Ad could not be loaded.

Emmanuel Bonetti aka Manu

Nel dicembre del 2006 apriva il Fanfulla 101, primo spazio di incontro e confronto per quella che sarebbe diventata la 'scena di Roma Est'. Oggi si chiama Fanfulla 5/a: della sua storia, dell'attitudine mai 'settaria', dei gruppi, dell'etichetta e delle idee che sono nate o passate da qui ce ne parla il suo fondatore, l'instancabile Manu.

Written by Chiara Colli il 21 October 2016
Aggiornato il 20 February 2017

Foto di Valentina Pascarella

Prima che Borgata Boredom finisse anche sui giornali mainstream, prima che l’espressione “Roma Est” diventasse sinonimo di “cultura alternativa” quasi più che espressione geografica, prima anche delle imprese di via Luchino Dal Verme, in quel quadrante della capitale c’era (solo) il Fanfulla 101. L’apertura in via Fanfulla da Lodi 101 è datata 31 dicembre 2006 e se oggi il Pigneto è considerato, anche fuori dal G.R.A., la culla di una certa scena off – forse un po’ scoppiata ma certamente con un’identità molto forte e originale – il merito è in buona parte di chi, dieci anni fa, si prese la briga di creare «un luogo d’incontro molto fertile e produttivo» per un manipolo di persone e idee che abitavano in quella zona di Roma. Dopo qualche incidente di percorso e in un periodo in cui la cultura dal basso in città vive un evidente stillicidio in nome di una sedicente “tutela sociale”, a resistere e dare continuità a quel progetto iniziale c’è Emmanuel Bonetti, noto ben oltre i confini capitolini come “Manù” (accento sulla “u” finale per via delle origini francesi). Sigaretta in bocca, sorriso cordiale, aria apparentemente stralunata, Manu è forse una delle figure meno mediatiche della “scena di Roma Est”, ma senza ombra di dubbio una di quelle che ha più ostinatamente lavorato, con una visione molto aperta ma allo stesso tempo estremamente lucida e coerente, affinché il progetto in divenire del Fanfulla 5/a continuasse a essere «una casa per pubblico e gruppi»: un riferimento sul territorio ma anche una finestra su quello che si muove, in ambito underground, all’estero. Dalla periferia di Parigi alla borgata capitolina, due lustri attraverso gli Anni Zero dei gruppi noise e delle fanzine, il Forte Fanfulla e il nuovo corso del Fanfulla 5/a, l’attività discografica con le cassette di My Own Private Records e il suono mostruoso degli Holiday Inn.

manu-Fanfulla-2008

ZERO: Cominciamo con le presentazioni: dove e quando sei nato?
MANU: Sono nato nella banlieue di Parigi nel ’72, quando le famiglie si organizzavano in collettività per fare la spesa al supermercato.

Quando hai iniziato ad appassionarti di musica? Ti ricordi il primo e l’ultimo disco che hai comprato?
Verso i dodici/tredici anni, da adolescente quindi. I primi dischi erano quelli new wave e post punk dell’epoca: The Cure, The Stranglers, The Jesus & Mary Chain all’uscita di Psychocandy nell’ 85… O il punk francese dei Bérurier Noir e la new wave di Jad Wio per esempio. Sono tornato da Bruxelles poche settimane fa con i dischi di Régis Turner e Colombey, due progetti solisti minimal synth pop, lenti e malinconici ma molto belli. E poi qualche settimana fa i TERRY australiani, con componenti di UV Race: hanno suonato al Fanfulla e mi hanno lasciato il loro disco, che non riesco ancora a togliere dal giradischi…

Cosa facevi prima di venire a vivere a Roma?
Avevo finito l’università, mi ero laureato in filosofia da un po’ di anni e lavoravo parallelamente con i librai, tra quelli di antiquariato e di libri usati. Era un percorso molto lento, senza nessuna idea specifica o aspirazione a un mestiere. L’università è fatta per leggere e studiare e la filosofia è forse l’unica disciplina che non vuole orientarti da subito nel mondo pratico e lavorativo. Ti preserva il tempo che vuoi occupare, al di là delle produzioni utili, e ti permette di disimparare un bel po’ delle rigidità imposte a scuola. Allo stesso modo, dall’università, se ne scappa appena si può!

