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Rubi & Fossa

Il Magnolia festeggia il suo quindicesimo compleanno: storia e identità di uno dei Circoli più importanti di Milano raccontata da due veterani del posto

Scritto da Tommaso Monteanni il 8 luglio 2022

Nella provincia marchigiana, da dove vengo, gli artisti internazionali non passano così spesso a fare concerti. Spesso non passano e basta. Quando ho iniziato ad ascoltare musica in maniera più assidua e ad avere un’età per cui potevo a pensare di farmi una traversata per andare a vedere un concerto, il Circolo Magnolia era uno di quei posti che monitoravo spesso. Avevo notato sin da subito che da lì passavano diversi degli artisti che seguivo. La prima volta che ho varcato le sue porte era dicembre 2013 e venivo a vedere The Tallest Man on Earth. Se non sbaglio è anche il primo posto dove ho compilato un modulo della tessera Arci.

Il Magnolia è un’istituzione per la musica in Italia.

Non ci sono dubbi che il Magnolia rappresenti, per Milano e per l’Italia, un punto focale e di snodo per il passaggio di un certo tipo di musica. Anzi per certi tipi di musica, e questa cosa vale sia per un discorso di qualità che di quantità. Mi basta citare alcuni eventi di queste due settimane: BADBADNOTGOODslowthaiThundercatHelena Hauff. Rap, Jazz, Elettronica. Ce n’è di tutto e per tutti, e direi di un certo livello. Arrivati al loro diciassettesimo anno di attività hanno deciso di festeggiare il loro quindicesimo compleanno, – direi che non serve specificare dove sono andati a finire gli altri due anni – e per l’occasione sono andato proprio al Circolo per intervistare due veterani che mi hanno aiutato a ripercorrere la sua storia, capire che cos’è il Magnolia agli occhi di chi ci lavora dentro e provare a dare uno sguardo sul futuro di questa associazione.

Tommaso Monteanni: Chi siete e cosa fate?

FOSSA: Stefano Ravanelli, conosciuto ai più come Fossa, sono vicepresidente e mi occupo di comunicazione insieme a Rubi e di programmazione o direzione artistica. Ruoli principali, poi si fanno mille altre piccole cose. Sono al Magnolia da dodici anni.

 

RUBI: Lorenzo Rubino, detto Rubi, sono a Magnolia da quasi undici anni. Sono il responsabile di comunicazione e faccio parte del direttivo del Magnolia – faccio parte dell’organo ma non ho cariche di presidenza o vicepresidenza. Col Fossa sono informato della programmazione senza occuparmene in maniera diretta.

 

TM: Perché siete qua, e come ci siete arrivati?

F: Io avevo una grandissima passione in generale per gli eventi. Sai quelle frasi che si dicono? “Volevo creare gli eventi, non solo parteciparci“. Ho fatto un corso che si teneva tanti anni fa qua al Magnolia sull’organizzazione degli eventi, cercavano stagisti, e come dico sempre, il resto è storia.

 

R: Il mio perché è simile: avevo la stessa passione ma suonavo violino in conservatorio. Poi non ho potuto continuare e quindi ho iniziato a fare Musicologia in Statele, e poi ho avuto il culo di avere il mio vicino di casa che faceva il tour manager di DeAndrè, che mi ha introdotto a tutto quello che era il mondo degli eventi e della musica. Anch’io ho sempre avuto il pensiero e di conseguenza la domanda “Anch’io voglio organizzare gli eventi, chissà come si fa” pensando che arrivassi la e fosse già tutto pronto.

 

F: Oggi invece ci chiediamo “Ma chi cazzo me la fatta fare sta domanda?” (Ridono entrambi, NdR)

 

R: La mia fortuna è che questo tour manager, Dario, era anche il fondatore del festival di Villa Arconati, quindi ho avuto opportunità di lavorare con lui. Finito lì, dopo essermi anche laureato, nel 2011 ho fatto applicazione per uno stage al Magnolia e ora siamo qua a questo tavolo dopo quasi undici anni.

 

F: Tra l’altro l’ho selezionato io, ai tempi rispondevo al telefono per le richieste di stage.

 

TM: Il Magnolia è un circolo ARCI: cosa significa questa cosa per questo posto e come influenzato?

