quando può. Poi ci sono gli ossessionati come me, che volano tre volte alla settimana, e che probabilmente smetteranno soltanto quando non riusciranno più ad alzare il ginocchio per entrare in cabina.