C’è un filosofo che ti ha colpito particolarmente o che è stato importante per la tua formazione?
È molto semplice: Walter Benjamin, più un intellettuale che un filosofo. Non tanto per le riflessioni sull’estetica, quanto per quelle sulla storia, sui linguaggi e sulle violenze del Diritto imposto dallo Stato. Secondo me, è stato uno dei lettori più acuti del Novecento.

Quando e perché ti sei trasferito qui?
Avevo un po’ più di 30 anni, nel 2004. A Parigi, nella zona Est di Ménilmontant, con un paio di amici gestivamo un deposito/magazzino di libri e vinili usati. Era una struttura anni ‘30, una piccola fabbrica con vetrate, molto luminosa. Dentro ci vivevamo anche, c’era abbastanza spazio, ed eravamo aperti tre giorni a settimana. Era un periodo – tra metà e fine Novanta – in cui da una parte c’erano persone che ti lanciavano dietro i vinili perché ingombranti e vecchi, dall’altra rinasceva l’interesse – oggi esponenziale – delle produzioni in vinile: alcuni si erano accorti della poca qualità e durabilità dei cd, stava fiorendo un mercato per i collezionisti sempre più numerosi e – soprattutto – tantissime produzioni erano esaurite e non venivano ristampate. Ad esempio, ricordo che la Impulse aveva appena iniziato a ristampare in cd tutto il free jazz degli anni 60, ma il catalogo era poco sostanziale e l’unico modo era andare a ricercare i vinili dell’epoca… Per non parlare dei vinili di soul, funk o delle produzioni diy di fine Settanta, inizio Ottanta. Questa esperienza è durata qualche anno, fino al 2004, quando abbiamo dovuto ridare i locali: era prevista una riqualificazione della zona e l’immobile fu distrutto. Che fai? Non scappi? Sì, scappi a Roma, perché un amico libraio decide di aprire una libreria in lingua francese in pieno centro, in via dei Banchi Nuovi, interamente dedicata al Novecento e alle sue rivoluzioni. Si chiamava Cythère-Critique – dal gioco di parole del ‘68: Unis-Vers-Cythère-Critique / Universitaire-Critique. Questa proposta ebbe un piccolo successo per un pubblico molto stretto, ma non fu abbastanza sufficiente economicamente per rimanere in piedi. Chiudemmo la libreria nell’estate 2005.

Che impressione ti ha fatto Roma quando sei arrivato? Ci sono stati dei luoghi, delle persone o delle esperienze che sono state di riferimento per te o che sono state importanti rispetto a quello che fai oggi?
Quando cambi città e addirittura Paese, entri piano piano e anche con timidezza nella realtà di un luogo. Ti guardi intorno e cerchi ciò che potrebbe stimolarti. Per fortuna avevo un vecchio PX e giravo facilmente – perdendomi – ma abbastanza velocemente. Se avessi dovuto scoprire la città con i mezzi pubblici, non sarei ancora salito sul Gianicolo dopo più di 10 anni passati a Roma… La città in sé è bellissima e non ha paragoni; se vogliamo parlare di proposte culturali contemporanee, è evidente che basta guardare come sono curate le mostre istituzionali per capire il cattivo funzionamento di questa città: tematiche vecchie o riscaldate, proposte assemblate… Si rischia davvero poco. Però cerco pochi stimoli da parte delle istituzioni, quindi non è stato un aspetto che mi è pesato molto. C’erano da scoprire delle piccole realtà, o da scavare alcune storie e luoghi; passavo le mie giornate nella nostra libreria in centro storico e quindi a due passi da una libreria che non ho mai conosciuto, La Maldoror, che aveva ospitato la prima mostra di Francesca Woodman alla fine degli anni 70. Uno dei suoi fondatori, Paolo Missigoi, è stato moto importante per me: personaggio scuro e poco lucido storicamente, ma con una grande sensibilità estetica del ‘900. La famiglia Stocchi, anche: Gabriele, il padre – le cui collaborazioni e il ruolo di mecenate nei confronti di artisti romani oggi famosi sarebbe ancora da raccontare; Francesco, il figlio – vicino all’epoca delle prime produzioni di NERO Magazine; e ovviamente Luisa Gardini, la madre, artista molto discreta con cui ho lavorato per quasi dieci anni all’archivio delle sue – numerosissime! – opere. Ma c’era anche la notte: la libreria era a due passi dal Rialto, quando era ancora un luogo di creazioni. Ricordo le serate al Blue Cheese, la prima volta che ho sentito That Noise From The Cellar e che ho quindi conosciuto Grip Casino… Forse avevamo le stesse scarpe quella sera! La prima volta che ho sentito GmPop a una serata organizzata da NERO – e sono rimasto stravolto… Forse c’era anche Lady Maru – c’è sempre – e tantissime persone con cui negli anni si sono create collaborazioni a diversi livelli. Giravo anche all’Init, al Rashomon – dove ho visto per la prima volta i Dada Swing -, al Traffic di Via Vacuna, dove si esibiva la scena garage del momento. O agli Ex Magazzini a Ostiense, dove Marco Sannino organizzava parecchi concerti – per esempio i Black Lips nel 2005. Si trattava di oltre dieci anni fa.

