Ci sono posti che vengono detti per frasi fatte, e una su tutte è: «Andiamo in pausa?». Così è Ristochic, mensa storica e vigorosa tra i mattoni di Viale Sarca che ha più l’inclinazione del ristorante a conduzione famigliare che di self-service. Basta entrarci una volta per saggiare le atmosfere della caciara e dei pranzi vigorosi, dei canti e del calore domestico. Qui ci si traveste da Raffaella Carrà per servire una paella, e si dice che in segreto le artistar pranzino tra una mostra e l’altra.
«Questo quartiere è il posto giusto, se non l’unico, dove incontrare per caso una star della televisione o dell’arte.»
Cominciamo dalle basi: raccontaci il momento in cui avete scelto di approdare in Bicocca.
All’inizio avevamo un’altra mensa in Via Comune Antico, sempre vicino a Viale Sarca. Lì c’erano gli uffici dell’ACI Global – quelli del carro attrezzi – prima che diventassero unità abitative. Rischiammo di perdere il locale e gli anni di lavoro dei miei genitori, ma l’amministratore delegato dell’ACI ci chiese di aprire una mensa nei loro nuovi edifici, proprio dove ci troviamo adesso. Pensa che volevano esplicitamente che fosse una famiglia a gestire la pausa pranzo dell’azienda. Per i primi due anni c’erano solo i dipendenti, e la ragione era semplice: non c’era nient’altro. Ma piano piano abbiamo iniziato a farci notare dagli operai di via Ernesto Breda e, anche grazie ai clienti storici, è andata sempre in meglio. Tutto si reggeva, un po’ come ora, sul passaparola. Dopo un paio d’anni sono iniziati i lavori di costruzione dell’edificio U16 qui davanti. Sono arrivati muratori, idraulici, elettricisti, insomma professionisti che dovevano lavorare alla realizzazione della struttura, e noi abbiamo cominciato a lavorare forte. Ora, senza nulla togliere a chi lavora in ufficio che magari si sazia con un’insalatona, l’operaio, giustamente, fa un pasto completo e magari si mangia pure un altro secondo. A oggi, nell’edificio hanno preso casa realtà come Triboo che si occupa di digital, Coppola che è una stella dei parrucchieri italiani, diversi showroom e studi di architettura.
Quindi la tua famiglia si occupa storicamente di gestire mense?
Esatto, una delle prime mense di mio padre era dove c’è la Torre Velasca: parliamo di una mensa su quattro piani da 1300 pasti al giorno. Mi ricordo che andavo lì quando ero piccolino, avevo due o tre anni – io e mio fratello siamo praticamente cresciuti in questo mondo. Mia mamma, che si chiama Salvina, ha lasciato il suo lavoro da infermiera per seguire mio padre, che al di là delle mense ha sempre lavorato nell’ambito della ristorazione, tra bar, ristoranti, hotel… arrivava da una famiglia di nove fratelli, e non litigava mai. E questa è stata una grande lezione, pensa che le uniche due volte che abbiamo litigato io e mio fratello sono state per decidere il menù – ma tanto non c’è storia perché poi decido io. Facendo un paragone con lo sport potremmo dire che sia stato un forte esempio di attaccamento alla maglia. Oggi siamo in quindici qui dentro, a volte non è semplice coordinare il lavoro di tutti ma è come se fossimo diventati una grande famiglia. Conta che, alla fine dei giochi, potrei starmene comodo e far lavorare gli altri ma, se c’è bisogno, mi metto a lavare le pentole, pelo le patate.
Sbaglio o anche se sulla carta siete una mensa sembra che il modo in cui approcciate al lavoro sia più quello di un piccolo ristorante a conduzione familiare?
Sì, è proprio così. Se vieni a mangiare tutti i giorni da noi e a un certo punto non vieni più, non scappi: se ti vedo fuori a fumare te lo chiedo perché non vieni più. Per tante mense il servizio è solamente dare qualcosa a pranzo, qui vogliamo qualcosa in più. Per farti un esempio del mio attaccamento, se mai capitasse di trovare un insettino o qualche cosa nel piatto – nonostante i doppi lavaggi che facciamo alle casse di verdura fresca – avrei per giorni il groppone in gola. Mi viene male soltanto a parlarne. Devo dire che da come una persona si muove nel locale, da cosa guarda, capiamo di cosa potrebbe avere voglia e noi la accontentiamo. Diciamo che stare qui è diventato una passione.