R: Magnolia ha sempre voluto associarsi e chi fa parte del Magnolia crede nell’associazionismo, sia come forma di aggregazione lavorativa che di comunità, quindi di presenza nel territorio e nel sociale. Penso che poi nel concreto l’essere un’associazione abbia un’influenza sull’approccio alla vita e l’attitudine nel posto di lavoro: la cura che si ha verso il posto e verso i dipendenti è diversa.

 

F: Influenza l’approccio al posto in cui lavori, perché far parte di un’associazione vuol dire sposare una causa al di là dello stipendio e della remunerazione, l’ambiente che si crea all’interno è di una grandissima famiglia e meno di un ambiente lavorativo. L’altra grande differenza è che noi non dividiamo gli utili: a prescindere dall’andamento della serata singola percepiamo comunque lo stesso stipendio, che la serata vada bene o male; non è sicuramente questo pensiero che porta avanti il Magnolia, anzi è il lavorare come un qualsiasi altro locale ma con valori diversi, ossia un attenzione diversa verso il soldo, non agire come se fosse tuo e lavorare dunque rimanendo focalizzati su altro, gli obiettivi comuni.

 

R: Per abbassare i tecnicismi, il fatto di non dividere gli utili è ciò che da lunga vita al Magnolia, in quanto i ricavi di ogni serata non vengono redistribuiti ma rimangono lì per la programmazione a venire.

TM: Come definireste l'identità del Magnolia?

R: La mia frase preferita è: la vera identità del Magnolia è non avere identità. È la cosa che più ci rappresenta anche perché tra di noi all’interno non abbiamo un’identità unitaria, nel senso che abbiamo tutti interessi e gusti musicali diversi, quindi già l’unione dei singoli crea un’identità diversificata. La cosa che ci identifica più di ogni altra è la cura per la comunicazione: qualsiasi cosa è ben studiata, ponderata e imbastita, perché comunque siamo molto gelosi del nostro essere il Magnolia, abbiamo una comunicazione molto forte.

 

TM: Quindi non avere un’identità diventa poi effettivamente un’identità molto forte.

 

F: È un po’ contorto da dire ma sono d’accordo con questa frase. La forza del Magnolia negli anni è stata raccogliere tutto, e non avendo un’identità specifica diventa un posto per tutti. Uno dei nostri claim tirato fuori proprio per il nostro compleanno è “L’amore si fa in tanti“. Avere un’identità esclusiva significa escludere delle altre persone. Assumere questa prospettiva è un rischio che viene ripagato negli anni, all’inizio non lo era ma ora è il nostro punto di forza. Se qualcuno dovesse aprire ora un club non glielo consiglierei necessariamente.

 

R: Noi siamo la seconda generazione di questo posto, non ce lo siamo inventati noi, raccogliamo i frutti e portiamo avanti questa visione.

 

TM: Quali sono le fasi della storia del Magnolia da quando lavorate qua?

R: Il primo momento che ha determinato un cambio è stato il 2015, ossia il decennale del Magnolia. È il momento in cui abbiamo scoperto le potenzialità di tutto lo spazio del circolo, e non solo quello dove avvengono i concerti; è l’anno in cui sono nate nuove iniziative e non sempre legate totalmente alla musica: nasce La Domenica Elettronica, la Magnolia Dance Marathon, l’anno in cui abbiamo deciso di fare il cinema, o addirittura un festival di cibo.

 

F: In un unico anno abbiamo provato a fare cosa che non abbiamo mai fatto. Alcune sono morte nel tempo, altre ce le portiamo dietro da lì. Un’altra fase che metto in mezzo è un anno di crisi che abbiamo attraversato che corrisponde all’inverno tra il 2016 e il 2017. C’è stato un cambio generazionale, un anno di crisi d’identità. Il bello del Magnolia è che si costituisce anche da cambi generazionali, gente che va via e gente nuova che arriva, che però devi anche saper gestire.

 

R:  Quello che è successo è che abbiamo provato a cambiare strada e il pubblico non ha risposto.

 

F: Esatto, e gli schiaffoni presi in quel periodo ci hanno però dato la forza di riprendere la rotta, ritornando, migliorando e affinando le scelte giuste e la direzione presa in passato, adattando tutto alla richiesta del pubblico del tempo. La stessa cosa l’abbiamo fatta, e la stiamo facendo, nel post covid, che io identifico come terza e ultima fase.