Tu sei uno dei fondatori del Fanfulla 101, la prima “vita” di uno spazio che da allora è diventato fondamentale per la crescita sia della scena “off” musicale di Roma Est sia del fermento culturale e notturno della città in generale. Com’era lo scenario in cui è nato il primo Fanfulla? In che modo il Pigneto era diverso da oggi, c’era già un sottobosco alternativo?

Capputtini 'I Lignu - Release Party (Fanfulla 101, 2009)
Capputtini I Lignu – Release Party (Fanfulla 101, 2009)
Vivevamo quasi tutti al Pigneto. Gli affitti erano ancora abbordabili e le strade pittoresche. Sull’isola pedonale l’unico bar aperto la sera era Lo Yeti e chiudeva alle 23.00. Poi tutto spento. Ci muovevamo a San Lorenzo la sera: era il quartiere più attivo nella zona Est della città, anche se in realtà già molto saturo. Al Pigneto, non c’era un “sottobosco” particolare. Solo persone che ci vivevano e che sono uscite allo scoperto quando abbiamo aperto il Fanfulla 101.

Entrando più nello specifico del Fanfulla 101: chi erano gli altri fondatori insieme a te e quale era la vostra idea, il vostro progetto iniziale? Si trattava di colmare una necessità, magari personale o anche collettiva, del territorio?
Gli altri fondatori erano amici incontrati tra San Lorenzo e il Pigneto. Eravamo in cinque con Poppy (Saro Lanucara, NdR), Andrea Milano, Luca Ferrari e Marco Scaramuzzino. Credo che la prima necessità sia stata personale. Non si poteva fare grande feste a casa senza disturbare i vicini e la legge sull’interdizione di fumare nei luoghi pubblici era appena stata votata. Occorreva trovare uno spazio urgentemente. Non c’è stata l’idea di aprire un “locale”, non era la nostra preoccupazione né il nostro lavoro. Ma proprio la necessità di avere uno spazio in comune dove poter fare.

Monday is Boring - Fanfulla 101, 2007
Monday is Boring – Fanfulla 101, 2007

In che modo credi che quella prima vita del Fanfulla abbia segnato il territorio e la sua vita culturale, aprendo un po’ la via ad altre esperienze?
Credo che il primo Fanfulla sia stato realmente un circolo. Abbiamo iniziato a chiedere ad amici e conoscenti di partecipare, pensando e proponendo gruppi, progetti, serate, rassegne, etc.. Là ci siamo realmente accorti della ricchezza delle persone che per un motivo o l’altro vivevano al Pigneto. Ed è stato un luogo d’incontro molto fertile e produttivo. Il luogo si è costruito piano piano, anche fisicamente, senza architetto; non c’era una reale direzione artistica, solo dei gusti personali o dei modi. Sempre aperto a proposte varie e spesso assai matte. Non era un “progetto”, era molto più semplice e immediato di un progetto, anche molto meno prepotente.

