Quante volte siamo partiti DA ZERO?
Quante volte eravamo lì, abbiamo visto cambiare tutto ma ce ne siamo resi conto solo dopo, come se fosse successo per magia? Qual è il segreto?
Zero riparte dalla città, in un viaggio avanti e indietro sulla linea del tempo. Dagli ultimi 30 anni del passato, da cui sembriamo lontanissimi e da cui prendere il meglio. Dal presente in cui è impossibile andare avanti, è impossibile tornare indietro, in cui siamo immobili e soffriamo. Dal futuro che pretende immaginazione.
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Se si chiede chi siano stati i padri fondatori dell’hip hop, nessuno avrà il coraggio di omettere tra questi Lance Taylor, noto ai più come Afrika Bambaataa, nato e cresciuto nel Bronx di New York. E se si chiede quale sia stata la scintilla più importante da lui generata, nessuno potrà esimersi dal nominare “Planet Rock”, brano rivoluzionario che catapultò nella nascente scena hip hop l’elettronica tutta tedesca dei Kraftwerk – di cui campionarono “Trans Europa Express” e anche “Numbers” – altra formazione sulla cui seminalità è quasi superfluo sprecare altre righe. A Roma, a cavallo tra gli anni 80 e 90, il viaggio è stato uguale, ma è andato in direzione contraria: dall’hip hop all’elettronica, alla techno.
Il 29 ottobre del 1988, un sabato, atterra al Tendastrisce di Roma un terzetto che farebbe ancora oggi smuovere migliaia di persone e sarebbe in cima ai cartelloni di diversi festival: Run-DMC, Public Enemy e Derek B. Il classico live da tutto esaurito e da “c’erano tutti”. E infatti, c’era non solo tutta la scena hip hop romana, che già allora era in pieno fermento e camminava – anzi, correva – agilmente sulle proprie gambe, ma c’era anche quella che sarebbe stata la futura scena techno, che nella sua fase germinale era tutta dentro al turntablism, tra scratch e cutting, con partecipazioni di diversi dj anche al più importante contest mondiale del settore: il DMC.
Il nascente suono di Roma, però, stava viaggiando su altre coordinate, più acide, scure, metalliche, nervose, sperimentali: cose mai viste e mai sentite. E travolse come un onda tutto e tutti, andando a colmare un vuoto asfittico che si stava coagulando attorno alle altre scene e stanando tutti coloro che non appartenevano a nessun giro
Su molti tra loro iniziarono a piovere tanti altri suoni, ma solo qualcuno decise di non aprire l’ombrello per ripararsi: l’acid, che avrebbe sbancato nell’89 Ibiza con la Second Summer of Love, e la techno della Motor City, Detroit, dove era emersa un’altra scena dalla potenza e visione sonora inarginabile. I negozi di dischi furono il fulcro: quelli di Londra per chi riusciva a viaggiare verso la capitale inglese, magari concedendosi anche qualche party nei locali dell’epoca, dove c’era chi miscelava tutti questi generi trasformandoli in un unico flusso adrenalinico e travolgente, tanto da volerlo replicare a casa non appena usciti da Fiumicino; quelli di Roma, dove i vinili erano selezionati e “spacciati” da Sandro Nasonte all’interno del suo Re-mix, che divenne ben presto uno dei riferimenti della scena nascente, nonché uno degli store più all’avanguardia in Italia: un’istituzione, non solo per aver precorso i tempi, ma anche per aver avuto un indiscutibile valore formativo e aver fatto da collante tra tutti i suoi frequentatori, a loro volta pionieri sonori nei confronti del pubblico più ampio.
