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Vincenzo Caruso

In un mondo di birre artigianali e cocktail, c'è anche chi apre un'enoteca. Un'ottima enoteca. Abbiamo intervistato Vincenzo Caruso di Vigneto.

Scritto da Nicola Gerundino il 5 luglio 2017
Aggiornato il 7 luglio 2017

Foto di Claudio Palmisano

Data di nascita

5 febbraio 1979 (45 anni)

Luogo di nascita

Napoli

Luogo di residenza

Roma

Parlare di scomparsa del vino dalla cultura del bere in Italia è un bestialità enorme, anche perché il ritorno alla terra delle generazioni più giovani è ormai un dato di fatto. Certo è che negli ultimi anni, tra l’ondata della mixologia e lo tsuami della birra artigianale, il vino ha avuto un po’ più difficoltà nel guadagnarsi la prima pagina. Certo, c’è il filone crescente dei vini naturali, ma la sua forza d’urto è stata minore rispetto agli altri due recenti fenomeni. D’altra parte, come detto in precedenza, tutto questo non ha certamente precluso la nascita di nuovi appassionati e di nuovi locali dove il vino e l’enorme cultura che lo circonda sono protagonisti. È il caso di Vigneto, enoteca nata nel 2015 nella “zona bassa” del Pigneto, grazie alla passione e allo sforzo comune di Antonella, Cecilia e Vincenzo, quest’ultimo vecchia conoscenza di Zero a causa del suo precedente lavoro nel settore della musica live. Con lui abbiamo parlato di questo nuovo progetto e di come possa ancora nascere negli anni Zero la passione per il vino.

Vigneto, in formazione allargata.
Vigneto, in formazione allargata.

 

ZERO: Partiamo a bruciapelo, nasce prima la tua passione per la musica o quella per il vino?
Vincenzo Caruso: Intanto grazie mille per questa chiacchierata! Sicuramente nasce prima quella per la musica, considerato che sin da piccolo ascoltavo le cassette o i dischi dei miei genitori: i Beatles, Pino Daniele o gli Imagination – non ho idea del perché i miei avessero una loro musicassetta originale… Il vino è arrivato molto dopo, ero già all’università, ma devo ammettere che fino a qualche anno fa non avevo mai approfondito veramente la materia, sono sempre stato appassionato di cucina, ma la scoperta dell’enologia è qualcosa di più recente.

È stato difficile passare da un ramo all’altro, abbandonando praticamente il primo come attività lavorativa?
In termini prettamente pratici non troppo, ma sicuramente in termini emotivi lo è stato. Al di là del fatto che continuerò sempre a ritenere i miei (ex) colleghi di DNA Concerti delle persone fantastiche e un team di lavoro eccezionale, di fatto il passaggio è stato più che altro stimolato da una serie di insofferenze sempre maggiori nei confronti dei promoter locali o degli agenti internazionali. Nel primo caso, l’Italia è un paese in cui il promoter locale, oltre a fare quel mestiere, ne fa almeno un altro, se non altri tre, per cui c’è molta poca professionalità e soprattutto poco tempo da dedicare a una cosa (il concerto) che invece richiede un livello di attenzione molto alto. Nel secondo caso, gli agenti internazionali (perlopiù) tendono al fatturato, con poca lungimiranza nei confronti sia dell’artista, che si trova sballottato tra diversi promoter a ogni tour, sia dell’agenzia che lavora per portarlo in Italia, paese in cui la cultura musicale è ben lungi dall’essere pervasiva e dinamica come in altre nazioni europee. Il pubblico, invece di lamentarsi del fatto che un determinato artista non venga mai in Italia, dovrebbe cercare di supportare la cultura musicale in toto. Di base è sempre tutta una questione di relazioni, connessioni e persone: la grande differenza tra il mondo del vino e quello della musica è che, per come lo sto vivendo io adesso, nel primo caso le persone tendono ad aiutarsi, supportarsi e promuoversi reciprocamente se c’è una credibilità che gli altri riconoscono in te o nelle tue attività; nel music biz invece è più facile cadere in una rete di relazioni morbose, invidie, ostracisimi, che di fatto tendono ad affossare l’intero sistema. Per chiudere, devo ammettere anche che in questo momento, a parte alcune isole felici, lo stato qualitativo delle produzioni artistiche è davvero molto basso, mentre nel settore enogastronomico si sono raggiunti livelli ben più notevoli.