TM: Sapreste dare una colonna sonora ad ognuna delle fasi?

F: Se ti devo dire le canzoni connesse a eventi che hanno segnato questi periodi, del decennale Caribou – Can’t Do Without You. Non c’è un cazzo da fare, è quella. Nella seconda fase, 2016, Prince – Purple Rain. Per quel che riguarda la ripartenza post covid io ti dico Arlo Parks – Too Good, concerto sold out del 27/11/2021. È stato emozionante rivedere tutta quella gente.

 

R: Io condivido le prime due mentre per la terza di dico Mr. Oizo & Phra Crookers – Sylvie, che corrisponde all’opening estivo di quest anno. Quel momento in realtà non è stato propriamente emozionale, anzi, per il film che mi ero fatto mi immaginavo di fermarmi ed emozionarmi vedendo tutta la gente in apertura, in realtà è stata più una cosa del tipo “Ok siamo pieni e non non abbiamo il tempo di fermarci e goderci il momento, dobbiamo gestire lo sbatti”, che comunque è una cosa positiva.

 

TM: Rimanendo in tema sentimentale, qual'è il ricordo più bello di questi anni?

R: Io ne ho un sacco, ma se devo dire la roba più figa, il momento in cui ho detto “stiamo diventando grandi veramente“, lo show del 2017 di Moderat. È stato uno show che tra me e me pensavo di poter vedere solo tipo a Berlino, invece lo stavamo facendo noi. È stato uno di quegli show della vita, della serie “non c’è un posto migliore in cui mi potrei trovare in questo momento“.

 

F: Io sono troppo sentimentale, opening invernale, della stagione passata, 22-23 ottobre 2021. Bonus momentPiano Alba di Pianocity del 2018.

 

R: Anche quello un momento incredibile del Magnolia.

 

F: Uno a testa e uno in comune.

 

TM: E invece l'ostacolo più grosso del Magnolia? Non il covid che è troppo facile come risposta...

R: Si e inoltre effettivamente oltre ad aver invalidato chiunque non dipendeva assolutamente da noi, proprio per questo motivo ti dico superare l’inverno del 2016/2017, la crisi d’identità. È stato un ostacolo che noi in primis dovevamo superare perché era dovuto a degli errori per cui vedi che il pubblico non risponde, e direi ci siamo riusciti a superarlo.

 

F: In maniera egregia.

TM: Ultima domanda: dove vedete il Magnolia, e dove vi vedete voi, tra quindici anni?

R: Mi vedo qua da cliente, magari con un figlio chissà, ma sicuramente non da lavoratore. Come dice la famosa frase “Se sei in un club a quarant’anni e non sei il proprietario, forse c’è un problema” (ride, NdR). Scherzi a parte mi vedo come amante e fruitore del Magnolia.

 

F: Sicuramente fuori dal Magnolia, mentre il Magnolia lo vedo ancora qua.

 

R: Io lo vedo qua ed estremamente al passo coi tempi, che non significa schiavo della moda ma che riesce a rispondere alle esigenze del tempo più a lungo termine.

 

F: E questo dipende anche dalle nuove generazioni. La speranza è che vengano scelte nella maniera giusta.

 

R: La speranza sono le nuove generazioni, e che abbiano la stessa voglia di fare festa che ha caratterizzato il Magnolia nel tempo.

 

F: Gli anni di difficoltà che ho vissuto, ossia gli ultimi, sono anche i primissimi in cui mi sentivo la responsabilità del posto e il pensiero ricorrente in quel periodo era: “non voglio passare alla storia come quello che ha fatto morire il Magnolia”. Quindi voglio trasmettere la stessa sensazione alle nuove generazioni che gestiranno e porteranno avanti il Magnolia.

 

TM: Non fate morire il Magnolia!

 

R: Torna a casa con quel pensiero (ride, NdR)

 

F: No dai non voglio assolutamente generare ansia o far pesare a nessuno di quelli nuovi questa cosa, anche perché la vecchia guardia non l’ha fatto com’è; ma il punto è che se qualcuno prima di te ti ha lasciato qualcosa in buona salute devi far di tutto per tenerlo in quelle condizioni. Spero di vedere il Magnolia qua tra quindici anni perché significherebbe che qualcuno dopo di me ha avuto la forza di “tenere alto” (ride, NdR) il nome del Magnolia.