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Katatonic Silentio

Il suono come chiave di lettura: dalla musica alla ricerca, i mezzi per interpretare realtà e società

quartiere Centrale

Scritto da Tommaso Monteanni il 20 febbraio 2022
Aggiornato il 24 febbraio 2022

Foto di Luca Grottoli

Molte persone, quando cercano di capire la realtà che le circonda, preferiscono cercare spiegazioni che tendono a semplificare le cose piuttosto che tenere conto dei tanti e complessi elementi che la compongono. Questo è un approccio che non interessa minimamente a Mariachiara Troianiello, AKA Katatonic Silentio: artista del suono campana dislocata a Milano, quartiere Centrale, da più di 10 anni. Prima di questa intervista la conoscevo principalmente come DJ, per poi scoprire che la sua attività in consolle è solo la punta, forse meglio cresta, di un’onda più complessa che restituisce i suoi molteplici lavori e progetti giornalieri. 

La sua musica si divide in due filoni principali contraddistinti da attitudini molto differenti. Il primo dei due è la parte più “Katatonica” del progetto, musica di scuola Bristol. Da dancefloor. Appartenente al vasto contenitore della bass music: bassoni e batterie taglienti, suoni duri e acidi di stampo industrial capaci di percuotere il pubblico e di gettarlo dentro un vortice dove energie oscure trasportano l’ascoltatore durante il set. Tra le sue ultime uscite e collaborazioni di questo tipo bisogna citare l’EP Tabula Rasa uscito per Ilian Tape nel 2021, e l’LP Prisoner Of the Self uscito invece per Bristol NormCore nel 2020. L’altro filone rispecchia invece la parte più riflessiva, un’interpretazione della musica e del suo spettro di emozioni. Una musica sullo stile elettroacustica/ambient/drone dove il “Silentio” si costituisce di suoni rumorosi, sempre industrial (fil rouge della sua musica), che che vanno però ascoltati e introiettati, da fermi, concentrati sulla percezione di ogni onda che colpisce il corpo dell’ascoltatore. Per i più avvezzi alla sintesi sonora, potremmo vedere ogni attività come un insieme di grani che producono un’onda sconosciuta. Per chi invece comprende la sintesi solo come una conclusione unitaria, un riassunto, le sue attività possono essere viste come pezzi di un puzzle di cui non si conosce l’immagine finale. Proprio per capire alla fonte quali sono i pezzi del puzzle e come comporli senza farmi troppo male, ho fatto due chiacchiere con lei.

«Il suono: un dispositivo utile per fare ricerche e capace di spiegare fenomeni della vita reale.»

Ore 17:57, esco dalla Metro di Centrale. Sono in ritardo. Ho appuntamento alle 18:00 con Mariachiara al Reverend, un Cocktail Bar in via Zuretti 9 (meno di dieci minuti a piedi dalla stazione). Il posto l’ha scelto lei e guarda caso la prima cosa che si nota entrando sono degli scaffali pieni di vinili accuratamente sistemati: il Reverend oltre a spillare buone birre vende anche dischi. Location appropriata per il nostro incontro.

 

Vieni spesso in questo posto? Come mai hai scelto di incontrarci qui?

In realtà non così spesso, anche perché non è aperto da troppo tempo. Lo trovo molto accogliente e mi piace la via di mezzo tra bar e posto in cui fare digging.

Last but not least, mettono molta cura in quello che fanno.

Vivi da molto qua in Centrale?

Vivo in Centrale da undici anni, da quando sono arrivata a Milano.

Non sono in molti tra quelli che si trasferiscono a Milano ad approdare e rimanere nella stessa casa dal giorno zero.

Vero. Devo dire che col tempo mi sono trovata bene soprattutto per questioni logistico-organizzative e quindi è diventata la mia base operativa dalla quale muovermi e spostarmi. Soprattutto per andare a suonare in giro.

Cosa pensi di Centrale come quartiere?