Parliamo allora della tua infatuazione per questo mondo.
La passione per il vino è nata qualche anno fa, ma sin da adolescente ho lavorato in ristoranti, catering ed enoteche, solo che non avevo alcuna consapevolezza o capacità interpretativa di quello che finiva nel mio bicchiere. Purtroppo non ho avuto la fortuna di conoscere un mentore che mi guidasse nel mondo del vino e mi stimolasse a fare ricerca in tal senso: era una corrente sotterranea che poi è sgorgata qualche anno fa, quando, appunto, ho iniziato ad allontanarmi un po’ dalla musica. Devo dire che sono molto contento dello stato attuale delle cose, perché posso ascoltare liberamente, come una volta, senza le imposizioni dettate dall’orecchio di un addetto ai lavori che valuta, oltre alla qualità artistica, anche altri fattori decisamente più commerciali e meno gratificanti per lo spirito.

C’è stato un vino, un produttore o un’azienda che ti ha fatto scattare questa passione?
Potrei raccontare leggende di illuminazioni avute lungo le strade del vino, ma in realtà non c’è un momento spartiacque in cui ho bevuto un nettare che mi ha spalancato le porte della percezione. È stato un percorso graduale. Sicuramente, un evento che ricordo con molto piacere è stato una visita in un’azienda toscana, molti anni fa, mi pare fosse il 2002/3, che si chiama Castello Di Ama: entrai per la prima volta in una cantina vera e i miei datori di lavoro dell’epoca scelsero di bere un vino di 20 anni prima, L’Apparita del 1983. Quel sorso di vino mi fece pensare che forse avrei dovuto essere più curioso e approfondire la mia conoscenza sui vini, ma la musica era ancora la mia prima passione e quindi fino a molti anni dopo non l’ho fatto.

 La tenuta del Castello di Ama.
La tenuta del Castello di Ama.

Hai iniziato seguendo un corso da sommelier?
Sì, ho terminato il corso da sommelier dell’Ais l’anno scorso, ma non mi sono sentito particolarmente arricchito da quest’esperienza, tant’è che adesso ho ricominciato a studiare con una persona che stimo moltissimo e reputo uno dei migliori divulgatori che abbia mai incontrato: Sandro Sangiorgi di Porthos. Durante le lezioni non si parla solo di proprietà organolettiche o dei riconoscimenti olfattivi di un vino, ma anche di arte, poesia, storia, musica, perché, come lui insegna, il vino è un’esperienza totalizzante e dunque si inserisce all’interno del nostro spirito e interagisce con tutte le altre espressioni della nostra vita. Ma il discorso è molto più ampio, quindi consiglio davvero a tutti di seguire le sue lezioni, che sono qualcosa di unico.

Quando e come nasce Vigneto?
Nasce dall’incontro con Antonella e Cecilia, che lavoravano precedentemente in un’altra enoteca a Monti (Al Vino Al Vino). Essendo ognuno insoddisfatto delle rispettive posizioni lavorative dell’epoca, abbiamo deciso di unirci per cercare di aprire un locale nostro che aspirasse a essere come un salotto di strada, dove le persone si sarebbero potute ritrovare per bere un buon bicchiere di vino, birra o distillato, in un ambiente informale e aperto.