In questi vent’anni sono state aperte molte altre attività, avete mai sentito la pressione della concorrenza?
L’abbiamo sentita quando ha aperto il Toast to Coast – che è un bellissimo locale, tanto bello che forse noi non saremmo proprio mai stati capaci di realizzare un posto così, ma alla fine non è un problema. Anzi, magari si forma meno fila fuori e arriva qualcuno di nuovo che finisce per affezionarsi. La via è grande e c’è davvero spazio per tutti. Persino gli studenti, che all’università avrebbero dei prezzi agevolati, vengono qui. Tutti i giorni vengono sulle trecentocinquanta persone, non la chiamo nemmeno concorrenza, i locali di questa zona sono un insieme di diversità che, armonicamente, coesiste.
Chi sono i tuoi clienti?
Principalmente impiegati e studenti. D’altronde questo è un quartiere che non ha una vita locale propria, ma un posto di passaggio lavorativo e studentesco. Non credo che, per ora, Bicocca abbia le carte per uscire da questa dimensione. La cosa divertente è che magari ci sono poche persone che abitano qui, ma una cosa è certa: questo quartiere è il posto giusto, se non l’unico, dove incontrare per caso una star della televisione o dell’arte. La ragione anche qui la sanno tutti. Ci sono aziende di e-commerce, giornali come il Sole24, ovviamente l’HangarBicocca… pensa che anche da noi passano spesso personaggi di questo calibro. Una volta sono le showgirl dei programmi televisivi – ci capitò per esempio Madre Natura di Ciao Darwin –, ma anche le modelle che vengono da queste parti, nella via qui di fianco, per gli shooting, per non parlare poi degli artisti internazionali invitati dall’HangarBicocca che di tanto in tanto vengono qui per pranzo. Vedi, alla fine questo posto ha anche un’estetica che definirei a metà tra il rurale e l’industriale, anche se di propriamente rurale c’è ben poco se non al Parco Nord, insomma, un paese che si presta molto bene a essere inteso come tale. Pensa questo poi: come si comportano quattrocento persone sedute a mangiare quando si rendono conto che lì in mezzo ci sono anche dei volti celebri? La risposta te la do subito: benissimo. Sono tutti molto carini e simpatici. Se non è paese questo!
Abbiamo un’indiscrezione: anche tu sei stato in televisione, vero?
Sì, ho fatto Reazione a Catena! La cosa è nata con due amiche che dovevano andare con un altro ragazzo, che però all’ultimo non ha potuto partecipare. Siamo quindi andati ai provini e, siccome alla fine ho un carattere iper-competitivo e mi ritengo pure una persona sveglia, ci hanno presi, e ci siamo diretti a Napoli per registrare quattro puntate. E anche qui l’atmosfera della mensa è fondamentale: appena tornato a Milano abbiamo visto la messa in onda tutti assieme, con i clienti, ed è stato molto divertente. Ho anche giocato e allenato pallavolisti (tutt’ora alleno, in verità) ma niente, nemmeno la televisione, mi farebbe allontanare da questo posto. Certo, ogni tanto mi dico che mo’ basta, mo’ ce ne andiamo ai Caraibi, eppure anche dopo essere stato in America con mio fratello Giuseppe il legame con la mensa rimane indissolubile. D’altronde è qualcosa di famiglia, ha una storia, dei sentimenti, dei ricordi. Pensa che mamma ancora viene a darci una mano, quando può, anche se è in pensione. Qui c’è cuore, e i nostri clienti lo sentono, ne sono sicuro. Sai, un giorno ho fatto la paella e mi sono vestito da Raffaella Carrà per servire ai tavoli: tutti si sono divertiti molto, e la gente ha bisogno anche di questo. Domani invece faccio venti chili di pizzoccheri, ti aspetto.