È impossibile non passarci, ed è anche scontato dirlo: Stazione Centrale è il “Benvenuti a Milano” che accoglie chiunque. Per questo non sappiamo nemmeno bene se dirvi, come al solito, «Benvenuti a Centrale» o ampliare il raggio e augurarvi stavolta «Benvenuti a Milano». Mettiamoci anche il fatto che Stazione Centrale è uno degli spot-cartolina meneghini più conosciuti al mondo – assieme alla Madonnina e alle acque cangianti dei Navigli – e che, per quanto ci riguarda e per quanto riguarda un po’ tutti, c’è una difficoltà di fondo nel considerare Centrale come quartiere. Sarà perché per l’appunto la figura monumentale della Stazione ha il potere di offuscare un po’ tutto, di adombrare le cose ai piedi del massicciato ferroviario e sotto lo sguardo dei leoni alati che presidiano l’ingresso ai binari; sarà anche perché in effetti quella zona che circonda la Stazione ha come aspetto più peculiare quello del transito, dei pendolari – lavoratori e studenti e turisti – che scendono al Capolinea da dovunque e ormai pure da Parigi, degli aereomobilisti che arrivano da Bergamo, Linate e Malpensa, delle migliaia di tassisti acquattati giorno e notte in cerca di persone da spostare.
Insomma: dire “quartiere” qui fa problema, perché significa soffermarsi su degli aspetti circoscritti, e dato il turbinio di passanti Quartiere Centrale fa un po’ di resistenza in merito, preferendo forse la definizione di “crocicchio”: un luogo dove le persone e le storie più disparate trovano una strana ed effimera quadra di convivenza.
Qui sembra che tutto sia monumentale, meglio: iconico.
Detto questo, partiamo dalle basi. Dai discreti quarantadue metri di volta della biglietteria, dalle umili arcate in ferro e vetro di settantadue metri d’altezza e di sobri trecento e quarantuno di lunghezza, dai sommessi duecento di facciata in larghezza e dal pomposissimo finto marmo negli interni. È giusto parlare di dimensione quando s’approccia Centrale. Perché qui l’Ulisse Stacchini – l’architetto – fece un buon crocicchio, mescolando il tradizionale Liberty meneghino all’Art Déco nel piano irruento della monumentalità fascista – non fosse per quell’horror vacui parietale, longobardo, che riporta Mercuri da tutte le parti, cavalli alati, metafore del lavoro e patroni della velocità ferroviaria. Insomma, come tante architetture della città (come il Mercato Rionale di viale Monza) ci troviamo davanti a quel sogno veloce della modernità spossa e primo-novecentesca che in fondo abita il cuore di Milano.
Qui sembra che tutto sia monumentale, meglio: iconico. Dai primi passi del Pride in Sammartini all’icona assoluta di Torre Galfa con la prima occupazione di Macao in un lontano maggio del 2012. Per questo pare che tutto faccia ombra in Centrale. Le architetture monumentali, i grattacieli, il lungo serpeggiare del massicciato ferroviario che adombra il campetto di basket in Sammartini. Ma al di sotto dell’ombra tutto sbrilluccica come oro colato, in tutti i sensi. Come l’hotel Gallia all’ombra del Pirellone, il cui intento è palesemente quello di ammaliare ogni primo sguardo gettato dall’androne di Centrale abbagliando i viaggiatori la una cupola in un regale Blu di Prussia e illuminata da fari in stile Century Fox, con tanto di bordature in oro e oblò gessati in bassorilievi, insomma, con quel fare da inappuntabile baluardo del lusso made in Italy.
Che dire poi del Principe di Savoia, più verso Repubblica – ma perché in corrispondenza della vecchia stazione della città –, dove i nomi delle ali “Principe Rosso” e “Metallico” spiegano già tutto in poche parole, senza stare a citare i vip di passaggio tra le suite inimmaginabili, tipo Madonna, Lady Gaga, Micheal Jackson, per un principesco Gotha alle punte dei piedi della ferrovia nel rovere ottonato dei banconi.
Il quartiere cardiopatico per eccellenza, dove il ringhio metallico dei treni sferraglia con i grind sui manicotti di Duca d’Aosta.
