“Papà, da dove viene questa musica?”, “E’ la filodiffusione, The Fall!”. Avevo sette anni quando, dal dentista, scoprii una delle cose che più mi avrebbe affascinato nel tempo. La filodiffusione mi sembrava una cosa da ricchi - in ogni momento della giornata potevi schiacciare un bottone e c’era uno lì per te a mettere su un brano - e poi adoravo l’idea di poter avere sempre della musica ad accompagnarmi. Tutto questo per dire che, più volte, ho pensato a quanto il mondo sarebbe migliore se tutti fossimo obbligati ad ascoltare Tim Hecker in filodiffusione, mentre svolgiamo le nostre volgari azioni quotidiane. Guai a chi pensi che stia sminuendo il talento del canadese (e la passione che nutro per “Music for Airports” di Brian Eno è qui a dimostrarlo): la mia, anzi, è una considerazione su quanto la gente, una volta a contatto con la maestria di Tim nel disegnare ambienti di suono struggenti e intimi, non possa che sentirsi più in pace con se stessa. La filodiffusione mi affascina anche ora che è vintage; Tim Hecker, purtroppo, non è obbligatorio - anche se un ascolto al suo ultimo "Virgins", uscito per la fidata e glaciale Kranky Records, è vivamente consigliato - ma almeno mi consolerò sentendolo dal vivo. E assistendo, prima del concerto, alla performance di "Stati d’acqua", affresco sonoro dell’Amazzonia per acusmonium (ovvero la versione 3D della filodiffusione).
Tim Hecker
Auditorium San Fedele, Via U. Hoepli 3a/b, Milano 4/10/2013
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