Scelta voluta o casuale quella del Pigneto?
Assolutamente voluta: noi abitavamo tutti e tre nel quartiere e la zona intorno ai villini – dall’altra parte dell’isola pedonale quindi – ci sembrava un buon punto dove avviare un’attività di enoteca. Poi eravamo in buona compagnia: Les Vignerons (ora a Trastevere, nda), Bottiglieria, La Santeria, Bestia Mora, Hop Corner etc. che si sono tutti sviluppati al di là della parte più frequentata del Pigneto e dunque ci sembrava un’ottima idea posizionarci in quest’area.

Che attività c’era nei locali che ora avete rilevato?
Un supermercato Crai. Un posto assurdo: chi c’è stato e se lo ricorda potrà confermare.

All’inizio erano più i timori o l’ottimismo?
Diciamo che, essendo in tre, abbiamo una buona alternanza umorale, quindi di fatto i timori erano alti. Poi l’inaugurazione è stata molto partecipata, le persone si sono incuriosite sin da subito e abbiamo ottenuto recensioni positive e menzioni sulle guide. Dopo un po’ ci siamo potuti assestare su un mood più tranquillo e ci siamo resi conto che forse potevamo farcela anche in una zona più defilata come Piazza dei Condottieri.

Vigneto.
Vigneto.

Roma è da sempre la città della birra (prima in piazza, poi artigianale) e ora anche dei cocktail. C’è spazio per il vino? Immagino di sì, ma quale e quanto secondo te?
Se posso permettermi di mutuare le parole di una “delle figure centrali nella valorizzazione e nella diffusione del patrimonio enogastronomico italiano” (cit.), Luigi Veronelli scriveva: «Il vino… Comincia sempre col rifiutarsi, con garbo o villania secondo il temperamento, e si concede solo a chi aspira alla sua anima oltre che al corpo. Apparterrà a colui che lo sa ‘scoprire’ con delicatezza». Questa frase è quella con cui Sandro Sangiorgi, di cui parlavo sopra, apre le sue lezioni porthosiane, dunque a lui il merito di averla portata alle mie orecchie. Per quanto riguarda lo spazio da dedicare al vino, non me ne vogliano i mastri birrai e gli ottimi bartender di cui è piena la Capitale – in primis gli amici di Mezzo che mi hanno fatto finalmente apprezzare la miscelazione! – ma mio modesto parere il vino è qualcosa che ha bisogno di un tempo differente per essere compreso e apprezzato, sia in termini di studio che di degustazione. Birra e cocktail rappresentano una diversa forma di fruizione, che implica molta meno “concentrazione”, sempre che si voglia, appunto, scoprire e comprendere quello che si ha nel bicchiere. Parlando con altri osti qualche mese fa sull’Etna, si diceva che Roma è sicuramente la città più all’avanguardia in Italia in questo momento sulla proposta di vini. Stilare una lista di nomi per far comprendere l’ampiezza della scelta di enoteche a disposizione degli abitanti capitolini, nonché le grandi doti divulgative degli osti romani, sarebbe complesso e non esaustivo. Sicuramente il vino si sta ricavando uno spazio sempre maggiore anche nei ristoranti e nelle osterie, si presta sempre maggiore attenzione ad avere una carta che possa rispecchiare anche il grande lavoro di selezione e produzione fatto in cucina – penso a Mazzo, Retrobottega, Epiro o a Cesare al Casaletto oppure Iotto a Campagnano Romano, per dirne alcuni. Personalmente credo che l’interesse nei confronti del vino, soprattutto quello definito “naturale” (chiedo venia per la semplificazione, ma è un discorso ampio e complesso), sia in forte crescita e che, indistintamente dalla tipologia proposta, ci siano molti che nelle loro enoteche o bistrot sono riusciti a creare e soddisfare l’interesse di una clientela sia ben informata che amatoriale – penso a Trimani, Roscioli, Il Sorì, Remigio, Fafiuchè, Mostò, La Santeria, Litro e molti altri.

