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Francesco Pacifico e la passeggiata psicogeografica

Vagabondaggio nel cuore del Pigneto, tra spunti sociologici, riferimenti letterari, moventi aspirazionali, hipsterismi

quartiere Pigneto

Scritto da Riccardo Papacci il 7 giugno 2023
Aggiornato il 12 giugno 2023

Foto di Valentina De Santis

Luogo di residenza

Roma

Attività

Scrittore

Io e Francesco ci diamo appuntamento alle 15:00 all’inizio dell’isola pedonale del Pigneto per la nostra passeggiata psicogeografica. È domenica e c’è poca gente in giro. Molti dei locali aperti dal pomeriggio sono ancora chiusi. C’è un clima incerto, ma fa caldo – troppo, per me che sono uscito con una felpa pesante. Partiamo dal mitico Mezzo, gestito dai ragazzi che un tempo lavoravano da Cargo, uno dei primissimi locali del Pigneto pre-trasformazione. Ovvero, quel Pigneto non ancora gentrificato, senza isola piastrellata e locali con camerieri che ti invitano a entrare. Scendiamo verso Tuba, roccaforte transfemminista, «Un grande posto per imparare a essere un uomo moderno» – dice Francesco. Diamo uno sguardo, senza però addentrarci, alla stradina che ospita la gelateria e la jeansoteca di Fabio Biondalzati, sorpassiamo i venti metri di locali che susseguono, per poi incrociare il greco e pizzeria Sant’Alberto, dove prima c’era Primo (gioco di parole…). Rosi è aperto e, mentre ci dirigiamo verso gli Hamptons del Pigneto costituiti da Rosti e Necci, cominciamo finalmente a parlare.

Iniziamo dalla prima cosa che ci capita a vista. Queste due mamme con i loro simpatici bambini che mangiano il gelato. Cosa mi puoi dire a riguardo?

Questo delle mamme del Pigneto è un tema. Come diceva proprio l’idolo di questo quartiere, PPP, per diventare borghese devi fidanzarti. Perché una volta fidanzato si mette in moto tutta una macchina dei consumi. Con la prole il processo giunge a una fase quasi ultimativa. Una volta avuto il bimbo si attivano consumi ulteriori. Se incontri una madre con i suoi bambini puoi vedere tutta questa stoffa, questi utensili, questi gelati, per l’appunto…

Mentre passiamo davanti alle mura che ospitavano il primissimo Fanfulla noto la scritta “W Necci” e la fotografo. Nel frattempo siamo proprio nei pressi di Necci, dove Francesco incontra dei suoi amici cinematografari e li salutiamo. In un angolo stanno facendo uno shooting, anche se il luogo non offre chissà quali particolari ambientazioni.

Dimmi anche come ti piace prendere appunti per i tuoi romanzi, che sono molto influenzati da tanti tipi di persone diverse, molte delle quali anche potenziali inquilini del Pigneto o frequentatori.

Secondo me sono vere quasi tutte le cose che si dicono sul Pigneto. È un posto aspirazionale. Cioè, l’alta borghesia è un posto invivibile, quindi tutti vanno alla ricerca di posti tranquilli, come questo, con case basse, localini, etc. Ma venendo qui, porti anche le tue nevrosi. Quindi la gentrificazione non è solo un fatto di struttura, di far salire i pezzi e di creare disagio a chi c’era prima, è anche molto importante questo fattore: portare nevrosi borghesi in un’altra parte di città. Quindi non la snaturi solo dal punto di vista geografico, urbanistico e commerciale, ma anche da un punto di vista prettamente sociale: i vecchi abitanti di questo posto devono affrontare anche il tuo sguardo di merda, che è sia nevrotico che giudicante. Questo per dire che a me non piace notare solo la scarpa di marca o la maglietta pazza di un giovane, ma mi soffermo più che altro sullo sguardo delle persone, sulla loro gestualità e i loro modi. Tutte le persone che si trasferiscono qui vorrebbero consumare spensieratezza altrui, portando però le loro nevrosi. La questione interessante del Pigneto è che ci sono una serie di mondi e situazioni che riescono a far passare ad alcuni la voglia di vivere.

Cioè?

Nel senso che tu arrivi qui in questo posto aspirazionale dove tutti sono fichi, ma può capitare che a un certo punto pensi: “No, io non voglio aspirare a nulla, voglio solo ammazzarmi

È vero. Forse arrivando lì è come se fossi al compimento ultimo di un percorso artistico e culturale. Che culmina, cioè, con la depressione. D’altronde molte parabole artistiche sono terminate in questo modo, alcune di queste molto nobili peraltro. Nel senso, non puoi soffermarti troppo sulla matrice originaria dell’esistenza perché il massimo che puoi trovare è il nulla.

Già. Questo è quello che il grande Alberto Piccinini chiama il “Tropico del Pigneto”.

Perché?

Perché tu arrivi qui e sei perso.

