Quante volte siamo partiti DA ZERO?
Quante volte eravamo lì, abbiamo visto cambiare tutto ma ce ne siamo resi conto solo dopo, come se fosse successo per magia? Qual è il segreto?
Zero riparte dalla città, in un viaggio avanti e indietro sulla linea del tempo. Dagli ultimi 30 anni del passato, da cui sembriamo lontanissimi e da cui prendere il meglio. Dal presente in cui è impossibile andare avanti, è impossibile tornare indietro, in cui siamo immobili e soffriamo. Dal futuro che pretende immaginazione.
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Non serve, almeno non ancora, chiamare in causa la teoria della città invertita. Per avere consapevolezza sulla provenienza di gran parte delle energie propulsive che negli ultimi 30 anni hanno segnato in profondità e a lungo termine l’identità e la produzione culturale di Roma, e che in parte ancora riverberano come memorie indelebili dal centro alle periferie, basta averla osservata attentamente anche solo negli ultimi dieci anni – con tutte le sue memorie, eredità, trasformazioni, vizi e virtù che le sono rimasti. Gli spazi occupati (dal Forte Prenestino alla storia del Brancaleone, passando per il Villaggio Globale e l’Horus), i rave illegali e lo sviluppo del “Blocco Ostiense”, i teatri autogestiti (da cui sono partiti percorsi di compagnie divenute importanti anche a livello nazionale), il Circolo Mario Mieli, la Borgata Boredom del quadrante Est da cui ancora oggi proviene una buona dose dei suoni romani meno allineati: le spinte più forti di Roma sono arrivate quasi sempre dal basso, progetti collettivi che hanno poco a che fare con la sfera del privato e che solo in un secondo momento, talvolta, creano legami con l’overground, rarissimi i contatti e la sinergia con le istituzioni (che poi però, quando si sono verificati senza cortocircuiti, hanno creato momenti collettivi memorabili come Enzimi).
Dai primi Novanta alla metà degli anni Dieci, c’è un solo spazio dove – per un concerto, una serata, una Pasquetta – tutti i romani tra i 18 e i 50 anni sono stati almeno una volta
Per la musica dal vivo, c’è forse solo un’eccezione a questa regola e vocazione alla sottocultura di Roma. Un solo nome che ha unito almeno 4 generazioni: una sala per feste che diventa spazio per concerti e poi, per vent’anni, collettore e riferimento trasversale per gran parte di ciò che si muove in città in termini di musica live – italiana e internazionale, prima hip hop e “post”, poi indie e rock – radar romano che intercetta i nuovi suoni, ma anche serate che lambiscono i territori del clubbing. Dai primi Novanta alla metà degli anni Dieci, c’è un solo spazio dove – per un concerto, una serata, una Pasquetta – tutti i romani tra i 18 e i 50 anni sono stati almeno una volta. E quel posto, lo avrete già capito, è il Circolo degli Artisti.
Due fasi distinte, impresse nella memoria di una città dove i cicli vitali delle esperienze culturali e artistiche faticano a (sopra)vivere sul lungo periodo – per questioni politiche, burocratiche, economiche, ma difficilmente per un sovraffollamento dell’offerta o per un reale calo di interesse del pubblico. La prima vita è dal 1989 al 1998, in quello noto come “il primo Circolo vicino Piazza Vittorio”, ovvero negli edifici abbandonati della vecchia Centrale del Latte di Roma, in via Lamarmora 28: il Circolo degli Artisti diventa progressivamente crocevia della scena alternativa tutta, ri-generando un tipo di dimensione live in quel momento inedita per Roma, per certi versi evoluzione di ciò che era stato il leggendario Uonna – una dimensione media, con vocazione internazionale e apertura alla scena locale, in un momento in cui gli spazi per la musica dal vivo sono quelli occupati, il Forte in prima linea, o più formali, come il Tenda Strisce e il Palladium. Anni cruciali in cui prende forma una rete sotterranea di rapporti, scene, serate e contaminazioni locali che segneranno i due decenni a venire; un preciso contesto spazio temporale, quello del Circolo dei primi Novanta, in cui Roma comincia anche a intercettare – grazie al dinamismo di chi lo gestisce e alla volontà di far circolare suoni e idee in contrasto con l’immobilismo degli Ottanta – i trend internazionali che vanno dall’hip hop a certo crossover fino al post rock. Il primo Circolo è un ponte tra un prima e un dopo, un laboratorio sperimentale dove va in scena il primo concerto a Roma di Beck e un epocale set di Aphex Twin, dove – parallelamente al Forte – esplode l’interesse tutto romano per il reggae, dove trova spazio la doppia H capitolina con Danno, Masito, Primo Brown e Sangue Misto, dove avvengono incontri mitici tra Colle Der Fomento e Growing Concern e passa il meglio della musica indipendente internazionale di quegli anni.