È un luogo di contraddizioni dove è possibile percepire il disagio tipico della “zona stazione” delle città e dove comunque avanza la gentrificazione che col tempo amplia le differenze e aumenta le contraddizioni. Si vedono palazzi e attività commerciali super fighi e super nuovi e girando l’angolo puoi trovare decine di persone che dormono per strada e/o nei tunnel, sempre che non vengano sgomberati.

Contraddizioni a parte, la considero una zona stimolante, diversa. È una zona eterogenea dove tutti si mischiano e si possono trovare tutti i tipi di persone. Anche gli spazi sono eterogenei. Le strade principali più vicine alla stazione sono più affollate e rumorose, mentre se ti sposti nelle parti più defilate puoi trovare anche zone di quiete.

E vivere qua ha avuto un impatto sulla tua vita artistica? Ti ha permesso di incontrare persone affini al tuo mondo?

Sì, decisamente. Vivo tra il Tunnel e il Leoncavallo. Posti che nell’insieme negli anni hanno contribuito a creare  un bel melting pot che mi ha permesso di incontrare persone provenienti a diversi ambiti, da quello più ruvido, Industrial e politico,  a quello legato al  clubbing (il Tunnel è stato uno dei punti di riferimento per questo settore). Non direi che è la zona più fertile di Milano per questo tipo di incontri ma per il semplice fatto che ci sono meno punti di ritrovo rispetto ad altre zone.

Con la città di Milano, invece, che rapporto hai?

Un rapporto in costante evoluzione. Sono arrivata da studentessa, e se sono rimasta a Milano così a lungo senza dovermi trasferire in altre città è perché sono riuscita a fare diverse cose che mi interessavano senza annoiarmi, crescendo e tenendomi in movimento. Ovviamente ho incontrato anche difficoltà che magari in altri paesi non avrei dovuto affrontare (es. per il riconoscimento della professione di artista presente in Inghilterra o in Germania e molto assente in Italia), che però nelle giuste quantità sono state stimoli per superarsi. Infine qua a Milano sono riuscita a costruirmi la mia comfort zone di tranquillità da cui prendere, girare, partire e ritornare, cosa molto importante per me… è proprio una mia esigenza personale.

Parlando invece di musica, molti sanno che Katatonic Silentio è una dj e producer, ma leggendo un paio di cose sul tuo sito online emerge subito che la musica rappresenta solo una parte dei tuoi impegni e passioni, e che le parole “ricerca” e “suono” sono tra le più usate. Dunque ti chiedo chi è Katatonic Silentio e quali sono le altre cose a cui ti dedichi oltre alla musica?

Katatonic Silentio nasce anni fa come DJ per poi evolversi nel tempo, per esigenza. A un certo punto mettere i dischi non mi bastava più. Studiando comunicazione e media mi sono accorta che il suono ha un aspetto molto più antropologico e sociologico, che in un certo senso si distacca dalla forma e apre delle strade verso la sostanza, diventando un dispositivo utile per fare ricerche e capace di spiegare fenomeni della vita reale. Un esempio specifico di quello che vado a studiare e di ciò che mi interessa può essere quello della sintesi granulare: un processo dove il suono viene decomposto e sviscerato. Attraverso tale processo si può scendere nel profondo e scardinare alcuni concetti, mettendo in discussione tante cose.

Che progetti hai in ballo al momento?

Sicuramente ricerca radiofonica. Ho iniziato facendo una tesi a riguardo anni fa per poi ri-appassionarmi alla radio come strumento performativo. Quindi tutto quello che c’è nella radioarte a tutto campo. Mi ci sono dedicata molto negli ultimi due anni: ho studiato la radio e provato pratiche radiofoniche sperimentali. Al momento ho una residenza radiofonica mensile su Radio Raheem che si chiama “Expanded Radio Research Unit” durante il quale porto performance live registrate, dove ad esempio faccio campionamento di frequenze radiofoniche, oppure invito artisti che presentano lavori specifici sul tema. Restando sempre in campo radiofonico, faccio parte da poco del comitato scientifico di USMARADIO, Centro di Ricerca Interdipartimentale per la Radiofonia dell’Università Degli Studi Di San Marino.

