Cento anni non sono facili da raggiungere. In mezzo ci sono guerre, ribaltoni politici, crisi, tecnologie e i gusti degli italiani che cambiano. Invece il nostro Negroni, con la classe di chi in punta di piedi fa parlare di sé, travalica gli anni e le sue effimere mode, consacrandosi al più severo degli arbitri: il tempo. Cento anni e non sentirli per il cocktail italiano per eccellenza, inno tricolore suonato sulle note della santa trinità vermouth rosso, bitter e gin. Così facile a dirsi e al tempo stesso così difficile a farsi, perché al Negroni si richiede ciò che a questo mondo è di pochi. La perfezione.
Collocare con precisione la sua data di nascita non è facile. Storicamente si fa risalire al 1919, anche se la forbice temporale più verosimile è quella tra il 1917 e il 1920, secondo le ricerche di Luca Picchi, bartender fiorentino e studioso dell’argomento. Senza soffermarci troppo su questioni di documenti, scritti ritrovati, epistole che mandano in confusione il lettore e magari poco interessano in questa sede, vogliamo semplicemente omaggiare e ricordare la sua storia. Nasce a Firenze, al Bar Casoni in Via de’ Tornabuoni, diventato poi Giacosa e passato alla famiglia Cavalli. Oggi è chiuso. Rimane però viva, splendente e per niente offuscata, la sua storia. Una storia che cambia le sorti dell’aperitivo italiano quando a varcare la sua soglia è il Conte Camillo Negroni.
Personaggio dalle tinte barocche, gran bevitore, gentiluomo dalla bevuta elegante e costante. Si stanca del solito Americano e fa sostituire il selz con del gin, di cui è grande appassionato visti i continui viaggi in Inghilterra. E così gli altri avventori, incuriositi, cominciano a ordinare “un’americano alla moda del conte Negroni”, poi semplicemente “Negroni”. Fosco Scarselli, barman del tempo, una volta interrogato disse che in realtà aggiunse gocce di amaro, non il celebre distillato inglese. Ma le fonti nel tempo si confondono e solo nel 1946 arriva la ricetta ufficiale come la conosciamo noi.
“Il Conte Camillo Negroni. Personaggio dalle tinte barocche, gran bevitore, gentiluomo dalla bevuta elegante e costante. Si stanca del solito Americano e fa sostituire il selz con del gin”
L’omaggio al Conte fa il giro del mondo, arriva in America, se ne innamorano, torna in Italia, paese che gli da i natali ma che se ne scorda per un po’ di tempo. Aspettiamo il periodo dei fasti della Dolce Vita per vederlo tornare con forza e connettersi con il tessuto sociale italiano. Il cocktail diventa subito religione. Si evolve, si twista, si reinventa, si snatura, si esalta. Ma il Negroni non muore mai, simbolo di quello slow time che fa gola al mondo intero. I bartender, un po’ come succede con il Martini Cocktail, lo temono. Sentono di confrontarsi con il peso del tempo e della tradizione. Tra le sue più celebri rivisitazioni ricordiamo quella di Mirko Stocchetto, che al Bar Basso nel 1972 per un famoso sbaglio, creò il celebre Negroni Sbagliato. Al posto del gin, spumante. Fermatevi ancora oggi in via Plinio per vedere che nulla è cambiato.
“Il Negroni sbagliato nacque per errore. «È un giorno caldo, le ho fatto un Negroni più leggero» dissi al cliente. «Si chiama Negroni Sbagliato»”.
Un cocktail che si regge sugli equilibri delicati delle sue componenti. I bevitori meno esperti lo considerano inavvicinabile, altri lo eleggono cocktail per eccellenza, noi di ZERO lo omaggiamo augurandogli di passare altri cento anni sulla cresta dell’onda. O meglio, altri cento anni nei banconi dei bar di tutto il mondo.
Contenuto pubblicato su Grande Zero Milano - 2019-05-10