Nato come associazione culturale al cui interno c’era l’associazione di teatro La Scaletta, gestita da Gianluca Celidonio e Romano Cruciani – protagonista nell’ombra, anche molto discusso, di almeno due decenni significativi per la musica dal vivo a Roma – nel 1991 il Circolo degli Artisti comincia a cambiare pelle grazie all’entrata in scena di un altro nome ancora oggi importante per la musica a Roma, Roberto Corsi. Oggi boss del distributore Goodfellas, allora prima tuttofare e poi direttore artistico illuminato dello spazio in via Lamarmora, Bob Corsi passa dall’inviare comunicati stampa via fax, uno a uno, allo stravolgere la vita notturna della capitale – con il Circolo che diventa la prima realtà a Roma con una programmazione continuativa, dove basta fare una tessera di 5000 lire con cui spesso si entra anche gratis ai concerti. Uno spazio che diventa riferimento per le etichette, che facevano lì gli showcase sapendo che la sala si sarebbe sempre riempita.
“Siamo nel 1991, il Circolo era un’associazione culturale al cui interno c’era l’associazione di teatro La Scaletta, gestita da Romano Cruciani e Gianluca Celidonio, che vedevano nel nostro gruppo di persone – e credo in particolare in me, che ero un fomentatissimo – un potenziale. Romano e Gianluca dovettero partire con l’associazione per una tournée in Sud America e avevano bisogno di qualcuno che gestisse il posto il loro assenza. Allora il Circolo era simile alla seconda sede in via Casilina Vecchia, con un palco perché c’era una scuola di teatro. Durante la loro assenza mi lasciarono la gestione dello spazio: la serata jive diventò una serata reggae, Black and Dekker – un genere di suoni che allora si trovavano solo al Forte Prenestino, dove c’era la Tortuga, il precursore di One Love Hi Powa, che tutti i venerdì apriva i microfoni improvvisando sui dischi reggae selezionati da Lampa Dread, da Tubo e me. Questa sala cominciò anche ad attrarre persone che organizzavano concerti a Roma: Francesca Bianchi, che poi ha lavorato alla Virgin e oggi organizza eventi con Hugo Sanchez, la quale ci portò gruppi come Consolidated, una formazione industrial-rap-gay, o Test Department e organizzava appuntamenti settimanali dedicati alla musica industrial e dark wave (Coresect). Storiche erano anche le serate del giovedì dedicate al soul e ai 60s curate da Luzy L e Corry X (Parucca Night)”.*
Al Circolo iniziamo a sperimentare: era il periodo del crossover, nella serata reggae cominciamo a mettere hip hop, anche noi apriamo i microfoni, prima con i neri francesi figli degli ambasciatori che iniziano a rappare, poi arrivano Danno, Masito, Primo Brown, Sangue Misto
Il Circolo diventa megafono dei nuovi suoni e incubatore per quelli che saranno alcuni degli attori della musica live, capitolina e nazionale, del futuro. Concerti epici che vanno da quello dei Fishbone, “dei neri che facevano uno strano crossover, mischiando ska e hardcore” alla presentazione di “SXM” dei Sangue Misto, il metal che va sempre sold out, il rap che dilaga, l’hardcore che si contamina, i primi vagiti di agenzie di booking che diventeranno colossi. “Siamo intorno al 1992. C’era il periodo Ninja Tune, con i dj che venivano a suonare, tipo Coldcut, un sacco di gruppi metal che facevano sempre sold out, Carcass, Morbid Angel e molti gruppi hardcore, perché era diventato anche un punto di riferimento per quella scena