Ci puoi raccontare la carta dei vini di Vigneto?
La nostra carta dei vini è in continua evoluzione, cerchiamo sempre di rinnovare le proposte seguendo un principio di territorialità e, talvolta, di espanderci verso confini sconosciuti. È difficile raccontarla perché non è qualcosa di univoco e cristallizzato nel tempo: chi è venuto quando abbiamo appena aperto ed è tornato ora avrà trovato un cambiamento evidente nella selezione e gradualmente stiamo cercando di affinare il nostro gusto e quello di chi viene a trovarci, verso orizzonti un passo ogni volta più distanti da dove eravamo precedentemente. In sintesi, abbiamo una selezione di vini da tutte le regioni italiane – dal Blanc de Morgex della Val d’Aosta allo Zibibbo secco di Pantelleria – e un’ulteriore selezione di produttori internazionali, in prevalenza europei.

Dalla cantina di Vigneto.
Dalla cantina di Vigneto.

Andate a provare i vini direttamente nelle aziende oppure vi affidate a distributori e fiere?
Dipende, avessimo il tempo di farlo andremmo solo in giro per aziende a caricarci il vino! Ancora non ci siamo concessi troppe gite fuori porta, ma quello di andare più spesso a trovare i produttori sul campo (in tutti i sensi) è sicuramente uno degli obiettivi per il futuro, perché gustare un vino dopo aver visto e annusato la terra, le viti e conosciuto in prima persona coloro che si prendono cura di queste cose, sicuramente ti dà una consapevolezza maggiore e illumina di una luce diversa un vino o l’altro. Ma è chiaro che sia i distributori che le fiere sono un mezzo di grande aiuto per valutare e acquistare vini.

Tra le tante bottiglie che avete in carta qual è quella che attualmente e personalmente preferisci?
Eh, questa è una bella domanda… Se dovessi scegliere una per tipo, così, all’impronta, direi: Prosecco rifermentato in bottiglia di Costadilà, il bianco di Bajola di Ischia e il Cannonau di Panevino. Ma, come il vino, anche noi evolviamo e ci modifichiamo, quindi questa risposta tra un mese potrebbe essere completamente diversa!

La bottiglia migliore che avete mai avuto?
Migliore o più cara? Perchè le cose non sempre si equivalgono! Quella più prestigiosa che ricordi era una bottiglia di Amarone di Quintarelli.

La migliore che hai assaggiato?
Quella che più mi ha impressionato…. Direi il Brunello di Soldera, Case Basse 1998, mentre quelle che mi hanno più emozionato sono il Nuits Saint Georges Clos des Corvées 1er Cru – grazie per la bottiglia e la mirabile narrazione ad Armando Castagno – e il Rossese di Dolceacqua Superiore Vigneto Morghe 2008, anche questo raccontato da un altro grande sommelier, Giampiero Pulcini.

Gianfranco Soldera.
Gianfranco Soldera.

Del cibo di Vigneto chi se ne occupa?
Principalmente la scelta dei salumi e formaggi la opero io, mentre per il resto scegliamo tutti insieme i prodotti di gastronomia calda e fredda per il menù del giorno. Cerchiamo ogni settimana di avere almeno 3/4 proposte nuove nel menù food, in modo che anche la rotazione settimanale della mescita possa avere un senso.

Abbastanza frequentemente invitate dei produttori e organizzate delle degustazioni. Come vanno? Questo tipo di attività piace alla vostra clientela?
Le degustazioni hanno sempre un buon bacino di utenti e i nostri clienti apprezzano molto sopratutto la generosità dei calici. Cerchiamo di organizzarne una ogni due settimane, ma non sempre ci riusciamo perché dipende dalla disponibilità dei produttori e dai periodi dell’anno, quando inizia a fare molto caldo, tendiamo a surrogare gli appuntamenti una volta al mese e magari diamo più spazio ad altre cose come mostre di grafica o presentazioni di libri.