Above the Tree by Bomba (2009)
Above the Tree by Bomba (2009)
Questo fermento culturale è andato oltre al territorio. Addirittura, delle persone che non vivevano a Roma hanno ampiamente contribuito all’attività del circolo. Per esempio Tiziano Sgarbi (Bob Corn, NdR), che aiutava e aiuta ancora un’infinità di gruppi o progetti musicali che provengono da tutte le parti del mondo, con grande difficoltà all’epoca a “piazzare” delle band che solo 30 persone venivano ad ascoltare. Quando ha scoperto che organizzavamo dei concerti di lunedì – la serata si chiamava Monday Is Boring – ha potuto infilare tutti questi matti in giro scavalcando il fastidioso day off, che è la bestia nera di tutti i gruppi in tour. E non eravamo 30, ma un centinaio, ogni lunedì, ad ascoltare e nutrirci di suoni e musicisti. Chi dal Nebraska, chi dalla Polonia… Il Fanfulla 101 è stato, credo per un po’ tutti questi motivi, la casa di tantissime persone e il luogo dove si è in effetti creata una scena abbastanza curiosa e particolare.

Già allora, quella che sarebbe diventata la “scena di Roma Est” aveva una sua forma. Quali erano i gruppi che c’erano e che si stavano formando, diciamo quelli della “prima ondata”, e quale era l’attitudine, non solo rispetto al suono ma anche rispetto all’atteggiamento, immagino particolarmente collaborativo e di condivisione?
Gli anni erano quelli tra 2006 e 2007 e c’erano già tantissimi gruppi sulla scena romana: Cactus, The Intellectuals (entrambi usciti per Hate Records, legata al mitico negozio di dischi Soul Food, NdR), Record Hiroshima Rocks Around, That Noise From the Cellar, Maximilian I, la prima formazione in duo di Bobsleigh Baby e tantissimi progetti noise. Un aspetto importante di quello che si è creato al Fanfulla 101, e questo l’ho sempre ricercato personalmente, è stato che si sono mischiati i generi musicali. Nei primi anni a Roma avevo sofferto dell’attitudine quasi settaria, sia dei locali sia delle band stesse. Ognuno la sua scena musicale e il suo pubblico. Pochi incontri, poca condivisione, in effetti. Il fatto di passare tutte le notti insieme ha generato un po’ di mostri sulla scena musicale, ma non solo. C’erano anche illustratori, grafici, videomaker. Ne è testimonianza l’esperienza della fanzine Epoc Ero Uroi, e delle complicate serate Propaganda 666!

Dal paginone centrale del primo numero di Epoc Ero Uroi
Dal paginone centrale del primo numero di Epoc Ero Uroi

Non è molto semplice delineare il contesto, perché ritrovi un po’ tutti dappertutto, dalla produzione dei flyer a quella dei video: Bomba che faceva il flyer della serata Spasticalia di Valerio Mattioli e Nick dove suonava Demented con System Hardare Abnormal e Wolf Anus, ma anche realizzava il video dei Last Wanks con Antonio (Grip Casino) che scriveva come Squaderna sulla rivista Epoc Ero Uroi illustrata da Infidel o Tso, o interpretava i personaggi squilibrati inventati da uno dei principali creatori di Epoc Ero Uroi, Dario Abece, nella saga video di Jhonnentony… Un paesaggio abbastanza schizofrenico e complesso! Era l’epoca pre Borgata Boredom con The Last Wanks, Capputtini ‘I Lignu, Sfhhh, Trouble vs Glue, SHA, Laser Tag, Trans Upper Egypt, Bobsleigh Baby, HRA, Hiss, Grip Casino, Le Truc une Die Maschine, Ginga, Duodenum, i primi Wow. Gran parte di questi gruppi si sono formati al Fanfulla, o dagli incontri fatti al Fanfulla.