a Roma, non solo nell’incrocio con il rap. Ci fu il primo concerto in città di Beck, vennero i Gorilla Biscuits con cui avevo fatto amicizia a NY e che poi tornano come Quicksand, gli Agnostic Front… Anche le serate organizzate da Andrea Benedetti e Marco Passarani e la loro Final Frontier furono coeve dell’esplosione dei rave party illegali a Roma e ricordo con piacere (e anche terrore) la serata showcase dedicata alla Rephlex Records con i live di Richard D James (Aphex Twin) e Grant Wilson. Al Circolo iniziamo a sperimentare: era il periodo del crossover, nella serata reggae cominciamo a mettere hip hop, anche noi apriamo i microfoni, prima con i neri francesi figli degli ambasciatori che iniziano a rappare, poi arrivano Danno, Masito, Primo Brown, Sangue Misto, quindi diventa una serata di riferimento per quei suoni. Il Circolo era frequentato anche da chi era attivo nei centri sociali, il Forte Prenestino come il 32 a San Lorenzo. Erano tempi in cui la fila per entrare iniziava a Piazza Vittorio e arrivava fino all’entrata del Circolo. Però va detto che si entrava gratis, era un po’ the place to be, quindi un sacco di gente non sapeva neanche cosa ci fosse la sera. A quel punto il Circolo era sempre così pieno che, non riuscendo più a contenere la folla, nel ’94 aprimmo un bar per far defluire le persone. Il bar si chiamava Cirrosy’s, a suo modo un posto leggendario: avevamo un juke box, riviste internazionali, le pareti tutte affrescate da artisti newyorchesi, arrivati tramite la ragazza americana con cui stavo ai tempi. Gli anni d’apertura furono dal ‘94 al ‘97, e a quel punto via Lamarmora era diventata una specie di Campo de’ Fiori ma alternativa, con rapper, la scena hardcore, tutto che si mescolava”.* Un lustro letteralmente d’oro, finché non iniziano le chiusure/riaperture, perché si comincia a sapere che lo spazio verrà destinato al mercato.
Se la sua prima vita a piazza Vittorio conserva un’aura mitica d’altri tempi – da un lato storicizzata e assimilata come momento di passaggio cruciale della cultura underground romana, dall’altro coerente con i contorni analogici e tutt’altro che ad alta risoluzione dei primi Novanta, con ogni tipo di crossover, sperimentazione e passaggi di testimone possibili – la seconda vita del Circolo degli Artisti, quello in via Casilina Vecchia, ha ancora oggi vari legami con ciò che resta della Roma alternativa dei Duemila e dei primi anni Dieci. E nonostante gli anni intercorsi, resta un modello, forse perfettibile, ma oggettivamente mai replicato con tale potenza, definizione e trasversalità per la musica dal vivo in città. Un modello che, per circa dieci anni, fece sentire i romani appassionati di musica alternativa un po’ meno alla provincia dell’impero. Uno spazio che nella seconda metà dei Duemila raggiunse il suo massimo splendore, soprattutto grazie alla capacità di bilanciare serate anche molto accessibili con concerti di musica indipendente internazionale memorabili, ospitando band all’apice della creatività artistica che poi più tardi avrebbero riempito club e arene più grandi, o che poi in Italia non ci sarebbero proprio più tornati (giusto qualche nome, che poi scende la lacrima: Broken Social Scene, Animal Collective, Fuck Buttons, Liars, Arab Strap, Yo La Tengo, Telefon Tel Aviv, The Black Angels, ma pure Teenage Fanclub, Ulver, Pan Sonic e Melvins). Ma andiamo con ordine.