Nel frattempo ci troviamo nell’angolo dove ci sono Blutopia, la sala da tè inglese, Sottobosco e Garçonnière. Mentre andiamo verso i villini incontriamo Cristiana Favilla e il mitologico Nino Giordano.

I villini sono un po’ la Roma Nord del Pigneto, anzi, la Monteverde del Pigneto.

Sì, infatti il villino ti fa un po’ venire voglia di vivere, mentre per me è fondamentale non avere voglia di vivere. Forse quelli che vengono qui in cerca di aspirazioni è perché non hanno mai realmente conosciuto Nino Giordano. Ma ovviamente Nino non c’entra niente con l’imprenditoria. Nino è un gran puro. Voglio dire, il Pigneto non è un posto che è stato ideato da qualcuno per favorire il divertimento, ma è il frutto di persone, più o meno della mia e della tua generazione, che avevano il pallino per l’imprenditoria – anche se inconsciamente non lo sapevano.

Effettivamente non era automatico questo processo. Il “Pigneto” sarebbe potuto sorgere in altre zone, magari più vicine al centro o più lontane, più comode per tutta una serie di cose, invece è nato qui.

È il frutto di un’epoca, e poi è una zona di proiezione, come spesso è accaduto per le città, come ad esempio con Parigi e il romanzo francese. Alla fine sono proiezioni disperate di gente che si vuole collocare.

Sì, o magari semplicemente di gente che vuole crearsi un’identità. E a volte, devo dire, al Pigneto ci riescono. Forse possiamo dire che alcuni sono arrivati al Pigneto pensando di trovare una comunità, invece hanno trovato l’individualismo. Nel senso che arrivando qui pensi di trovare tanti amici, invece ti ritrovi ad avere tredici anni e a scoprire quale strada prendere per affermarti e capire chi sei: se fotografo, architetto, stilista, musicista, scrittore, regista.

Mi interessa proprio questo del quartiere. Queste faglie che offre, al cui interno è possibile intravedere dei forti movimenti storici. Delle opposizioni. C’è chi viene qui a cercare un posto più comodo, con meno nevrosi, ma che al tempo stesso sfrutta prosciugando la spensieratezza locale e apportano la propria nevrosi. Un modo un po’ coloniale di vivere questo quartiere. C’è chi invece vive qui in maniera “comunitaria”, dove c’è una solidarietà più allargata. Ovvero senza competizioni tra famiglie, come chi ha il bambino che suona il pianoforte a sei mesi. Queste sono coppie di opposti che non si incarnano in persone precise. Qui puoi vedere la coppietta che va da Rosti col passeggino, tutti gli aggeggi, vuole vivere bene e vuole vincere, e al tempo stesso la comunità che è in opposizione a tutto questo e vuole tra virgolette “non vivere”. Non è un semplice prendere per il culo, attenzione. Mi interessa più che altro osservare queste situazioni e le energie che producono.

 

Siamo arrivati a Piazza Malatesta e stiamo per prendere un gelato, quando incontriamo Yulia Kachan e ci sediamo un po’ al tavolo con lei. Dopo il gelato ripartiamo verso l’Isola. Camminando ci rendiamo conto di una cosa.

 

A Roma le scene sono un po’ occulte e al Pigneto lo sono ancora di più. Queste scene non si esibiscono in piazza. Quando ti trasferisci al Pigneto e cerchi di avvicinarti alle persone strategiche che ti servono per le tue aspirazioni ti accorgi subito che queste non frequentano luoghi “canonici”, ma preferiscono stare ai margini, in luoghi laterali. A Milano pubblicizzano il posticino dove risiede la crema di un certo settore, invece qui c’è sempre una tendenza a sparire, a nascondersi, a dare buca.

Forse questo è dovuto proprio a un eccesso di ostentazione di quel Pigneto emergente di qualche anno fa, che stava per gentrificarsi… Comunque, facendo un bilancio, possiamo dire che chi si è trasferito qui con la speranza di assistere all’emergere di una scena culturale italiana, può ritenersi soddisfatto. Non che a me interessi, però, effettivamente, se vivi al Pigneto puoi godere di 3.000 eventi culturali al giorno. Probabilmente solo qui accade questo. Tu come vivi questo quartiere?

Secondo me anche in posti come Garbatella, Esquilino, Ostiense ci sono tanti eventi culturali e puoi incontrare tante persone vicine a te culturalmente, per così dire. Però questo luogo per me è fondamentale perché mi induce a non avere una vita.

Dai…

Davvero. Ti spiego bene. Non avere una vita dal punto di vista delle tensioni, dei consumi, di diventare qualcuno. Non avere un orario, passeggiare e aspettare la morte. Ad esempio, se qui entri in certi locali, non vogliono necessariamente spremerti economicamente. Può darsi che se entri in certi locali del Pigneto nessuno ti chiede se vuoi consumare qualcosa. Se non parli è probabile che nessuno ti chieda se vuoi consumare, per tutta la serata. Può sembrare inospitale, ma se ci rifletti è una fortuna vivere in un posto che non vuole risucchiarti.