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Roberto Paternò

Il “San Pietro” del Bachelite CLab since 2013

quartiere Calvairate

Scritto da Ilaria Perrone il 10 gennaio 2022
Aggiornato il 3 febbraio 2022

Foto di Fabrizio Albertini

Per gli amici semplicemente Elrobba, Roberto è il fondatore e l’anima di questo piccolo angolo nel cuore di Calvairate dove la musica è di casa. Refugium peccatorum per jazzisti impenitenti e anime assetate di cultura (e di birra), il Bachelite è uno spazio che Roberto ha riempito di arredi vintage, idee ed energie positive. Ma il suo più grande merito è forse quello di attuare uno scambio continuo con il quartiere, che fa sentire chiunque varchi la sua soglia parte di una grande famiglia.

Come è nata l’idea del Bachelite CLab? Come hai deciso di aprire questo posto?

Ho aperto questo posto otto anni e mezzo fa, quasi nove anni fa, con un socio che dopo poco però ha lasciato. All’inizio l’idea non era proprio di un locale, infatti, avevamo deciso di chiamarlo Bachelite CLab con la a e non con la u, un gioco di parole tra Club e Lab: laboratorio, questo perché volevamo un luogo di scambio dove fare eventi artistici e culturali e che fosse un posto dove tutti potessero proporre delle cose.

E poi come si è evoluto, come è nata l’idea del locale?

Abbiamo ragionato su come poteva essere la tipologia di posto. Un locale è prima di tutto un incontro di persone, in una città dove non ci sono spazi liberi di aggregazione, come cantava la band “Ministri” in Bevo, la gente esce per bere. Qualcuno va in un posto per vedere un concerto o qualcuno ci capita per caso perché vuole semplicemente bere qualcosa e nel frattempo si trova in una jam session o in una presentazione di un libro. Per me era importante creare un posto che fosse aggregativo e sociale anche a livello di quartiere, questo perché sono convinto che questo debba essere il ruolo dei locali. Se ci pensi a teatro o ad un concerto ci devi andare apposta, in un luogo come questo invece può succedere di imbattersi in qualcosa che non conosci, questo ci ha permesso di proporre delle cose non solo ad un pubblico di adepti ma anche a chi non è appassionato ma magari si appassiona nel tempo. Molte persone sono diventate habitué del mercoledì del jazz e quando ci sono capitati per la prima volta non conoscevano neanche il genere, questo era quello che volevamo succedesse.

Nel 2013, quando avete aperto, la notte di Milano stava cambiando pelle di nuovo. Molti dei locali da pre-club storici stavano chiudendo o si stavano ingrandendo (Rocket, Atomik), il Bachelite CLab andava a soddisfare un po’ l’esigenza di un posto da pre-serata?

Esatto, diciamo che ci siamo inseriti tra questo e il fatto che c’era una carenza di Bar Sport di quartiere. Ti cito l’Union Club, in città studi, un in cui le persone si sentivano a casa. Potevi andarci a bere una birra da solo e sapevi che era come entrare alla festa di qualcuno, non ti saresti sentito da solo. Il Bachelite CLab è stato così sin dall’inizio, i primi anni quando entrava qualcuno c’erano spesso dei miei amici seduti al bancone che lo salutavano con un “benvenuto”, proprio come succede quando arrivi a casa di qualcuno che conosci bene. Ed è sempre questo che abbiamo in comune con i posti da pre-serata dei primi anni 2000 è che andavano bene sempre, sapevi che potevi arrivare a qualsiasi ora e che ti saresti divertito e questo è qualcosa che puoi sentire anche qui. Negli anni abbiamo avuto persone che venivano anche quattro volte a settimana, che hanno portato la fidanzata quando hanno iniziato una relazione, che venivano da soli perché sapevano che avrebbero incontrato qualcuno.

Siete però considerati anche un posto underground, ti riconosci in questa definizione?

Credo che sia successo in modo spontaneo, ho aperto un locale da giovane e all’inizio sono stati prima di tutto i miei amici a supportare questo posto e questo sicuramente ha influito. In questo ha influito anche il fatto di aver aperto a Calvairate.

Hai scelto questa zona?

Abbiamo visto 53 posti prima di deciderci ma sicuramente avevamo capito il potenziale del posto proprio per il quartiere in cui era. Intanto non è dentro la circonvallazione, è lontano dai giri di passaggio e in più la volontà era proprio quella di avere un posto che la gente deve scoprire. Era un vantaggio anche il fatto che non avesse nessuno sopra, noi volevamo fare già musica e questo era un fattore importante per la decisione, volevamo sentirci liberi.

Chi è che segue la selezione musicale e come si è evoluta l’offerta negli anni?