Se n’è parlato già con Toni, in relazione (anche) a Borgata Boredom: quali credi siano stati i passaggi fondamentali legati alle circostanze e al contesto che hanno portato a un tale fermento, alla creazione di una scena che poi ha avuto un rilievo anche nazionale?
Sicuramente i luoghi hanno aiutato e sono stati determinanti: il Fanfulla dal 2007 e il DalVerme dal 2009/2010. Sono luoghi che hanno vissuto e si sono nutriti di sperimentazioni, che hanno offerto un palco a migliaia di gruppi sia nazionali che internazionali. Ci siamo arricchiti da questi suoni, abbiamo mischiato i generi, abbiamo suonato insieme e c’è stata tanta condivisione e tantissime singolarità messe insieme, che si confrontavano. Dopo qualche anno è emerso un paesaggio musicale che Toni Cutrone e Valerio Mattioli hanno chiamato Borgata Boredom.

Spasticalia (2007)
Spasticalia (2007)

Tu sei su quella compilation con tre gruppi – Trans Upper Egypt, Bobsleigh Baby e Hiss – e ancora oggi una delle persone più attive su mille fronti in ambito musicale e (contro)culturale a Roma, quindi il tuo è anche un punto di vista su più livelli: Borgata Boredom è stata la fotografia di un fermento che c’era da tempo, ma credi sia stato un fenomeno – se così lo possiamo chiamare – il cui riverbero positivo si sente ancora oggi, diciamo una scelta/formalizzazione che ha fatto bene ai gruppi e al territorio, non solo e non tanto dal punto di vista musicale ma pure socio-culturale, quindi con un significato più ampio?
Non credo che Borgata Boredom sia una compilation, non ha una tematica musicale; è la fotografia, la geografia, la topografia di un momento preciso che non si è realmente fermato, che ha sviluppato altre forme, ha generato altri stimoli. Ci ha anche fatto conoscere e siamo usciti dal territorio; dalla nicchia romana abbiamo giunto altre nicchie, in Italia, e gli scambi si sono moltiplicati e in quel senso è stato un bene per tutti.

Riprendendo da dove eravamo rimasti, a un certo punto ha aperto il Forte Fanfulla. Un progetto ambizioso, declinato non solo verso la musica dal vivo e la vita notturna ma anche con un’attività diurna e culturale di rilievo e pure con una sala prove! Ci racconti dei motivi della chiusura del Fanfulla 101 e degli sviluppi dell’esperienza con il Forte Fanfulla – quali erano le idee alla base e quali sono state le difficoltà che poi hanno portato alla fine, quantomeno formale, di quel progetto?
Col Fanfulla 101 abbiamo incontrato parecchi problemi col vicinato e alcune realtà del quartiere. Eravamo i primi a sostenere questo genere di attività e di proposte, e siamo stati i primi anche a pagarne le conseguenze. Lo stabile non era insonorizzato e la frequentazione era tale che abbiamo creato alcuni disturbi che ci hanno obbligato a chiudere nell’estate 2012. Al livello politico non abbiamo riscontrato una vera volontà di sostenerci. Il Forte Fanfulla invece ha aperto poco prima della chiusura del 101, nel 2011. La nostra volontà, e desiderio, era di allargare il campo delle proposte e rendere abitabile anche il periodo diurno. Cucina, spazio gratuito di co-working, sala prove, una mitica distro che si chiamava Alpacha Distro, incontri, dibattiti, sportelli sociali, etc.. I soci del Forte Fanfulla erano gli stessi fondatori del Fanfulla 101. Quest’esperienza ha permesso a ognuno di noi di crescere secondo le sue esigenze. Chi si orientava sul sociale, chi si ostinava con la musica… Era una casa grande e aperta col giardino, ma molto molto ambiziosa, forse un po’ troppo se non ricevi reali sostegni. L’affitto era sproporzionato e noi anche abbastanza disorganizzati: ricordo che alcune persone mi chiedevano se avevamo fatto un business plan, termine del tutto lontano ai nostri modi di fare ma purtroppo forse indispensabile!