Insomma, Centrale è movimento alla luce e movimento all’ombra, detta in altro modo: è il quartiere cardiopatico per eccellenza, dove il ringhio metallico dei treni è puntuale con lo sferragliare dei grind sui manicotti di Duca d’Aosta, piazza celebre quanto la stazione stessa, non tanto per lo spaccio, il taccheggio e i plotoni militari ma per la sua ricorrenza nelle hall of fame dei best skate-films. Grindano sui manicotti, slidano tra gli scalini, hollano sulla candida Mela del Pistoletto lanciandosi in kickflip giù da qualunque scalino della piazza, soprassedendo a tutto ciò che accade a La Centrale. Da questa prospettiva, film e skaters vi possono letteralmente illuminare sulla storia del quartiere e della città: sono termometri d’eventi, crew tutelari di una piazza inconsapevolmente progettata per essere uno skate park open-air famosa quanto Place de la République a Parigi ma soprattutto facile da trovare perché si arriva e si skeata svernando nelle belle stagioni.
Insomma, in tutto e per tutto La Centrale è internazionalista, e ci sembra che ciò che vi nasce risenta inevitabilmente di quella voglia di fuga, di attività e coinvolgimenti che osiamo dire cosmopolita con un velato richiamo kantiano che piazziamo lì come si lanciano i sanpietrini per poi tirare indietro la mano. Diciamo questo pensando ai ragazzi di Rayon Vert che solcano le montagne e producono la loro attrezzatura nel quartiere, ad Asian Fake che raccoglie artiste e artisti per elettrizzare la città, a Carnale che organizza feste e magazine erotici con fotografi da tutto il mondo, o ancora a Samara Edition che spedisce performance in scatola a casa, evocando quando si può il fattorino perdutosi tra le provinciali di qualche paesino lontano.
In tutto e per tutto ‘La Centrale’ è internazionalista.
Perché poi c’è questo rapporto tra logistica e movimento, tra stazioni e attività, che si vede bene anche nei chilometrici magazzini raccordati che costeggiano Ferrante Aporti da un lato e Sammartini dall’altro. Un luogo ancora più vecchio di Centrale, incassato al di sotto del massicciato ferroviario e collegato al capolinea da veri e propri binari secondari e che svolgeva la stessa funzione dei duty free aereoportuali in tempi non sospetti. Stoccaggio e distribuzione, movimento e frenesia, la fotta logistica moderna che più moderna non si può, che ricerca il movimento nell’evento arrivando a immaginari distretti di design e architettura nel ventre intestino del massicciato ferroviario – già felicemente abitato dalle creature notturne del Tunnel, per esempio. Ma vi basti anche pensare che lì intorno c’è una storia sommersa del cinema meneghino: la via Soperga altresì detta il “quartiere del Cinema”, tempio del noleggio delle pellicole, delle luci e dei proiettori, con i mitici martedì e venerdì sera della famiglia cinematografa meneghina, dove la pellicola ribadisce il matrimonio moderno per eccellenza tra immagine e movimento.
Ma poi c’è anche quell’altro lato dei tunnel, quello che si vorrebbe meno visibile che in fondo illustra al meglio la realtà della zona. Parliamo dei senza tetto sgomberati poco tempo fa, nel buio di una notte d’inverno, dal sottopasso Mortirolo sotto gli occhi attoniti di gran parte dei cittadini. Oppure di quegli spazi poco conosciuti nelle viscere del massicciato, come il Dopolavoro ferroviario, dove macchinisti, ferrovieri e cavalieri sferraglianti ripiegano nelle ore e nei minuti liberi dal tran-tran e dai ciuf-ciuf.
Per chiudere, vorremmo far notare come Centrale si stia facendo Centrale per davvero, con una strana gentrification che prima ha preso gli interni, le case incredibili e ampie in cui vivono gli insighter della cultura, della progettazione, della musica e del divertimento, i cultural and city hustler che smobilitano gli eventi e gli smottamenti della città ma che finora poco si vedono in giro per il quartiere come degli Howard Hughes del XXI secolo, e poi è andata a prendersi gli spazi della stazione. Parliamo del recente Mercato Centrale, un fratello più notturno del Mercato di Benedetto Marcello, patria della buona verdura pugliese e degli strilli dalle bancarelle che s’accostano all’infinità di piccoli negozi indiani, cinesi e russi, a testimonianza che ogni movimento nei pressi di Stazione Centrale non può essere altro che una piccola riproduzione miniaturistica del mondo che converge in ogni stazione di ogni città.