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Andrea Girolami

Alla Santeria Social Club due giorni fra talk, musica, tecnologia e cazzeggio assortito. Abbiamo fatto quattro chiacchiere sull'universo e tutto quanto con uno di quelli che, il festival, se lo sono inventato

Scritto da Emilio Cozzi il 25 gennaio 2016
Aggiornato il 11 ottobre 2017

Per il prossimo weekend non si prendano impegni. Sempre siate curiosi, il vostro domicilio fra il 30 e il 31 gennaio dev’essere la Santeria Social Club, che per la fine settimana si trasformerà in Better Days Festival, kermesse eterodossa come i nostri giorni – ad ascoltare chi l’ha pensata.
Mescola musica, tecnologia, cucina e tutto quello che vi venga in mente adesso. Dopo aver intervistato i The Pills e Luca Carboni – entrambi presenti – abbiamo incontrato Andrea Girolami, una delle menti dietro la due giorni. Classe 1980, Andrea – recita la bio online – «a sedici anni incontra la rete e se ne innamora. Dopo aver creato il format web Pronti al peggio e lavorato per Tiscali, MTV Italia e Wired Italia, oggi è responsabile contenuti per l’agenzia Better Days». Ha scritto anche un libro, Atlante delle cose nuove. Ma preferiamo ne dica lui.

Zero – Chi sei? Da dove vieni e dove sei diretto?
Andrea Girolami – Sono una persona molto curiosa e grazie a internet sono riuscito a rispondere a un sacco delle domande che mi sono fatto negli anni. Oltre che guadagnarmi la pagnotta e pagarmi l’affitto. Vengo da Macerata, un paesino tipo quello di don Matteo. Vivo a Milano da 10 anni e ci sto bene. Per il futuro si vedrà.

Nulla che non si possa trovare online, ma ci spieghi cos’è Better Days Agency e da quali esigenze nasce? Ah, anche Better Days Festival…
Better Days è un’agenzia che esiste da diversi anni con questo nome e da ancora più tempo come team. Sono entrato in squadra come responsabile dei contenuti lo scorso settembre, ma diverse delle persone con cui lavoro sono amiche da una vita, da quando c’erano i modem a 56k e anche prima. L’obiettivo è quello di creare contenuti belli e sensati in qualunque forma possibile: scritti, video, eventi live, nei social.
Oltre a essere capaci di costruire questi contenuti abbiamo la possibilità di farli circolare nei due siti che pubblichiamo: Rockit.it, da 20 anni il punto di riferimento della musica italiana e Dailybest.it, che abbiamo di recente rilanciato e vuole essere un modo leggero, divertente e interessante di raccontare la creatività e la rete.
Il Better Days Festival è la concretizzazione materiale di tutto questo: la felicità di toccare con mano tutte le cose belle e interessanti di cui parliamo nei nostri siti, le persone che incontriamo per lavoro, quelle che ci piacerebbe coinvolgere o presentare a un pubblico più vasto. E poi si balla pure un sacco.

better days programma

Pensi che il connubio fra eventi, contenuti transmediali e chissà cos’altro sia il futuro dell’editoria?
Non mi piace parlare di giornalismo, credo sia una parola ormai svuotata di significato. È brutto a dirsi, perché siamo abituati a identificare la professione del giornalista con valori positivi, ma per il lavoro che faccio preferisco parlare di “creazione di contenuti”. Che poi è quello che fanno ormai anche le testate tradizionali, che stanno rapidamente evolvendo in entità diverse in cui l’informazione è solo una componente di un discorso più complesso. La rete ha omologato velocemente i media di tutto il mondo e oggi anche in Italia lo scenario è quello di piattaforme capaci di creare contenuti (di servizio o sponsorizzati, seri o pieni di gattini), che poi si diffondono fra le rispettive piattaforme. È il modello di gruppi editoriali moderni come Vice o Buzzfeed, cui stanno adeguandosi anche colossi come Condé Nast. Better Days è perfettamente integrato in questo discorso essendo un’agenzia creativa e un editore al tempo stesso.