La settimana dopo l’inaugurazione abbiamo già fatto il primo concerto. Qui davanti abitava Francesco De Leo (Officina della Camomilla), che era venuto con la band, si sono trovati bene e ci hanno chiesto di poter suonare. Abbiamo organizzato questo concerto e ci siamo ritrovati ad avere cento persone proprio perché all’epoca loro erano molto seguiti. I concerti all’inizio erano così, improvvisati, i primi tempi mi occupavo praticamente solo io della ricerca musicale e facevo un po’ tutto, dal tecnico audio con un impianto fatiscente, all’organizzazione degli eventi, al tuttofare, al barista. Nel 2015 abbiamo invece iniziato ad organizzare le prime Jam Session Jazz. La Buca di San Vincenzo (club jazz sui navigli) faceva la serata il lunedì, c’era un altro posto che la faceva il giovedì e quindi noi abbiamo scelto di farla il mercoledì, da lì sono iniziati i mercoledì del Jazz. A quel punto abbiamo scelto di investire e comprare qualcosina, di avere una batteria, un amplificatore, abbiamo anche iniziato ad avere un tecnico che ci dava una mano.

Quali sono i concerti che secondo te potevano accadere solo al Bachelite CLab?

Ci sono due tipologie di concerti, quelli che sono accaduti per caso e quelli che abbiamo organizzato secondo una direzione artistica ben precisa. Ad esempio, qui ha suonato Anderson Paak, lui aveva un concerto il lunedì al Fabrique a Milano, la sua tour manager conosceva uno dei ragazzi che a quel tempo curava la direzione artistica di alcune serate, gli disse che aveva dei musicisti americani che volevano suonare la domenica, lui le rispose di portarli al Bachelite CLab e che non ci sarebbero stati problemi, si sono presentati Anderson Paak e il suo trombettista. Pensa che io ero a casa, non sapevo nulla, e hanno iniziato ad arrivarmi i video dei miei amici che mi dicevano che non li avevo avvertiti.

Tra quelli invece organizzarti vorrei parlarti del format che abbiamo creato sul folk americano e il cinema, si chiamava Music for Movies, avevamo abbinato questo gruppo di Austin, i Sun June, e il film I Tenenbaum. Loro avevano un tour in Italia e ci siamo organizzati per trovargli un bel airbnb, li abbiamo accolti, hanno suonato e la serata era stata veramente bella, tanto che sei mesi dopo mi scrive un’altra band di Austin chiedendo di poter suonare al locale. Quindi ad Austin, Texas, si parla del Bachelite CLab (ride).

Queste cose sono accadute e sono potute succedere qui perché noi abbiamo sempre voluto che questo fosse il posto dei musicisti, l’accoglienza per noi è sempre stata importantissima e abbiamo sempre voluto farli sentire a casa.

Quest’anno avete anche organizzato il Calvairate Social Park?

Esatto, e abbiamo dovuto cambiare i piani in itinere a causa del Covid. Volevamo fare un festival di quartiere, e avevamo scelto di farlo per la logica della Milano dei 15 minuti promossa da Sala, l’idea era di farlo nel parco e di montare il palco lì ma siamo stato bloccati per il possibile rischio assembramenti. Una delle scelte poteva essere annullare tutto e invece abbiamo scelto di non farlo, avevamo già un problema alla vetrina che aveva delle scheggiature, l’abbiamo tirata giù, abbiamo messo il palco lì all’ingresso del locale, di fronte avevamo il dehor e abbiamo deciso di farlo così. Non è stato facile cambiare tutto in corsa, sia a livello economico che di sforzi però l’idea è piaciuta moltissimo, avevamo comunque un palco grande a disposizione e dello spazio fuori. Questa cosa ha funzionato talmente bene che quest’anno la stagione la faremo così, anche la stagione invernale, metteremo ovviamente una tettoria e dei funghi ma lasceremo comunque la vetrina aperta. Quindi diciamo che da un problema abbiamo creato invece una situazione nuova che ci porteremo avanti per un po’.

Secondo me il Covid ha cambiato anche il modo di vivere i locali, se ci pensi prima Milano non aveva spazi fuori, invece adesso tutti i locali e tutti i ristoranti si sono attrezzati con uno spazio all’aperto e questa è sicuramente una cosa positiva perché si sono velocizzate le pratiche burocratiche che ti consentono di farlo, tutte le zone si sono quindi impossessate degli spazi esterni e si sono animate in modo migliore.

Un’ultima domanda, perché c’è la parola Bachelite nel nome del locale?

Perché è il materiale che c’era prima della plastica e veniva usato per fare i telefoni, i televisori dagli anni 20 agli anni 70. Era una lega minerale, a me piaceva moltissimo il modernariato quando ero bambino perché mio padre mi portava con lui ai mercatini dell’antiquariato. Mi piacevano quegli oggetti perché erano fatti per essere belli e per durare nel tempo e mi piaceva che questo posto fosse proprio così.