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Lorenzo Giusti

La soglia tra la persona e il proprio ruolo: lo sguardo del direttore della GAMeC di Bergamo

Geschrieben von Annika Pettini il 14 Dezember 2022
Aggiornato il 16 Dezember 2022

Lorenzo Giusti_Ritratto_Ph. A. Maniscalco

Quando si dirige un’istituzione, anche quelle culturali e museali, si diventa l’istituzione stessa: la propria voce e le posizioni diventano quelle della realtà, le scelte quelle della comunità che le sostiene e le azioni sono quelle di chi ci lavora. Però qui, prima di arrivare alla GAMeC e alle prospettive per i grandi eventi del 2023 (con Bergamo e Brescia Capitali della Cultura), abbiamo scelto di iniziare dalla persona e dal percorso che sta dietro quello che vediamo oggi. Perché essere il direttore della GAMeC è solo la punta dell’iceberg di un lungo percorso: dai monti alle isole, con grandi viaggi e scelte nel mezzo, ci siamo nuovamente confrontati con Lorenzo Giusti, dopo la prima conversazione insieme nel 2017 fresco fresco di nomina.

l’arte è una cosa viva, dinamica, con cui bisogna relazionarsi in modo attivo

 

Le biografie e le carriere si intrecciano facilmente, quindi iniziamo con due domande difficilissime. Perché l’arte come percorso professionale e di vita?

  • Sono figlio di un’insegnante di ragioneria e di un perito tessile. A parte le visite ai musei durante le vacanze d’estate non ho avuto occasioni per entrare in contatto con il mondo dell’arte prima dell’università. In casa avevamo tre piccoli quadri – credo regalati ai miei per il matrimonio – e un poster dell’Arlecchino pensoso di Picasso. Scegliere di iscrivermi alla facoltà di lettere dopo il liceo scientifico è stato un piccolo atto di ribellione. Una parte di colpa ce l’ha anche il mio professore di quinta, Giuseppe Nifosì, che oggi è un affermato autore di manuali scolastici e divulgatore. Il resto lo hanno fatto alcuni episodi che, progressivamente, hanno orientato le mie scelte sempre di più verso il contemporaneo, tra cui l’opportunità di assistere Arabella Natalini subito dopo la laurea, nell’organizzazione di Tuscia Electa: una piccola Biennale di arte contemporanea nel Chianti fiorentino e senese. In quella occasione ho conosciuto Cesare Pietroiusti, che ho assistito nel lavoro e che ha molto influenzato le mie scelte successive, parlandomi del ruolo politico del curatore. Ci ho messo un po’ prima di capire che l’arte è una cosa viva, dinamica, con cui bisogna relazionarsi in modo attivo.

Cosa significa ricoprire posizioni di responsabilità in un settore così importante, esposto e delicato, come quello della cultura contemporanea e artistica?

  • Ci sono diversi gradi di responsabilità. C’è quello verso il pubblico – dalla comunità locale di riferimento alla collettività del sistema culturale – e c’è quello verso il singolo ente, il soggetto per cui si è chiamati a operare. A queste responsabilità chiamiamole “istituzionali” si aggiunge il rispetto nei confronti di se stessi, che non può essere scisso dal discorso collettivo. Quando diventi direttore di un museo devi iniziare a confrontarti con interessi che non sono necessariamente i tuoi come curatore, in senso stretto. Devi imparare a tenere in considerazione anche le ricerche di altri o questioni significative per il contesto o per il momento storico che si sta attraversando. La sfida diventa inserire questi percorsi dentro una linea di sviluppo e una progettualità coerenti con la tua visione. Ricoprire incarichi come la direzione di un museo del contemporaneo significa difendere sempre la propria visione, la propria progettualità e il proprio lavoro dalle pressioni esterne e, al contempo, rispettare l’identità dell’istituzione che si rappresenta.

La GAMeC è una realtà particolare: è situata in una città come Bergamo che non è grandissima, a tratti provinciale ma anche con una sua identità indipendente (rispetto alla pressante vicinanza con Milano), dettata anche dalla presenza di grandi industrie, agio e un tessuto urbano storico e curato. In che modo influisce tutto questo sull’identità di un’istituzione d’arte? Come ti sei legato tu alla città?

