Negli ultimi anni abbiamo assistito a retrospettive complete (p.e. Bergamo quest’anno), conferenze prestigiosissime (Fondazione Cini, Venezia), mostre fotografiche, pubblicazione di scritti e diari (“Martirologio”): il grande russo è un indimenticato. E se lo merita: una flemma scintillante, il carattere buono e lucidissimo, le sue peripezie politiche ed esistenziali (si scontra con l’Urss, chiede asilo politico all’Italia, diventa un protetto del Vaticano, muore di cancro a Parigi). I suoi film sono tutte meditazioni in profondità: con lo struggimento bellico de “L’infanzia di Ivan” vince a Venezia; “Andrej Rublev” segna una nuova era per il film religioso, “Solaris” riflette sui confini tra scienza, fede e desiderio; “Lo specchio” indaga la sua vita in modo spasmodico, “Stalker” racconta le crisi e le tentazioni di tutta la cultura umana (Andrej dovette rifarlo low-cost, dopo che un incendio distrusse tutta la pellicola girata). Tarkovskij arrivato in Italia non fece mai mistero del suo odio per i nostri registi rampanti: in particolare si ricorda il suo disgusto per “La luna” della Bertoluccia. L’abbiamo detto che è un genio, ma meriterebbe davvero un monumento.
Andrej Tarkovskij
Spazio Oberdan, V.le V. Veneto 2, Milano
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