Il fatto di stare a Milano come ha influito su entrambi i progetti?
Milano è la città giusta per portare avanti un lavoro del genere e ospitare un evento come il Better Days Festival. Non so se Expo abbia portato questa fantomatica rivoluzione, ma sta passando una certa idea di commistione di linguaggi che è alla base di un evento come il nostro.

Che ruolo hai in questa due giorni? Chi sono le altre persone che ti hanno dato e ti daranno una mano durante il festival?

Sono semplicemente il catalizzatore di idee, proposte e progetti provenienti da tutto il team Better Days. Ciascuno ha portato al tavolo il proprio pezzo: che fosse un’idea per un incontro o un ospite musicale. Questo è l’unico modo per restituire la ricchezza e la trasversalità che volevamo avesse il festival. Oltre al team di Better Days un aiuto fondamentale è arrivato da Emiliano Audisio, producer del festival, persona di grande bravura ed enorme pazienza.

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Durante la kermesse toccherete diversi temi, dalla moda alla comunicazione viral fino a musica e videogiochi. È un modo per occuparsi “di tutto un po’”, o un contenitore che racconta quanto quegli interessi corrispondano davvero al contesto cittadino?
La seconda che hai detto. Questa accumulazione di argomenti non riflette solo la Milano che viviamo ogni giorno, ma più in generale il modo che oggi abbiamo di fruire le informazioni. Non leggiamo più i giornali divisi in cronaca, sport e spettacoli. Ci informiamo attraverso feed di Facebook, dove si susseguono caoticamente contenuti di ogni genere: una news, la foto di un amico, una bella canzone da ascoltare, un’altra news e via di seguito. Ci è sembrato ovvio costruire il Better Days Festival secondo questa logica da “scrolling infinito”, in cui l’unico denominatore comune è quello della qualità, in qualunque ambito della creatività o della cultura digitale. Senza distinzioni tra alto, basso, serio o faceto.

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E quali sono gli spazi a Milano dove ritrovare i temi da voi trattati durante l’anno?
Oltre la neonata Santeria Social Club, che ospiterà il festival, e il Magnolia, che sarà luogo del prossimo rinnovato MI AMI, spesso a Milano si trovano le cose più interessanti in luoghi non troppo ufficiali. Penso a uno spazio come la galleria Gigantic dalle parti di Pasteur, che gioca mescolando arte, editoria e linguaggi digitali, o il Love, bar in Porta Venezia dove ti può capitare di imbatterti in uno showcase di Myss Keta. Ecco, lei sta a questa Milano post-expo, post-internet, post tutto come Sabrina Ferilli stava alla Roma dello scudetto.

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Concordo. A proposito, che cosa vi aspettate rimanga nella testa delle persone dopo il festival?
Il Better Days Festival non è costruito per dare risposte, semmai per invitare a porre altre domande. Spero che chiunque ci venga a trovare il 30 e 31 gennaio esca dal festival con un senso di curiosità rinnovato, un’eccitazione per le tante cose che stanno succedendo nei diversi campi della creatività, della tecnologia e della musica.

Hai scritto un libro intitolato Atlante delle nuove cose, ma c’è qualcosa di vecchio cui sei affezionato e di cui non poi fare a meno?
I libri; mi ostino a leggere quelli fatti di carta.

Startup, realtà virtuale, ossessione per la presenza social: sono a tuo avviso concetti alla moda e in fondo vuoti, o dicono molto bene della nostra contemporaneità? O entrambe le cose?

Non penso assolutamente di vivere un periodo storico vuoto, anzi. Altrimenti non avrei contribuito a organizzare un festival con un sottotitolo come «What a time to be alive», no?. Le parole che citi sono, appunto, solo parole. Diciamo startup per definire chiunque voglia aprire un’attività anche vagamente innovativa. Pure la gelateria di nostro cugino con 10 gusti inventati di sana pianta è una startup ormai. E va bene così: le parole sono solo contenitori che aiutano a farci capire. Riguardo la realtà virtuale, poi, sono almeno 30 anni che ne parliamo, ma nessuno ha la sensazione di averla vista davvero. Spesso definizioni del genere sono modi di collocare nel futuro rivoluzioni già presenti oggi. Che poi è un altro dei temi fondamentali del Better Days Festival: il futuro è adesso.