  • Ci tengo a dire che io vengo dalla provincia, sono cresciuto in provincia e ne conosco bene la mentalità e i meccanismi. Le province sono il motore economico del Paese e un suo fondamentale tratto identitario. Bergamo quindi sì, è una piccola città, ma è anche una delle province più grandi, popolate e dinamiche d’Italia, oltre a essere un satellite molto importante della vasta area urbana milanese (basti pensare alla crescita di Orio al Serio). Questo non vuol dire avere le stesse opportunità del capoluogo, ma di potere comunque godere di un posizionamento strategico che, come dici, determina anche il profilo della GAMeC. Bergamo si colloca all’intersezione tra due vie perpendicolari: l’asse orizzontale urbano e industriale – che porta innovazione e contaminazione – e la via verticale che proviene dai monti – che porta altre forme di sapere e di convivenza, sempre più importanti per il futuro. È una dimensione ibrida in cui mi sono sentito subito a mio agio. Un po’ cittadino del mondo, un po’ montanaro. Poi c’è stata la pandemia, che mi ha avvicinato molto a questa comunità, di cui oggi mi sento pienamente parte. Ma questo l’ho già raccontato tante volte.

Sei alla sua direzione ormai da qualche tempo e negli anni si è delineata la tua visione per questa istituzione, e non si può negare una ricerca di apertura, di incisività dal sapore internazionale ma senza mai trascurare la preziosità del territorio che è casa. Portaci ancora più vicino: il 2023 sarà ovviamente un anno particolare in quanto segnato, insieme a Brescia, dalla responsabilità di essere la Capitale della Cultura. Cosa vuol dire per te essere parte di questo progetto e processo?

  • Il 2023 sarà per la GAMeC l’occasione per chiudere al meglio delle condizioni un ciclo iniziato cinque anni fa, ma anche un momento per immaginare l’inizio di una nuova stagione, che si aprirà alla fine dell’anno. Sarebbe un errore non rendere questo passaggio un’occasione per ripensarci, oltre che un periodo di festa. Il futuro è dei luoghi, dei territori. Ci sono mille ragioni, ecologiche e sociali, per spingere le istituzioni a operare sempre più localmente, facendo muovere maggiormente le idee e meno le cose e le persone e attivando le comunità. La sfida è quella di trovare nuove forme, nuove pratiche, per rendere avventurosa e piena di senso la vita nelle comunità. I miei pensieri, in questo momento, si stanno orientando soprattutto in questa direzione.

Avete da poco presentato l’intero programma che prosegue molto l’approccio degli anni passati andando ad ampliare le collaborazioni e le restituzioni che ne conseguono. Con che obiettivi e valori vi siete mossi per la progettazione?

Siamo stati sollecitati a presentare un programma in linea con le quattro aree tematiche del dossier per la Capitale (La cultura come cura, La città natura, La città dei tesori nascosti e La città che inventa) e per ognuna di esse abbiamo costruito uno o più progetti in coerenza con le linee di sviluppo del nostro piano pluriennale, tant’è che nel 2023 concluderemo sia la nostra “Trilogia della Materia”, sia il ciclo de “La Collezione Impermanente”.
La rete delle collaborazioni si è ampliata: oltre alle istituzioni con cui vi è un rapporto consolidato, tra cui la Fundación Proa di Buenos Aires, sono state sviluppate sinergie con altre realtà che sono intervenute a sostegno del programma del prossimo anno: Secession Wien per Vivian Suter, Kunsthaus Baselland per Chiara Bersani, insieme a Pirelli HangarBicocca e Galerie Stadtpark di Krems nell’ambito di un progetto finanziato dall’Italian Council, Fondazione MERU per Tómas Saraceno, Fondazione In Between Art Film per Ali Cherri. Localmente stiamo sviluppando progetti con il Teatro Donizetti, per le scenografie del Diluvio Universale, affidate ai MASBEDO, e con Confindustria Bergamo, per la realizzazione di due installazioni urbane di Objects of Common Interest e Salottobuono. In Palazzo della Ragione realizzeremo una nuova installazione di Rachel Whiteread, sostenuta da una rete di imprese locali. Speriamo di arrivare in fondo sani e salvi!

E oltre cosa vedi?

  • Come dicevo prima, l’obiettivo del 2023 è anche quello di chiudere una serie di programmi di lungo corso, ma il più importante è la stesura di un piano di gestione sperimentale per il biennio 2024-2025, quando, parallelamente all’esecuzione dei lavori per la nuova sede della Galleria, proveremo a operare in forma diffusa, coinvolgendo le comunità di vari territori, con una partecipazione attiva e rompendo lo schema classico museo-mostra. Ci stiamo lavorando.