Milleduecento battute – poche – e un argomento che conosco a menadito: eppure non so come iniziare. Ci provo. I Public Enemy: non il gruppo grazie al quale ho iniziato ad ascoltare rap, ma di certo quello che ha più influenzato il mio immaginario di bimbetto nell’Italia postideologica degli anni ‘90. “Fight The Power”, “Give It Up”, “Shut ‘Em Down”: roba che – al di là dell’armageddon sonico della Bomb Squad e della voce di Chuck D – mi ha fatto crescere, portandomi a leggere le biografie di Malcolm X o Stokely Carmichael, così come i saggi di Cornel West. Edutainment puro. E poi i live, cazzo, i live! Dal tour con 2Pac in poi – anche prima, eh, solo che non c’ero – i Public Enemy hanno sempre rimarcato la differenza che c’è tra MC e rapper e, ancora oggi, il gruppo di Long Island piscia in testa al 90% dei colleghi. In molti li definiscono i Rolling Stones del rap; definizione lusinghiera, ma che, con tutto il suo bagaglio di nostalgia, gli sta stretta. Perché non c’è nulla di nostalgico nel riascoltarsi “Nation Of Millions” o “Apocalypse 91”; “Night Of The Living Baseheads” vale oggi come 20 anni fa, così come ”Anti Nigger Machine” o ”911 Is A Joke”. E quando sui giornali si leggono interrogativi su quale mai potrà essere la sottocultura che negli stati dell’America del sud genera i George Zimmermann o i Dylann Roof, beh, un ascolto a “By The Time I Get To Arizona” può aiutare. Cos’altro devo aggiungere – 16 luglio, Magnolia, è tutto quello che serve sapere.
Public Enemy
16/7/2015 Magnolia, Via Circonvallazione Idroscalo 41, Milano
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