Dj, produttori, promoter, spazi per i party, negozi di dischi: l’ultimo ma fondamentale tassello di questa rivoluzione fu la nascita delle etichette, che furono la definitiva spinta propulsiva per tutto il movimento techno
Già, il pubblico: qual era il pubblico di questa musica? Per molto tempo non ci fu, o meglio, era anch’esso in una fase germinale, sparso tra il già citato universo hip hop, quello wave e quello che aveva intercettato un appuntamento che contribuì, con il senno di poi, ad aprire molte porte: il Devotion, legato a sua volta a un’altra città, New York, e al tempio del Paradise Garage, con un’idea di club culture che aveva radice nei suoni funk, afro, disco ed early house – le due bag di dischi principali appartenevano a Paolo Di Nola e Marco Militello. Il nascente suono di Roma, però, stava viaggiando su altre coordinate, più acide, scure, metalliche, nervose, sperimentali: cose mai viste e mai sentite. E travolse come un onda tutto e tutti, andando a colmare un vuoto asfittico che si stava coagulando attorno alle altre scene e stanando tutti coloro che non appartenevano a nessun giro consolidato ed erano in attesa che qualcosa succedesse:
“Tutto esplose e in pochi mesi ci trovammo tutti in un vortice di suoni e sensazioni mai vissute prima. Fu una cosa potentissima”. *
Lory D, Leo Anibaldi, Fabrizio e Marco D’Arcangelo, Mauro Tannino, Paolo “Zerla” Zerletti, Max Durante, Andrea Prezioso e tanti altri iniziarono a riscrivere il suono della città, dandogli una connotazione unica nel panorama nazionale. Il mondo dei club, però, rimase all’inizio abbastanza diffidente, non capiva e non voleva capire quello che stava succedendo e quindi per diverso tempo ci fu il rischio di veder implodere questo universo con la stessa velocità con cui era nato. Bisognava levarsi dalle sabbie mobili, trovare nuovi spazi: in questo fu fondamentale il lavoro di Chicco Furlotti, che “prese sul serio” il lavoro del promoter e trovò una casa, l’Euritmia – che già aveva visto protagonisti gli eventi firmati Devotion – ed è lì che inizio a rimbalzare nell’aria della città una nuova parola: rave.
“I rave hanno dato voce alle nuove generazioni che volevano qualcosa di nuovo, sono stati la loro valvola di sfogo, inaspettata e naturale”. *
Dj, produttori, promoter, spazi per i party, negozi di dischi: l’ultimo ma fondamentale tassello di questa rivoluzione fu la nascita delle etichette, che furono la definitiva spinta propulsiva per tutto il movimento techno. Lory D fu ancora una volta decisivo e visionario in questo senso, riuscendo a convincere Re-mix a contribuire alla produzione e trovando una sponda fondamentale nello studio di registrazione gestito da Andrea Benedetti in collaborazione con Eugenio Vatta. 1991, primo capitolo della neonata Sounds Never Seen e dal titolo subito programmatico: “We Are in the Future”. Contemporaneamente, l’altro artista più prolifico, Leo Anibaldi, contribuiva alla circolazione dei nuovi suoni grazie a un’altra label, la ACV. Nello stesso anno ci furono alcuni tra i rave più memorabili di questa “epoca”, come quello che ospitò Adamski a Monterotondo (febbraio) o quello che vide omaggiare l’etichetta Plus 8 (ottobre) con Cybersonic, Dan Bell, Speedy J e F.U.S.E. (uno dei primi alias di Richie Hawtin).
I rave hanno dato voce alle nuove generazioni che volevano qualcosa di nuovo, sono stati la loro valvola di sfogo, inaspettata e naturale
Nel 1992 la prima discesa di Aphex Twin, che non solo riscrisse le regole del gioco proponendo suoni e ritmi da un altro universo, ma fu la testimonianza tangibile di quanto la scena romana avesse bucato i confini nazionali – e le tante uscite firmate D’Arcangelo su Rephlex nei 90 ne sono il lascito discografico tangibile. Già nel 1993 però arrivarono i primi “guai”: nel circuito si era fatti largo anche personaggi meramente interessati al business dei party, che nel frattempo erano finiti anche nei radar delle forze dell’ordine – e anche di alcune fazioni politicizzate a destra. Quell’anno fu però l’ennesimo periodo seminale per Roma perché vide l’infaticabile Andrea Benedetti dar vita a un nuovo sodalizio assieme a Marco Passarani – che già all’epoca aveva fondato l’etichetta Nature Records – con il progetto Final Frontier, legato alla distribuzione di numerose etichette fautrici di un’elettronica nuova e visionaria, con una rete che a sua volta permise negli anni di far circolare molto le produzioni del circuito romano e non: MAT-101, Amptek, T.E.W., M.S.B., Raiders Of The Lost ARP, Jollymusic.
* Dall’intervista con Andrea Benedetti
* Per le foto ringraziamo Andrea Benedetti e la pagina facebook Quelli De’ Na Vorta