Un’altra cosa  che sto portando avanti da un po’ riguarda lo studio del rapporto fra suono e spazio/architettura dei luoghi, spesso all’interno di spazi di un certo tipo (come chiese sconsacrate). Un progetto che svolgo con i ragazzi di Anonima Luci, che fanno principalmente installazioni con laser con cui riescono ad annullare gli spazi e a ri-crearli da zero. Con loro oltre ad esserci un dialogo allineato in merito alla ricerca c’è anche un rapporto di amicizia. Di recente abbiamo fatto un’installazione all’ex lavatoio di Cesenatico, una struttura di 36 metri dove ogni laser installato era comandato da un suono.

Bello tosto!

Tostissimo… Un lavoraccio! Inoltre a livello sonoro era tutto spazializzato in esterna. A questo proposito, un altro ambito di ricerca su cui sto lavorando è appunto la spazializzazione del suono, come e perché il suono si muove nello spazio. L’altra parte che mi interessa della questione è l’immersività conseguente alla spazializzazione: come l’opera d’arte immersiva cambia la percezione dello spettatore che è circondato da stimoli e segnali.

Ricerca a parte, stai lavorando a della musica nuova? Qualche uscita in ballo?

Tra le varie ricerche che porto avanti cerco sempre di tenermi dello spazio per produrre ed andare a suonare in giro, dato che la musica rimane comunque il core principale tra le cose che faccio. Al momento ho diverse cose in ballo: sto lavorando a un nuovo disco, un LP, a un paio di EP e anche a dei remix. Ho un bel po’ di materiale registrato dalle mie live performance dalle quali attingere per produrre nuova musica.

E nelle tue Live performance c’è molta preparazione oppure ti lasci trasportare dal flusso e dall’improvvisazione?

In realtà mi piace arrivare molto preparata, anche perché sono una persona ansiosa (ride). C’è sempre un margine di improvvisazione, ma possibilmente cerco di strutturare dei live ad hoc per ogni situazione e spazio. Ovviamente questo processo di preparazione facilita poi quello di produzione musicale per i miei dischi, in quanto come detto sopra, è uno dei punti di partenza quando mi trovo in studio.

A questo proposito, sei una di quegli artisti che producono tanto e stanno spesso in studio oppure il tuo processo è più determinato da periodi singoli in con elevata creatività dove porti a termine buona parte del progetto a cui lavori?

Come per molti la musica per me è un’esigenza. Quindi il tempo speso in studio è sempre tanto. Allo stesso tempo sono una di quelle persone che non riesce a forzarsi nella produzione musicale/creativa. Necessito dei miei tempi per poter partorire nuove cose. Ad esempio in questo periodo ho dovuto rinunciare o rallentare qualche proposta/collaborazione proprio perché non volevo essere chiusa in scadenze che al momento per me sarebbero controproducenti. Per lo stesso motivo ho sempre prediletto dei lavori di vario genere anche esterni alla musica per vivere, per poi gestire il mio tempo e le mie economie di conseguenza, senza dover forzare appunto il processo creativo in una chiave economica.

Ti senti di aggiungere qualcosa oltre a quello che ci siamo detti?

In quest’ultimo periodo sono molto titubante sulla situazione che c’è qua a Milano per quel che riguarda la scena musicale elettronica ed artistica. I posti dove esprimersi a livello artistico stanno diminuendo e c’è molta disgregazione tra le persone. Il tema su cui mi interrogo è su come ritrovare, o meglio creare, una scena unita. È un momento in cui bisogna spalleggiarsi e vorrei lanciare una call to action: sarebbe il momento di  ragionare tutti insieme su come rivendicare dei luoghi  o crearne di nuovi. Alcuni di questi hanno finito l’energia dopo tanti anni e non ha senso trascinarli fino allo sfinimento. Quello che sarebbe bello capire in maniera collettiva è come ricreare questi spazi che possano essere terreno fertile per gli anni a venire.