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Jean Blaise Nguimfack racconta il Black History Month a Bologna

Scritto da Salvatore Papa il 7 febbraio 2023
Aggiornato il 16 febbraio 2023

Febbraio in tutto il mondo è il Black History Month, iniziativa nata negli Stati Uniti per ricordare il ruolo degli afroamericani nella storia dei singoli Stati. Diffusosi poi in diverse parti del mondo, il Black History Month è diventato un’occasione per le comunità afro-discedenti di ritrovarsi e formare piccole reti cittadine o nazionali impegnate attorno alla promozione della produzione culturale afro attraverso film, arte, laboratori, conferenze, cucina, teatro, danza e letteratura.

A Bologna il gruppo locale del Black History Month (BHMB) è nato nel 2020, ma il salto di notorietà è avvenuto nel 2022 grazie alla bella e ampia mostra di Palazzo D’Accursio Les Filons Géologiques.
Quella del 2023 è la quarta edizione del BHMB e si articolerà intorno al tema delle “Rappresentazioni” nell’ambito del Patto per la lettura di Bologna.

Ne abbiamo approfittato per ricostruirne il percorso insieme a uno dei suoi due fondatori, Jean Blaise Nguimfack.

Les Filons Géologiques. Foto di Lorenzo Piano

Partiamo da te: chi sei, da dove vieni, perché sei arrivato a Bologna?

Ho 38 anni, vengo dal Camerun e sono arrivato in Italia nel 2010,” non dal mare ma dal cielo” – come dico sempre – per iscrivermi all’Università di Bologna con un visto studentesco. Ho frequentato Scienze Infermieristiche, mi sono laureato nel 2013 e dal 2014 ad oggi ho sempre fatto l’infermiere prima in strutture private poi pubbliche.

Quand'è che ti è venuta voglia di impegnarti nell'attivismo?

Lavorando ho iniziato a farmi delle domande legate a una certa negatività che percepivo, a una mancanza di considerazione. Gli episodi di razzismo nei confronti del personale sanitario di pelle nera capitano spesso, io stesso ne ho subiti un paio con dei pazienti che non volevano farsi mettere le mani addosso solo per il mio colore della pelle. Piccole cose non gravissime, per fortuna, ma che mi hanno messo davanti a un bivio in cui potevo scegliere tra la rabbia e una reazione costruttiva e ho optato per la seconda.

Com'è nato il Black History Month Bologna?

È nato durante una chiacchierata davanti a una birra con l’amico Patrick Joel Tatcheda Yonkeu che aveva appena finito gli studi all’Accademia di Belle Arti di Bolonga. Ci chiedevamo perché sui media quando si parla di stranieri le notizie sono sempre negative, perché venivano mostrati solo nei campi o nei ghetti. Volevamo trovare un modo di far conoscere i talenti che ci sono e che contribuiscono in maniera positiva al progresso della comunità. Patrick era stato a Firenze per un’edizione del Black History Month e gli era piaciuta quell’impostazione.

Quando siete partiti?

Nel 2020. Firenze era già alla quarta edizione, perciò ci siamo avvicinati a loro per imparare. E si è formato un bel gruppo di cui fanno parte anche il fondatore del BHM di Firenze, Justin Randolph Thompson, altri due ragazzi di Bologna, Lorenzo Piano e Marjana Vangjeli, e un’altra ragazza afro-discendente Marinelys Marte de la Pae. Nel frattempo è nata una piccola rete di BHM in tutta Italia, che unisce oltre a Bologna e Firenze anche Roma, Torino e probabilmente in futuro Milano.

Come vi sostenete economicamente e chi sono i soggetti con cui collaborate?

Abbiamo partecipato a qualche bando pubblico che ci ha consentito di portare avanti delle iniziative, ma perlopiù ci appoggiamo alle risorse di quelle associazioni coinvolte nella produzione degli eventi. Quello che generalmente proviamo a fare è coinvolgere i soggetti del territorio che già lavorano con le tematiche che ci stanno più a cuore. Giusto per fare qualche nome: Next Generation, Il Razzismo è una brutta storia, gli attivisti di Black Lives Matter e in particolare Anthony Chima – che ci ha dato una mano per quest’edizione – o l’associazione Universo che si occupa di inclusione e integrazione sociale.