Il Circolo degli Artisti si sposta in via Casilina Vecchia a fine Novanta, in un’area tutta da rimettere a nuovo dove sorgevano dei locali che nel secondo dopoguerra avevano svolto la funzione di lavanderia e che in quel momento ospitavano uno sfasciacarrozze. Ci vuole qualche tempo prima che riprenda la forma, il ritmo e la presa sulla città degli anni precedenti, ma dall’inizio dei Duemila è un continuo crescendo e il modo in cui viene re-immaginato lo spazio è la prima delle sue carte vincenti: due sale, una piuttosto ampia per concerti e serate, e una più piccola per le esposizioni, un corner per merchandise e vendita di biglietti, una pizzeria e vari bar. Ma, soprattutto, un enorme giardino pieno di angoli da nascondere o condividere, di cui negli anni ognuno degli avventori avrà conservato un ricordo: le chiacchiere e le cannette post concerto con le band o i sabato sera di Screamadelica più affollati della metro A all’ora di punta; le Pasquette o i Primo Maggio coi dj set, le grigliate e i racchettoni, quando per beccarsi tutti non c’era bisogno né di punte né di gite fuori porta, le arene del Kino e gli aperitivi d’estate, il vintage market e gli incontri impensabili, in ogni giorno della settimana o stagione.
A prendere il testimone della direzione artistica di Bob Corsi è uno studente universitario, Raniero Pizza, con modalità diy tuttofare affini e una necessità di esplorare e far esplodere i suoni del momento che dalla pura contaminazione dei primi Novanta cominciava ad aprirsi alla nu wave internazionale e alla nuova scena italiana dei cantautori più o meno rock. “Quando arrivai al Circolo a inizio Duemila, a Roma c’erano tanti spazi che facevano concerti, dai centri sociali ai locali, poi piano piano la scena cominciò ad assottigliarsi. Parallelamente, dal punto di vista specificatamente musicale, stava emergendo una scena italiana – una nuova forma di pop, piuttosto che di rock – che andava espandendosi, con Dente, Vasco Brondi, Marta Sui Tubi… E poi c’era l’invasione inglese, tutto quello che usciva dall’Inghilterra sembrava più interessante di quello che arrivava dall’America, c’era un’appartenenza a una scena, con una moda e un look molto forte, tanto che ancora oggi una serata come Cool Britannia si rifà a quel periodo storico. Fu una fase in cui a Roma passarono parecchi di quegli artisti, c’era un interesse spasmodico che culminava in frequenti sold out”**, racconta Raniero, figura chiave di tutti gli anni d’oro del “secondo Circolo” insieme con Lorenzo De Angelis, direttore di produzione.
Uno spazio che nella seconda metà dei Duemila raggiunse il suo massimo splendore, soprattutto grazie alla capacità di bilanciare serate anche molto accessibili con concerti di musica indipendente internazionale memorabili
Tra la metà dei Duemila e i primi anni Dieci il Circolo degli Artisti diventa non solo il punto di riferimento per la musica indie rock a Roma ma pure uno dei più considerati in Italia, con la migliore delle strategie possibili per un club: concerti spesso sold out di band indipendenti internazionali e luogo di riferimento per tutta la scena italiana (e romana) in via di espansione, ma pure salti nel vuoto o gruppi emergenti più sperimentali o di nicchia, ampiamente compensati in termini di numeri e costi dai pienoni delle serate nel weekend. È al Circolo che esplode la serata rock più importante di sempre nella capitale, quella Screamadelica di discendenza britannica nata agli Ex Magazzini di via Ostiense per mano e puntine di Fabio Luzietti e Andrea Esu, che farà ballare migliaia di più o meno giovani sugli anthem indie rock che monopolizzeranno l’intero decennio; è al Circolo che nasce uno degli appuntamenti gay più frequentati della capitale, Omogenic, il venerdì; è il Circolo che organizza serate in collaborazione con Enzimi (tra cui un concerto memorabile di Mike Patton in cui sfiorò la rissa con uno del pubblico) o che porta gli unici concerti decenti mai ascoltati a una Festa dell’Unità a Roma (memorabile, per chi c’era, quello dei Gossip a Caracalla), o che ospita le serate di etichette straniere importanti (da Rough Trade a Bella Union), che diventa la casa di Italia Wave nel Lazio e dell’emittente radiofonica locale più dinamica del momento, Radio Città Futura. È qui che convergono varie realtà che poi negli anni successivi cresceranno ben oltre i confini del G.R.A.: il team di Sporco Impossibile – responsabile della comunicazione del Circolo e poi del progetto Soluzioni Semplici, prima (e forse pure unica) web tv associata a un club in Italia – oggi scheletro portante di Bomba Dischi insieme alla mente affilata di Davide Caucci, che proprio con la serata La tua fottuta musica alternativa, in via Casilina Vecchia, aveva messo in atto i primi assalti alla diligenza indie italica. È al Circolo che prende forma Kick It!, tra le primissime serate dedicate alle sonorità urban a cura di Raffaele Costantino, altro nome che lascerà almeno un altro paio di tracce importanti sulla scena live romana (con Snob Production e Meet In Town), è qui che crescono anche serate più giovani, che poi andranno avanti anche dopo l’esperienza Circolo, come Giovedissimo (a cura del team di Borghetta Stile), Glamda ed Any Given Monday.
