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Giorgio Daggiano – Ostello Bello Grande

L’oste, l’ospite e il giardino più celebre del quartiere Centrale: Ostello Bello Grande

quartiere Centrale

Scritto da Paolo Bontempo il 5 febbraio 2022
Aggiornato il 23 febbraio 2022

Foto di Luca Grottoli

Abbiamo intervistato Giorgio Daggiano, F&B manager di Ostello Bello Milano. Ci ha raccontato del successo di Ostello Bello Grande e della sua funzione all’interno del quartiere. Un luogo ormai di culto, dove viaggiatori e locals trovano una dimensione comune, tra birre, karaoke e concerti. Perché, come ci ha raccontato Giorgio, creare connessioni è fondamentale per sentirsi a casa, anche in un albergo.

«Qui dentro sono nate un sacco di storie d’amore, poi magari sono durate una sera.»

Inizio con una domanda che è facile solo in apparenza. A Milano tutti sanno cos’è Ostello Bello, ma se lo devi spiegare a qualcuno che non ne sa niente è un bel caos.

Sì, è veramente difficile trovare una definizione univoca. Parto con la propaganda: Ostello Bello è una casa, non un albergo. L’idea originale nasce da un gruppo di viaggiatori e di amici. Volevano creare un posto che avesse le caratteristiche del posto che avrebbero voluto trovare loro viaggiando. Tutti noi che ci lavoriamo dentro abbiamo sposato alla base quest’idea. Che tu sia un viaggiatore o che una persona che vive qui a Milano, poco importa, noi vogliamo farti sentire in famiglia.

Ostello Bello Grande è una catena con sedi un po’ in tutta Italia (e nel mondo). Però questo è l’unico con ben due aggettivi nel nome, come mai?

Il primo Ostello Bello è quello di Via Medici a Milano. Il piccolino, il gioiellino, il figlio prediletto, il primogenito, parlando di famiglia. Quello che ha permesso di creare la riconoscibilità di Ostello Bello. Poi si è aperto questo perché aveva avuto successo anche a livello di hospitality. La scelta del doppio aggettivo nasce dal fatto che effettivamente qui c’era tanto spazio e poi ci piaceva giocare sull’ambiguità BELLO, GRANDE o BELLO GRANDE in base a come uno lo interpreta, con o senza virgola. Ostello Bello Grande ci permetteva di far convergere più persone.

Il figlio che ha avuto successo, rimanendo in metafora…

Più o meno sì. Anche solo per una questione di spazi. Qui possiamo ospitare 200 persone, in Via Medici invece 50.

E tu, come sei entrato in famiglia?

Io sono originario di Manduria, in provincia di Taranto, ma vivo a Milano da molti anni. Milano è la città che mi ha adottato. Anche quando ho fatto esperienze all’estero l’idea era di tornare qui. Sono arrivato a Ostello Bello 4 anni fa e più, dopo un viaggio fichissimo in Messico, un’esperienza che mi ha segnato molto. Quando fai i viaggi ti vengono sempre delle illuminazioni, inizi a pensare “voglio vivere in un certo modo”, “non voglio essere schiacciato dalla metropoli”, insomma tutti quei discorsi da viandante. Per un caso sono stato contattato da Ostello Bello e c’erano una serie di motivi che mi hanno convinto ad accettare. Innanzitutto, il progetto era figo, soprattutto per una città come Milano allora e più in generale per l’Italia. C’erano anche motivazioni professionali, perché mi si dava anche l’occasione di imparare. Prima ero bartender e basta, avevo fatto il capo barman in dei Cocktail Bar, però con Ostello potevo ampliare le mie prospettive. Poi beh… il cortile. Ho fatto il colloquio qui, su quel tavolo, a settembre, era ancora estate e c’era un’atmosfera unica.

Anche io accetterei qualunque lavoro se me lo offrissero in questo giardino!

Già, ed è stata la scelta giusta. Lavorando qui hai la sensazione di continuare a viaggiare.

Sei riuscito a mantenere la tua oasi spirituale a cui pensavi durante il viaggio in Messico? Il locale è vicino a Stazione Centrale, insomma, ti sei lanciato nel caos generale della metropoli di brutto.