Atlante delle cose nuove

David Bowie nel 1998 dichiarò che la musica, oggi, ha molto meno senso. Che avesse avuto lui 19 anni a fine 90 l’avrebbe saltata a piè pari per dedicarsi a internet e, al limite, ai videogiochi. Perché a suo dire il valore eversivo, e fortemente politico, della musica che fu oggi è estinto. Concordi?
Chissà cosa avrebbe detto David allora di Riot, il videogame sulle rivolte urbane disegnato da Leonard Menchiari, anche lui tra gli ospiti del festival. Però forse non è la musica ad essersi indebolita, quanto proprio la politica che forse non è più un motore rilevante della nostra società. Infatti è tra i pochi argomenti assenti dal Better Days Festival. Oggi è molto più difficile di un tempo essere eversivi; non esiste più un nemico preciso contro cui scagliarsi. A parte Salvini e le scie chimiche, che rimangono buoni per ogni stagione.

E tu come vivi la città da “immigrato”?
Credo che la città sia davvero cambiata in questi 10 anni. Ammetto di essere quasi “jovanottiano” nell’attribuire al cambiamento un significato intrinsecamente positivo, quindi sono contento di come vanno le cose. Basta poco: tipo i mezzi pubblici di notte durante il weekend. Andare al mercato in Isola e vedere le torri di Porta Nuova sul fondo è un colpo d’occhio notevole, oltre ogni valutazione urbanistica, polica o sociale.

Dove vai a bere e qual è il tuo drink preferito?
In questo mondo pieno di degustatori e sommelier, mi vanto di bere qualunque cosa, ovunque, purché in buona compagnia. Mi piace bere cocktail disgustosi creati (o tramandati) dai miei amici come il Cobra (Coca Cola + braulio), o il Mancini (tequila + lemon + lime).

Quali sono i tuoi ristoranti preferiti? E il tuo piatto?
Sono un amante del cibo indiano. Probabilmente il miglior posto dove mangiare un curry a Milano è il Rangoli di via Solferino. Per la pizza da Geppo in piazzale Bacone.

Facci una tua “Guida a Better Days”; quali sono secondo te gli appuntamenti del festival da non perdere?
Prima la frase d’obbligo: al festival ci sono solo cose fighe. Poi sicuramente il sabato non mi perderei lo scontro di cazzari tra The Pills e Martina dell’Ombra, la possibilità di incontrare Joan Cornellà, Luca Carboni e ovviamente Luigi Serafini, che parla del suo Codex Seraphinianus, che è un po’ l’oggetto misterioso e mistico cui è dedicata la prima giornata (vedi anche i visual della sera con Aucan+Kode9+Pigro). La domenica ci sono Johnny Mox e il suo progetto musicale con i ragazzi dei centri profughi, Nevio Scala, Tommaso Ghidini dell’ESA che parlerà di spazio coi Calibro 35 e, per finire, uno degli incontri più importanti di tutti sulla nuova generazione di musicisti italiani, una cosa che volevamo fare da tempo e finalmente ci siamo riusciti. La sera di domenica si balla con Mo Kolours, Go Dugong e Clap!Clap! appena entrato nella squadra della Warp. Infine vi svelo un segreto: sabato mattina per chi viene molto presto ci sarà una sorpresa musicale davvero grossa e fuori programma…

Tommaso Ghedini_Esa

Molto bene. Finiamo così: quali sono le novità tecnologiche che ti entusiasmano o, al contrario, che ti spaventano? Tipo, hai paura dei droni?
La prima volta che qualche anno fa, era notte a New York, ho visto un iPhone, ho avuto la sensazione di essere in un film di fantascienza di quando ero piccolo. Nessuna tecnologia mi fa paura, a volte le persone che le utilizzano me ne fanno. Prima di tutti quelli che mitizzano ogni aspetto dell’innovazione per fare propaganda politica (la cosa più noiosa del mondo). Poi anche quelli che puntano il dito verso qualunque cambiamento e gridano al lupo al lupo spaventati da nuovi paradigmi, che per i ragazzi di 18 anni sono già regola da anni. Ma non c’è da preoccuparsi, è sempre stato così e sempre sarà. Intanto noi questo weekend si fa festa.

https://www.youtube.com/watch?v=lHz95RYUbik