Che tipo di opinione hai di Bologna rispetto a ciò di cui vi occupate?

Credo sia una città molto aperta e ricettiva. Tra i vari esempi positivi posso citare una mia esperienza di lavoro nei giorni della riapertura del CIE. Il modo stesso in cui venne organizzata l’accoglienza era ben differente rispetto ad altre città, più rispettoso e attento ai bisogni di quelle persone.

Cosa c'è in Italia che non va?

La burocrazia è un calvario. C’è un grosso problema legato al fatto che si fa di tutta l’erba un fascio e anche per chi vuole contribuire alla vita della comunità gli ostacoli sono tantissimi. Per un permesso di soggiorno capita di avere la vita bloccata e questo anche mentre lavori, mentre sei già inserito attivamente.
Ti porto un caso pratico: chi è qui da soli tre anni, quindi non ha un permesso cosiddetto “di lungo soggiorno”, nonostante sia laureato in Italia, non può partecipare ai concorsi pubblici. Questo significa che bisogna continuare ad arrangiarsi fino al momento giusto. Sono ostacoli che non ti spingono a sfruttare al massimo le tue capacità.

Negli ultimi anni si sente spesso parlare di decolonizzazione dell'immaginario e nel vostro programma c'è un incontro legato a questo. A che punto siamo?

Sì l’11 febbraio alla Confraternita dell’Uva avremo la presentazione del numero 59 della rivista Zapruder intitolata proprio Giù le maschere: le decolonizzazioni e le contemporaneità a cura di Sofia Bacchini e Latino Taddei e in presenza dell’autore Carmine Conelli.
C’è un lavoro enorme da fare, a partire dal riconciliare gli italiani con il loro passato coloniale. Non credo che nei manuali scolastici ci sia abbastanza rispetto a questo. Non è stata certo una colonizzazione paragonabile a quella degli inglesi o francesi, ma c’è stata. E sia in via diretta che indiretta. I rapporti economici di oggi sono spesso il risultato di quei processi. Per fare un esempio: pochi sanno che il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel 2016 è stato in Camerun una settimana intera accompagnato da imprenditori e investitori. Queste informazioni vanno raccontate ampiamente per far capire alla cittadinanza che oltre al rapporto di aiuto che viene sempre messo avanti, ci sono rapporti economici importanti che legano le nostre communità da secoli. E la narrazione deve passare a chi questa storia l’ha subita e la subisce, contro i discorsi dominanti. È quello che vorremmo provare a fare anche con Black History Month Bologna.

Raccontaci il resto del programma di quest'anno.

Siamo partiti innanzitutto da una lista di consigli di lettura di autori afro-discendenti in collaborazione con la Biblioteca Cabral e la libreria la Confraternita dell’Uva che hanno allestito una vetrina dedicata alla letteratura africana e della diaspora.

Tra le presentazioni, oltre a quella dell’11 febbraio di cui abbiamo già parlato, avremo il 17 febbraio sempre alla Confraternita Blackness & Diritti Civili. Wright, Baldwin e Ellison. Tre declinazioni dell’America nera con Emanuele Giammarco (Racconti Edizioni) e Anthony Chima (coordinatore di Black Lives Matter a Bologna); poi due appuntamenti alla Cabral: il 21 febbraio la presentazione di Tutta Intera di Espérance Hakuzwimana con l’autrice in conversazione con Marie Paule Nguessan e il 21 febbraio la presenza di Marie Moïse, traduttrice del libro di bell hooks Da che parte stiamo. La classe conta (Tamu Edizioni) a cura di Mackda Ghebremariam Tesfau’. Marie Moïse terrà anche il workshop Memorie da sottopelle. Laboratorio di coreo/grafie decoloniali il 28 febbraio.
Da segnalare anche la conferenza Il grado zero del razzismo intorno al numero 96 della rivista Africa e Mediterraneo (23 febbraio alla Cabral), il concerto di Ariane Salimata Diakite il 25 febbraio al Bravo Caffe e la rassegna di film d’autore a cura di Matias Mesquitas in presenza dei registi presso The Social Hub (ex The Student Hotel Bologna). Infine la mostra in corso Metaphores dell’artista Ibrahim Ballo alla Nebbam Gallery curata dal nostro Patrick Joel Tatcheda Yonkeu.

 

QUI IL PROGRAMMA COMPLETO