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Maga Furla

Se c’è una storia altra del quartiere questa la trovate al bancone del Maga Furla

quartiere Bicocca

Scritto da Diego Belfiore il 15 marzo 2023
Aggiornato il 24 marzo 2023

Foto di Lera Polivanova

Ogni quartiere ha il suo locale di riferimento, e in Bicocca è lo stesso da vent’anni. Tutt’ora anima del mercoledì sera e luogo in cui si conserva l’anonimità degli artisti ospiti all’Arcimboldi, il Maga Furla è a tutti gli effetti un’istituzione. L’inamovibile vedetta e ritrovo a Milano Nord, tra l’ostinatezza di un pub che ha fatto scena, filosofi, Miyazaki e certamente un fiume di birra che scorre carsico sotto al quartiere. Sabrina e Paola, due del quartetto fondatore del Maga Furla, ci raccontano peripezie e miracoli dell’unico vero pub della Bicocca.

«Non sono tante le alternative: o vieni qui o vieni qui.»

Da dove arriva il Maga Furla?

S: Nasce da un gruppo di quattro: Paola, Sabrina, Andrea e Valerio. Abbiamo aperto vent’anni fa, l’undici gennaio 2003. Noi tutti lavoravano già in locali – a parte Valerio, che lavorava in regione come informatico. Abbiamo lavorato al Midnight, uno storico locale Heavy Metal di Milano, io ho lavorato al Tunnel tanti anni, Andrea ha lavorato all’Alcatraz. Tutti suonavamo e quindi ci piaceva l’idea di aprire un locale dove la musica fosse abbastanza centrale, e alla fine ce l’abbiam fatta. Valerio continuò a lavorare in Regione per un anno facendo la notte al Maga il giorno in ufficio. Poi s’è trasferito definitivamente qui.

Domanda di rito, fondativa: vent’anni fa decidete di aprire un locale e lo fate nel posto più sperduto di Milano, perché?

S: Abbiamo pensato che questo sarebbe stato un quartiere in divenire, sia per l’università che per il teatro. Se vedi, questo grosso edificio grigio davanti a noi era la sede degli uffici della Scala, che durante la ristrutturazione del Piermarini si esibiva all’Arcimboldi. Abbiamo detto: da qui a vent’anni si riesce a fare qualcosa. Per altro in quegli anni la zona era terribile. C’era ancora il muro di cinta al posto dello spartitraffico, davanti al locale era tutto sterrato, in pratica camminavi nel fango. C’erano solo i palazzi delle facoltà di Biologia e Scienze della Terra se non sbaglio, conta che quando abbiamo aperto si parcheggiava in mezzo alla strada.

C’è una storia per il nome del locale?

P: Abbiamo sempre pensato di dover costruire una storia sul nome, ma la realtà è semplice: è l’acronimo dei nostri cognomi. Inizialmente il locale doveva chiamarsi “Muse” ed è stato Muse finché non siamo andati dal notaio a creare la società. Lì, davanti alla scrivania, Valerio che ha l’occhio evidentemente più attento tra tutti, ha messo insieme le iniziali dei nostri quattro cognomi e ha detto «Mazza, Gallo, Fuzio e Forlani: è andata, chiamiamoci Maga Furla». Niente di esoterico perciò, siamo semplicemente noi quattro. Se poi guardi il logo sulle magliette del locale ci sono le faccine degli spiritelli di Miyazaki in Principessa Mononoke, rivisitati con i tatuaggi di ognuno di noi. Ecco, se proprio dobbiamo dirlo, è questo il nostro lato fantasioso.

Dicono che i clienti dei locali rispecchino i proprietari, quindi: chi sono i frequentatori del Maga Furla?

S: Verissimo. Il nostro cliente tipo è innanzitutto e inevitabilmente una persona simpatica e ben disposta alla chiacchiera. Vengono tantissimi ragazzi e musicisti, a volte passano da noi anche artisti famosi per via del teatro – siamo vicini all’Arcimboldi ed è risaputo che questo è un posto tranquillo. È venuta Elisa per più di una sera, anche Nitro e Salmo sono passati di qui. Vi siete aperti anche all’hip hop?, ci chiedevano, ma in realtà sono sempre stati gli altri ad adeguarsi al clima del locale, e tutti si sono sempre trovati bene, a casa. Tra l’altro qui facciamo tantissime iniziative su varie tematiche – come il referendum sul nucleare, quello sull’acqua o nel 2011, quando c’è stata l’elezione di Pisapia, abbiamo aperto le porte ai comitati che volevano fare sensibilizzazione. Non abbiamo mai nascosto il nostro orientamento politico, insomma: qui trovi il Che Guevara attaccato all’entrata; sicuramente il fascista non viene al Maga Furla.