Tra i produttori che avete ospitato e i tanti altri che hai conosciuto ci sarà stato sicuramente qualche personaggio sopra le righe. Quali sono stati i più esuberanti?
Uno dei produttori che ho amato di più sicuramente è stato Josko Gravner: lui è uno dei produttori storici friuliani. Senza stare a fare la sua cronistoria, è una persona dotata di grande fascino e integrità morale, i suoi occhi e le sue mani nel muoversi ti parlano e ti raccontano storie e molte altre te ne fanno immaginare. E quando parla davvero ti incanta, dispensando diverse perle: una divertente fu quando gli chiesero se lui bevesse altri vini oltre ai suoi e lui rispose: «Hai mai visto Enzo Ferrari andare in giro su una Maserati?».
Un’altra volta, discutendo sulla questione se le bottiglie dovessero essere messe in orizzontale o verticale, per sostenere la sua tesi della verticalità disse: «Lo spazio tra il vino ed il tappo è il corridoio dell’universo».

I produttori che più ti hanno trasmesso passione per questo mondo?
Più che trasmettere passione, preferisco pensare a quelli che ogni volta che li incontro mi stimolano ad approfondire conoscenze e migliorarmi – e confermano la consapevolezza che lavorare nel mondo del vino è molto meglio di quello musicale. Alcuni di cui ho un ricordo molto positivo sono Josko Gravner, per l’appunto, Daniele Saccoletto, una persona con un cuore enorme e poi penso alla classe e l’eleganza di Elena Pantaleoni de La Stoppa, la schiettezza di Stefano Bellotti di Cascina degli Ulivi, la grande competenza e generosità di Enrico Orlando di Ca’ Richeta e poi i giovani produttori del Lazio come Daniele e Chiara di Ribelà, Alberto Giacobbe, Damiano Ciolli, Andrea Tranquilli de Le Cerquette e sicuramente Vittorio “Gianni” Capovilla, che però produce distillati.

Hai qualche azienda preferita qui in Italia? Dicci la tua top five!
Non sono molto bravo con le liste e le classifiche, ma se dovessi darti giusto cinque nomi, da Nord a Sud potrei dire:

1) Josko Gravner
2) Cav. Lorenzo Accomasso
3) Pacina
4) Podere Veneri Vecchio
5) Girolamo Russo

E di estere ce n’è qualcuna?
Sinceramente non sono così esperto sui vini internazionali, non che conosca tutto di quelli nazionali, ci sono sempre molte cose da scoprire e imparare, ma certamente ho un po’ più dimestichezza nel trattarli.
Per quanto riguarda l’Europa, alcuni produttori che ho trovato interessanti negli ultimi tempi sono Gilles Ballorin in Borgogna, il Domaine Labet nello Jura, azienda che prese vita a metà anni 70 da Alain Labet, pioniere nel metodo di produzione dei “vin ouillè”; anche nella Champagne si possono trovare diverse realizzazioni di valore come Assailly-Leclaire, il giovane Charles Dufour e il blasonato Andrè Beaufort, ma anche Jean Vesselle che produce un vino peculiare denominato “oeil de perdrix”, occhio di pernice, uno champagne dalle sfumature ambrate che non ricade né tra i blancs, né tra i rosè. Anche dalla Spagna stanno uscendo molti prodotti degni di nota ed è un territorio in costante crescita ed evoluzione: ho conosciuto di recente Barranco Oscuro e Bodega Ruìz, il primo situato in Andalusia e il secondo nella zona de La Mancha, entrambi appartenenti all’associazione dei produttori Triple “A”.

Manuel Valenzuela di Barranco Oscuro.
Manuel Valenzuela di Barranco Oscuro.

