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Marco Sbrosi

La virtualizzazione della realtà, tra produzione e sperimentazione in Pirelli

quartiere Bicocca

Scritto da Piergiorgio Caserini il 15 marzo 2023
Aggiornato il 23 marzo 2023

Foto di Lera Polivanova

Molte trasformazioni della Pirelli sono state evidenti: dal quartiere con l’università, il centro di ricerca, le residenze e i villaggi fino allo spostamento della produzione a Bollate, ma tante altre sono invisibili. Trasformazioni vitali, di innovazione, che avvengono sotterranee e in rete. Una di queste è il simulatore di guida di Pirelli: una realtà aumentata che mira ad assottigliare le differenze tra circuiti reali e virtuali, a sperimentare e testare nuovi prodotti, e il cui scopo è porre al centro della ricerca la componente umana.

«L’umano è la chiave, poiché non è modellabile o virtualizzabile.»

Da quanto tempo ti occupi del simulatore di guida?

Al simulatore ci lavoro da parecchi anni. Abbiamo da lunga data collaborazioni e attività sulla virtualizzazione, ma il simulatore in sé lo abbiamo in dotazione dagli inizi del 2020. Da quel momento sono responsabile delle due attività che facciamo con questo sistema altamente tecnologico. Una è quella che ci si può facilmente immaginare: testing virtuale con collaudatori professionisti, dove testiamo i nostri pneumatici; e poi tutta una parte di attività più metodologica, di sviluppo strumenti di analisi, correlazione dati tra valutazione oggettiva e soggettiva, sperimentazione… 

Come funziona un simulatore di guida, cos’è?

Per come la vedo io è un po’ l’anello di congiunzione tra la realtà e la simulazione: è l’elemento che pone al centro l’essere umano – il driver – e che collega la simulazione con il testing. Mettere al centro il collaudatore è l’obiettivo primario del simulatore, e viene fatto attraverso un cockpit – una macchina – che legge gli input del pilota attraverso volante, pedaliera e cambio e li manda a un modello matematico che simula la dinamica del veicolo e restituisce il feedback al cockpit e quindi al pilota stesso. Si tratta di feedback che vengono date su tre livelli: visivo, audio e aptico – sensoriale. Per quanto riguarda il visivo, abbiamo uno schermo molto ampio, proprio per dare l’immersività completa in realtà virtuale. Lato audio c’è un modello che riproduce le varie sorgenti sonore – soprattutto del pneumatico – anche in funzione del punto di provenienza; mentre sulla parte fisica abbiamo diversi sistemi attivi come le cinture di sicurezza , il sedile e il volante, che è uno dei principali strumenti attraverso cui il collaudatore valuta il pneumatico. 

Qual è l’importanza di avere un essere umano all’interno di una simulazione?

Per quanto riguarda la valutazione dei pneumatici c’è un’importanza decisiva della percezione soggettiva   che concorre, insieme ai dati oggettivi, alla delibera finale del pneumatico sulla vettura. Per arrivare a simulare questo in ambiente virtuale abbiamo la replica virtuale degli stessi circuiti in cui i collaudatori andranno poi a provare fisicamente i pneumatici, ed è questa la parte importante. Il simulatore è una simulazione della realtà, e in quanto tale richiede di riprodurre gli scenari che i nostri driver vedono quotidianamente – anche per compensare, per così dire, il gap che è presente tra simulatore e realtà: il simulatore non è una macchina vera e guidare il simulatore non è proprio come guidare in pista, perciò è importante riprodurre lo stesso scenario che il pilota ha bene in mente per facilitare e rendere più realistica  la transizione verso il simulatore.

Inoltre, avere la possibilità di mettere assieme la valutazione soggettiva con i dati simulati ci permette di sviluppare strumenti di analisi che concedono di capire in anticipo, anche rispetto a futuri collaudatori, quale sarà la miglior combinazione. L’obiettivo è anche quello di capire qual è il modo migliore di progettare un pneumatico che verrà valutato positivamente, e quindi arrivare ad aver il minor numero di prototipi prodotti possibile.