Il Forte Fanfulla (interno)
Il Forte Fanfulla (interno)

Per riprendere il filo della scena di Roma Est, è stato un luogo anche importante al livello musicale. Avevamo questa sala prove in comune e rendeva ancora più sostanziosa l’idea di condivisione tra i vari progetti. In questa sala sono nati gli Holiday Inn, Maria Violenza, la nuova formazione dei Wow. L’ampiezza degli spazi ha anche permesso di collaborare più attivamente con gli altri circoli. Abbiamo organizzato, assieme al DalVerme e al 30 Formiche, più edizioni del BABA Festival, con chef d’orchestre Demented, ospitando anche mostre e performance. Alcune edizioni del MOSTER Fest, ideato da Raniero Berardinelli. Tutte iniziative ancora molto vive al giorno di oggi. Penso che il Forte Fanfulla rimarrà un’idea giusta, una proposta e un’alternativa purtroppo economicamente insostenibile in un quartiere sempre più abbandonato alla speculazione e all’omogenizzazione dei gusti e dei rapporti. Abbiamo dovuto chiudere i locali e quest’esperienza nell’estate 2014.

Post-Baba (2011)
Post-Baba (2011)

Qual è stato il percorso, plausibilmente impervio, che ha portato al Fanfulla attuale e chi ne fa parte?
Dei locali del Forte Fanfulla è rimasta la sola sala concerti, ribattezzata Fanfulla 5/a. Di dimensione assomiglia al vecchio Fanfulla 101. Tutti soci fondatori se ne sono andati e sono rimasto con le persone che ci aiutavano da anni, principalmente Cristina, Alfio ed Edwige. Poi c’è Maicol al bar e Gabrio, new entry. Non c’è stato un reale stacco, però abbiamo dovuto ripristinare i locali, fare il lutto del Forte Fanfulla, affrontare tanti debiti e trovare le forze di “rilanciare” un luogo decretato morto. Tutto ciò nell’autunno 2014. Ormai sono due anni e abbiamo ritrovato lo spirito che ci animava ai tempi del 101. La dimensione è giusta, sui 100 mq, un’unica sala e una programmazione che, piano piano, è tornata ad essere coerente.

Il (celeberrimo) cesso del Fanfulla
Il (celeberrimo) cesso del Fanfulla

A questo punto il Fanfulla 5/a è uno spazio dove ci sono concerti quasi tutte le sere e immagino che sia tu a occuparti in gran parte della programmazione. Come prende forma, di mese in mese? Sia in termini di scelte artistiche, sia in relazione alla rete di contatti che – in Italia e all’estero – hai costruito in tutti questi anni di operosa attività nell’underground capitolino, come organizzatore e come musicista…
Sì, la curo all’80%. Poi ognuno porta le sue idee, proposte, contatti, amici. La rete è molto vasta, ci scriviamo tutti, sempre. Ci aiutiamo tutti. Spesso i luoghi dove si organizzano i concerti sono gestiti da persone che suonano. Sappiamo ciò che significa organizzare un tour o una data, stare in tour per più settimane… C’è quindi una grande solidarietà a questo livello. So a chi devo scrivere per suonare a Ginevra o a Bruxelles e se non lo so, so a chi chiedere. Ed è uguale nell’altro senso, i gruppi mi scrivono o sono indirizzati a scrivermi per suonare a Roma al Fanfulla. Ormai sono 10 anni con 5/6 band a settimana, puoi immaginare che la rete è gigante! Vorrei fare notare, perché forse c’è chi non se lo immagina, che questa rete si è costruita in modo molto alternativo. Non abbiamo mai lavorato con le agenzie di booking – solo 2/3, che sono alla fine degli amici che si muovono parecchio per fare suonare le band in Europa. I contatti sono tutti personali e, sarà strano dirlo, ci vogliamo bene e ci stimiamo tanto. Questo è alla base della programmazione al Fanfulla. Facciamo suonare chi ci piace, chi vogliamo sentire, chi ci intriga, chi vogliamo rivedere e quelli con cui vogliamo passare la serata insieme perché vivono dall’altra parte del mondo ed è il migliore modo di rincontrarci. È come invitare le persone a cena a casa tua, per rendere l’idea. Io non ceno mai a casa, ma sono al Fanfulla.