C’è una regione che secondo te prevale sulle altre nella produzione del vino? Sempre rispetto ai tuoi gusti personali
Ci sono regioni e territori che sono indubbiamente più vocati alla viticoltura e che hanno una storia più antica di altri. Personalmente i vini bianchi friuliani li reputo tra i migliori in Italia e molti pionieri dei vini macerati e dell’utilizzo delle anfore per l’affinamento si trovano proprio in questa regione. Banalmente, il Piemonte e la Toscana hanno sempre giocato un ruolo fondamentale nello sviluppo della produzione di vino italiana, producendo prodotti d’eccellenza esportati in tutto il mondo (primi su tutti il Barolo e il Brunello), mentre la Sicilia negli ultimi anni ha ricevuto sempre maggiori attenzioni anche fuori dai confini nazionali, soprattutto per i vini prodotti sull’Etna, in prevalenza ottenuti dai vitigni autoctoni come il Nerello Mascalese e il Carricante. Per motivi legati alla mia infanzia, apprezzo molto anche i vini campani, regione estremamente fertile da ogni punto di vista, ma purtroppo martoriata da vicende politiche e sociali che tendono a screditare spesso un territorio invece assolutamente prezioso per il patrimonio ampelografico italiano.

Dei vini di Roma e del Lazio invece che ci dici? Ci sono bottiglie e aziende che ti piacciono particolarmente?
Sì, certo. Anche il Lazio è un’altra regione che ha sempre fatto fatica ad emergere, ma a oggi ci sono tutta una schiera di giovani produttori che stanno facendo un ottimo lavoro di ricerca e produzione: Daniele e Chiara di Cantina Ribelà a Monte Porzio Catone, Alberto Giacobbe, Damiano Ciolli e Andrea Tranquilli de Le Cerquette già citati prima; Piero Riccardi e Lorella Reale nella zona di Olevano Romano, Cantina del Tufaio a Zagarolo, la famiglia Noro a Labico, Piero Macciocca de La Visciola e Mario Macciocca nella zona del Piglio; a Velletri troviamo Matteo Ceracchi, mentre a Gradoli Gianmarco Antonuzi de Le Coste e Andrea Occhipinti, il progetto di SETE a Priverno e molti che al momento mi sfuggono. Il fermento è evidente e anche noi osti dobbiamo fare la nostra parte nel promuovere a dovere i vini del territorio, perché c’è una grande qualità e pochissima informazione.

Cantina Ribelà.
Cantina Ribelà.

Torinamo all’inizio e parliamo di musica: sei tu che scegli la musica di sottofondo da Vigneto o dai carta bianca a Spotify?
Certamente ho selezionato delle canzoni per i vari momenti della serata e li ho raccolti in diverse playlist in cui c’è un po’ di tutto: dall’indie italiano e internazionale, ai successi del passato italiani, poi jazz, world music, elettronica. Diciamo che siamo trasversali. Poi, ogni tanto, non disdegno ascoltare cose nuove e utilizzare alcune playlist di Spotify o la radio.

C’è stato mai qualcuno che ti ha chiesto di cambiare musica?
Al massimo si sono lamentati per il volume troppo alto, ma non per la qualità della musica. Anzi, molte persone si affacciano per leggere i nomi degli artisti e vedere cosa sta passando, poi altri clienti seguono alcune delle nostre playlist e questo mi fa molto piacere. Dopo diversi anni in cui ho visto talvolta band strepitose suonare davanti a pochissime persone, pensare che comunque possa continuare a dare un piccolo contributo nei confronti di un’evangelizzazione verso la buona musica mi rende felice.

Ti faccio l’ultima domanda, che è quella su cui perderai ore e ore e ore. Scegli cinque dischi della vita e abbinaci a ognuno un vino
The Beatles (white album) vs Champagne Extra Brut “Bistrotage”, Charles Dufour
Vs. dei Pearl Jam vs Trebbiano D’Abruzzo 2008, Emidio Pepe
Nero a metà di Pino Daniele vs Taurasi 2010, Pietracupa
Grace di Jeff Buckley vs Barolo Riserva Rocchette 1997, Cav. Lorenzo Accomasso
Ok Computer dei Radiohead vs Bianco Breg 1998, Grav.