L’idea dell’oasi un po’ la perdi quando entri in contatto con la parte gestionale, ruolo che ora ricopro. Comunque, vengo ancora a lavoro con piacere perché so che succederanno un sacco di cose. Poi sai anche che succederà qualcosa di spiacevole. Però quella cosa di sentirsi in vacanza, perché a Milano non ti senti mai in vacanza (ride), ti dà un respiro diverso. Anche per come è gestito Ostello Bello, ci sono dei principi e dei valori ben chiari che vanno in questa direzione. La casa, l’accoglienza, il non accettare nessun tipo di discriminazione, l’attenzione alle diversità.

Quando sono entrato, ho chiesto di te, ed è stato divertentissimo, mi sono ritrovato seduto a un tavolo, con il caffè pronto in mano, e l’impressione di trovarmi a casa di un mio amico.

Voler essere accogliente è anche quella cosa lì. Stare attento a come fai le cose, a quello che stai dando alle persone, per farlo nel modo più attento possibile. Accogliente nel senso moderno del termine. Non è che vieni e ti abbraccio, ma ti accolgo per quello che sei, da dove vieni. Che a Milano è difficile.

Mi colpisce il fatto che Ostello voglia mantenere un’idea identitaria e di comunità in un quartiere dove trovare tutte queste caratteristiche è difficile. Ci stiamo rendendo conto che anche solo individuare dei confini geografici della zona è complicato. Tu hai un’idea più precisa?

Se ti dovessi dare dei limiti geografici su Centrale, la dividerei in due. Il lato sinistro e destro rispetto alla stazione. Da un lato ci siamo noi e dall’altra i grattacieli con il palazzo della regione, insomma quella zona lì.

Poi a seconda di dove ti sposti hai un tipo di persone che lo frequentano. Questa zona qui, avendo la stazione accanto, è una zona molto più di passaggio. Molto più particolare. Poi è un quartiere che ho conosciuto bene nell’ultimo anno. Ho fatto volontariato durante la pandemia. Stiamo parlando di una zona che incontra il passante, il turista, il ricco, il povero, il migrante, condensandoli tutti nello stesso spazio.

E invece a livello di identità di quartiere?

Parlando di identità di quartiere, invece, tanti dicono che da quando c’è Ostello Bello (non voglio pigliare meriti non verificabili eh!) c’è un po’ più di vita nella strada perché prima non c’era nulla. E come in tutte le vie in cui non c’è nulla poteva succedere di tutto. Da quando ci siamo noi abbiamo portato vita. Noi abbiamo tanta clientela che vive qui, o persone che lavorano qui, se pensi che ci sono palazzoni interi pieni di uffici. Molti di loro frequentano il quartiere in orari diversi, ma Ostello rimane un punto di ritrovo. Però ora non siamo più i soli, come vedi tutto sta cambiando qui. Negli anni sono aumentati i bar, i negozi… prima, tipo dieci anni fa, c’erano solo bar e negozi da turisti con menu fissi scadenti, e poi tavole fredde orribili.

La vita che avete portato qui ha poi tantissime sfaccettature. Voi, infatti, siete un po’ tutto: ostello per turisti, bar, locale e dispensatore di eventi.

Sì, negli anni abbiamo portato avanti una serie di idee che poi sono diventate di riferimento. Le serate di Poetry Slam raccoglievano tutto un mondo della città di Milano che veniva da noi per esprimere quel tipo di stimolo artistico. Ma poi abbiamo fatto un sacco di cose: gli open mic di cabaret, le serate drama, i burlesque, le serate dedicate al mondo queer, o anche semplicemente concerti musicali. Volevamo essere belli anche in questo.     

Mi sembra che in voi confluiscano tantissimi microcosmi. Molte persone vengono qui a studiare e lavorare, e voi non chiedete nulla. E poi avete una comunità di turisti internazionali e un’anima da bar di quartiere. Come si concilia tutto questo?