Tra tanti clienti chi è la l’habitué del Maga Furla?

P: C’era questo nostro amico storico che è venuto a mancare lo scorso anno, era qua quasi tutte le sere. Gli abbiamo dedicato uno sgabello con il suo logo. Rappresentava proprio il cliente tipo del Maga Furla: quello che arriva tutte le sere, si siede al bancone e si relazione con te, sempre. Era un filosofo e si poteva parlare con lui di ogni tipo di argomento, dalle cose più serie a quelle più leggere.

A differenza di altri locali nel quartiere, siete rimasti nel tempo. Qual è il segreto?

S: Sicuramente la passione per il nostro lavoro, poi aiuta essere in quattro perché quando qualcuno si lascia un po’ andare c’è chi è subito pronto a sostenerlo. Siamo stati bravi a ricompattarci sempre ed essere uniti rispetto a quello che stiamo facendo. Abbiamo veramente giovato di questo nostro rapporto personale, anche nei momenti in cui le cose non andavano bene: «Prima di tutto ci siamo noi», ci si diceva «c’è il nostro rapporto che va salvaguardato e poi c’è tutto il resto». È andata a finire che ormai siamo il riferimento della Zona Nove.
P: Abbiamo poi creato un rapporto quasi confidenziale anche con i nostri fornitori, rinunciando spesso a contratti più vantaggiosi sul piano economico in favore di un piano umano, fondato sulla confidenza e la sincerità. Leggo quasi una spinta a creare una rete di persone che cooperano. In fondo chiunque lavora con noi riscontra una sorta di amicizia, di legame – e questo nel bene e nel male, perché a volte ci starebbe mantenere una sorta di distacco professionale ma alla fine abbiamo gruppi WhatsApp che si chiamano “Magafamiglia”.

In tutti questi anni che idea vi siete fatti della zona?

S: Bicocca è un quartiere di passaggio. La gente arriva alla stazione, scende dal treno, entra nei propri edifici, esce dagli edifici e torna sul treno. Non ci sono servizi, abbiamo solo una parafarmacia e tanti locali che vengono frequentati dagli studenti in pausa pranzo e fine. Se ti fai un giro del quartiere non ci sono tanti palazzi dove la gente vive, e non essendoci una cittadinanza vera e propria non c’è nemmeno un comitato di quartiere e quindi, per ora, non si riesce a uscire dalla realtà del quartiere studio.

Vent’anni, e soprattutto qui, come ve li siete passati?

S: Come per tanti il periodo peggiore sicuramente è stato il Covid. Prova a immaginare com’era questa zona in quel momento. Persino vent’anni fa, quando avevamo aperto e non c’era nulla, riuscivamo a lavorare bene, anzi. Ma il picco in positivo, mi dispiace per loro, è stato quando la Moratti chiuse tutta la parte attorno al Mom in Viale Montenero. All’epoca il Mom attirava centinaia di giovani che andavano a far serata. Da un giorno all’altro ci siamo, inspiegabilmente, trovati tutta la gente del Mom qua. In quel periodo eravamo aperti sia di giorno che di notte, ed è stato divertente e faticoso allo stesso tempo. Poi abbiamo deciso di chiudere il ristorante di giorno. È stata una scelta per concedere spazio alle nostre vite private. Sai, abbiamo sempre messo davanti a tutto il nostro benessere fisico e psicologico, non abbiamo bisogno di diventare ricchi, anche se sarebbe bello. Il tempo, secondo noi, ha un valore in più.

La domanda successiva sarebbe stata “cosa non deve mancare in una gita in Bicocca” ma evidentemente è il Maga Furla.

S: Ci hai rubato le parole di bocca. Anche perché non sono tante le alternative, o vieni qui o vieni qui. Poi il mercoledì sera siamo un’istituzione: dal 2003 facciamo la birra scontata e vedi gente per tutta la strada. Ci sono solo tre cose con le quali il Maga deve confrontarsi: Sanremo una volta all’anno, il calcio perché mentre vanno le partite teniamo la musica e la gente vuole sentire il cronista che parla, e il freddo.