Non solo club indie rock con apertura internazionale, non solo casa della nuova scena cantautoriale italiana, non solo gran collettore delle serate nascenti sul territorio romano, di eventi domenicali e festività condivise. Il Circolo, a pensarci bene, è stato anche la porta d’ingresso principale per tutti quelli che cominceranno a frequentare e popolare il Pigneto, che proprio a cavallo tra i due decenni vedrà la sua massima espansione in termini di produzione creativa (e gentrificazione). Impossibile non menzionare un vicino di casa importante, complementare anche se per molti versi agli antipodi come l’Init: club dall’identità più sperimentale e underground, separato dal Circolo solo da un cancello e da qualche bega esattamente non da buon vicinato, ma unito dall’evidenza spazio temporale nell’essere il polo più importante a Roma per la musica live indipendente. Impossibile non ricordare come, e non ci sembra troppo un caso, la stessa compilation intitolata “Borgata Boredom”- che fotografava l’ormai rinomata scena di Roma Est – fu presentata proprio tra le mura del Circolo degli Artisti (correva l’anno 2011).
Nei primi anni Dieci, la storia del Circolo comincia a sgretolarsi, e non certo perché in città qualche club fosse stato in grado di fargli concorrenza. Dissidi gestionali interni sono l’anticamera di altre pesanti problematiche legali e burocratiche che porteranno alla chiusura definitiva nel 2015, dopo un’ultima fase che vedrà alla direzione dello spazio Francesco Maria Castro, allora già nel team del Circolo e oggi alla guida di Largo Venue. “Dopo quasi dieci anni di rapporti eravamo arrivati a un punto in cui noi e la proprietà del Circolo non eravamo più in linea sui percorsi da seguire. Per noi quel posto doveva diventare sempre di più una Factory, doveva investire sempre di più in proprie produzioni – tra cui ci fu l’esempio della web tv Soluzioni Semplici – ma c’era anche l’idea di fare dei festival itineranti, delle residenze, di investire anche a livello di produzioni discografiche… Invece dall’altra parte si voleva andare in tutt’altra direzione, quindi dopo un po’, tirando la corda… Si sono separati i Beatles, figurati se non ci potevamo separare noi all’interno del gruppo che all’epoca organizzava l’attività del Circolo”** . Ancora parole di Raniero Pizza che, subito dopo l’uscita dal Circolo darà vita, insieme ad altri fuoriusciti del team di via Casilina Vecchia, a un’altra realtà impegnata sulla musica dal vivo a Roma, Ausgang. Una realtà ancora oggi presente, che dopo un periodo itinerante ha trovato la sua casa in un altro spazio “di culto” che a fasi alterne ha fatto da colonna sonora alle serate romane, il fu La Palma. Una sala per concerti ampia e un giardino incredibilmente bello e accogliente, una versione simile ma con un potenziale anche più ampio del Circolo, che sposterà ancora un po’ più ad Est le coordinate della musica dal vivo a Roma e che manterrà fin dal nome i legami con la musica afroamericana di cui La Palma è stato ambasciatore in città. Quello spazio, già lo avete capito tutti, è il Monk.
* dall’intervista a Bob Corsi
** dall’intervista a Raniero Pizza
Ringraziamo Simone Cecchetti per le foto