Noi abbiamo sempre voluto essere dei creatori di connessioni. Convergere diversità all’interno, cercare di accogliere tutto quanto. La sfida è che persone così diverse tra loro si trovino bene qui dentro. Noi vogliamo che si affezionino. Numericamente le persone che frequentano il locale sono metà ospiti e metà locals. Non solo gente di quartiere ma anche da fuori. Il locale è pieno nel weekeend. Tante volte capita che trovi il guest in pantofole che scende a bersi un caffè, il vicino che viene in tuta, e poi il tipo che è venuto apposta per venire qui, e si è vestito figo perché comunque è sabato sera. Magari in mezzo a questo caos, al tavolino, ci trovi una studentessa universitaria che prepara un esame.  

Una sorta di rifugio di montagna mixato con il classico locale da piazzo Milanese. Di storie ne avrai viste qui…

Hai voglia. C’è pure gente che si è dichiarata qui in Ostello. Un ragazzo ha avanzato la sua proposta di matrimonio alla fidanzata proprio lì, davanti al bar. Per loro era un punto di ritrovo, erano affezionati del karaoke tutti i mercoledì, per cui il bar era un simbolo. Qui dentro sono nate un sacco di storie d’amore, poi magari sono durate una sera, però… ah e ovviamente un sacco di amicizie, anche tra gli ospiti e noi. C’era un ragazzo argentino, studente dello IED, che è venuto a dormire qui e non se n’è più andato. È rimasto 5 o 6 anni ed è entrato in famiglia con noi. Ha fatto il receptionist, poi il manager e infine ha deciso di partire per la Svezia. Per noi ora è un fratello, ma di quelli veri.  

Mi dicevi prima che hai fatto volontariato in pandemia, e quindi di situazioni complicate ne avrai viste qui in Centrale, situazioni che magari si sono riverberate anche in Ostello.

L’idea di famiglia, come ti dicevo, è anche il modo in cui cerchiamo di affrontare tutte le situazioni in Ostello. Per i nostri ospiti abbiamo quel senso di protezione che avremmo con un fratello e una sorella. Io ci tengo particolarmente a capire in anticipo cosa sta succedendo in determinate situazioni. Tu sei qui e stai affidandomi la tua sicurezza, soprattutto se ti fermi a dormire. Io cerco di fare il cugino sgamato ecco, cerco di non mandarti allo sbando, sconsigliandoti determinati luoghi e consigliandotene altri. Poi per me c’è anche la parte privata relativa alla situazione in quartiere. Fare il volontario con una brigata solidarietà era assurdo, perché c’era gente, magari scippatori o persone legate alla microcriminalità, che in quel momento avevano bisogno di un pasto caldo.

Ecco, in quanto cugino sgamato ti piace consigliare agli ospiti dove andare a Milano, che sia per una colazione o per un aperitivo. Mi colpisce questa dimensione per cui voi, essendo anche ostello, siete un locale che consiglia altri locali. Non è scontato.

Lo facciamo per far sentire bene la gente. Da noi vengono per dormire, e potremmo fermarci lì. Ma noi vogliamo che loro abbiano un’esperienza bella qui a Milano. Non li mandi in un posto di merda. Ci piace Milano, ci piace il posto, ci piace il quartiere e quei due tre giorni che tu ospite magari ti fermi, noi cerchiamo di farteli vivere al meglio. Stampiamo anche delle mappe della città, con itinerari consigliati e i posti migliori in zona, oltre a consigliare quotidianamente attività tipo mostre, showcase, musei… quando la gente va via da Milano deve dire che Milano è un bel posto, anzi, magari dice che gli ha fatto cagare ma che almeno è stata bene e ha visto cose fighe.      

La vostra identità mi sembra rispecchi quella della zona. Al vostro interno avete un sacco di movimento, ma siete un centro, una casa.

A chi entra qui, noi diamo un po’ di noi. Credo che questa cosa sia percepita da chiunque sia passato qui almeno una volta. Abbiamo vinto il premio come miglior ostello del mondo per quattro anni di fila, poi ci hanno creato un altro premio perché vincevamo sempre. Credo che il successo di Ostello derivi dall’idea di dare contenuto e voler fare bene qualunque cosa. Il karaoke è uguale in tutto il mondo, è gente che urla, ma appunto cerchiamo di curarlo. Cerchiamo di metterci del contenuto. Se facciamo l’evento non è certo per i soldi, ma per creare qualcosa di bello. Questa è la nostra mission.