Bisogna insomma fare convalida tra realtà e virtuale.

Quando parliamo di virtualizzazione e quindi di modelli, la parte di validazione è fondamentale. Ovvero avere un punto di riferimento sul quale poter dire che  un veicolo reale su un circuito e il clone virtuale si comportano nello stesso modo, ecco: questa forma di validazione, di ponte con la realtà, è fondamentale per uno sviluppo virtuale robusto.

Si dice che chi ha più dimestichezza con videogiochi o realtà virtuale sia più portato a sopportare quella confusione sensoriale, vestibolare, che ogni simulatore di questa portata dà – almeno agli inizi. È vero?

Per qualche motivo sì, confermo. Tutti i nativi digitali, un po’ in generale i più giovani, soffrono meno – anche al primo contatto. Ma credo che in ogni caso, fisiologicamente, un passaggio sia indispensabile. Bisogna pensare il simulatore come una sorta di realtà aumentata: la parte hardware, che è il cockpit del veicolo e riguarda principalmente le sensazioni del pilota (l’idea di salire su una macchina vera), e la parte virtuale che è la l’immersione nella simulazione. Per quanto si cerchi di ingannare il cervello del pilota, non si può arrivare a replicare le sensazioni di una macchina vera, neanche sui simulatori più evoluti in quanto lo spazio di movimento è sempre più o meno limitato. Quel che accade è che si crea un  contrasto tra il pensare di salire su una macchina vera e il sapere che stai entrando in una simulazione. Ma è qui che sta la parte di training: abituare il cervello a capire gli input che ti sta dando il simulatore e a leggere quei feedback come se arrivassero da una macchina vera.

Quello che sperimentiamo e vediamo è che dopo la prima fase di training cognitivo, che serve a far capire cos’è il simulatore la percezione dei feedback diventa più nitida e meno confusa, le risposte del veicolo  vengono lette dal pilota con più facilità e tutto diventa più fluido e naturale fino quasi a dimenticarsi che si sta guidando una simulazione.

Tra le varie repliche virtuali, cos’è più difficile da riprodurre?

Dobbiamo prima di tutto distinguere qui due livelli: quello di simulazione in senso più ampio del termine e quello di simulazione in tempo reale. Il simulatore funziona come concetto perché tutti i calcoli vengono eseguiti in tempo reale, e questo serve a poter interagire con il pilota. Qui la difficoltà è quella di riuscire a simulare “velocemente”, circa 1000 volte al secondo. Di conseguenza, la cosa difficile è condensare tutta la complessità della fisica e dei relativi modelli in un numero ridotto di parametri, senza perdere accuratezza.

Nei vari percorsi d’esame e testing, dove si colloca il simulatore?

Essendo l’elemento di congiunzione tra la pista e la progettazione si colloca alla fine del processo di sviluppo virtuale. Possiamo vederlo come l’ultimo step prima della pista, prima di vedere fisicamente il pneumatico. Nella prima fase dello sviluppo virtuale si progettano le geometrie, si fanno le simulazioni  strutturali, poi le caratterizzazioni virtuali del pneumatico in senso stretto, poi viene simulato l’accoppiamento del modello di pneumatico con il modello di veicolo e infine sul simulatore vediamo l’interazione del sistema veicolo-pneumatico con il collaudatore. La differenza tra una simulazione al simulatore e una al computer (dove si può fare quasi tutto ciò che si fa nel simulatore) infatti è proprio l’interazione con il collaudatore. L’umano è la chiave, poiché non è modellabile o virtualizzabile. La manovra che può fare un driver virtuale è preimpostata, mentre al simulatore esiste una componente che è, per esempio, lo stile di guida del driver. Elemento che è esasperato nell’ambito racing, è proprio la sinergia  tra il pilota e la macchina che permette di esprimere la massima performance.

Il cockpit ha una storia?

L’auto nel nostro caso era una vettura da test, un veicolo reale che a fine vita è stata prelevata dal circuito e trasformata nell’ufficio virtuale del driver. Ha insomma la sua storia i suoi migliaia di km di pista.