Il Fanfulla è uno spazio molto frequentato e pure molto benvoluto, anche oltre i confini romani. Secondo te c’entra la componente “geografica”, il fatto di essere al Pigneto che vive un imperituro exploit generale, oppure c’è una cifra che è peculiare del Fanfulla, della sua identità, che lo ha trasformato in un posto unico ma comunque frequentato da un campionario assolutamente variabile di persone?
Credo che sia un luogo che le persone sentono proprio loro. Sia il pubblico che i gruppi, anche i dj. Spesso leggo nelle promozioni che fanno su internet: «Stasera si suona a casa!» e parlano del Fanfulla. È strano… Anche bello. Si sentono liberi, non giudicati, non sono dei clienti, non abbiamo buttafuori né sicurezza, i prezzi sono onesti, i concerti spesso gratuiti. Potrei anche dire che siamo simpatici, e in ogni caso abbastanza ospitali..! Non rispecchia il Pigneto di oggi, e quindi credo che non sia dovuto a nessun exploit generale!

Santa Pasqua con i tuoi (illustrazione di Ranius Be, 2005)
Santa Pasqua con i tuoi (illustrazione di Ranius Be, 2005)

Ci sono degli “insegnamenti” che hai appreso in questi dieci anni nella gestione di una tipologia di spazio come il Fanfulla?
Non lo so. Provo a basare tutto sulla cordialità, l’intesa cordiale. Anche nella vita. E il Fanfulla ne fa parte.

Questo è stato un anno evidentemente difficile per Roma, con “il caso” DalVerme e mille presunti problemi che hanno interessato o stanno tuttora interessando innumerevoli spazi dedicati alla cultura e alla musica in particolare, dal 30 Formiche all’Init al Corto Circuito. Quali sono secondo te i limiti e gli strumenti che mancano affinché le attività culturali siano considerate una fonte indispensabile di rigenerazione continua del territorio capitolino?
Il problema è, a mio avviso, politico, e unicamente politico. In politica nessuno ha più il coraggio di prendere delle decisioni, di sostenere un’idea o un’iniziativa che potrebbero essere per il nostro tempo “impopolari”. Corrono all’elettorato, accarezzano l’elettorato, danno priorità alle lamentele per non essere scomodati. Non pensano al presente, ma al loro presente, ai loro affari. Da quanto tempo non si è sentito un politico che diceva o scriveva: «Faccio questa politica, prendo questa decisione politica, per quando non ci sarò più, per le generazioni future»? Questo è il problema ormai generale con il quale ci dobbiamo confrontare.

A proposito di presente: ci parli degli appuntamenti continuativi che ci saranno nel corso della stagione e/o di qualche live nel futuro prossimo a cui tieni in particolare?
Il cinema è ripartito con cadenza settimanale, di martedì. Sono 4 appuntamenti che curano Gabrio ed Edwige assieme ad alcuni soci del Fanfulla. Uno mi piace particolarmente; si chiama: “SìNE, MA ANCHE NO – selezione di film assolutamente non riusciti”. Un altro appuntamento importante è quello di TROPICANTESIMO, che facciamo in media almeno una volta al mese, sempre di domenica. È un progetto di Hugo Sanchez e Lola Kola: un’altra forma di sperimentazione e condivisione mai provata precedentemente al Fanfulla, una performance che va oltre il live, oltre il dj set; ha un’energia e una generosità che definirei realmente punk. Il prossimo appuntamento sarà per domenica 30 ottobre. Per i live a novembre avremo, per esempio, His Clancyness e i francesi Delacave assieme a Maria Violenza.

Tropicantesimo

Ma la tua indole di agitatore culturale non si conclude con il Fanfulla. Viene, in un certo senso completata dall’attività come musicista e da MyOwnPrivateRecords. Quando e perché nasce e quali sono le sue peculiarità, sia nella scelta dei gruppi che dei formati con cui vengono pubblicate le uscite?
È un’iniziativa molto semplice: avevo preso l’abitudine, per comodità, di registrare su cassetta un po’ tutti i miei progetti e anche quelli paralleli, ciò che succedeva nella sala prove del Forte Fanfulla… Alcune registrazioni non erano male ed erano in ogni caso delle testimonianze. Fare delle cassette è una cosa abbastanza rilassante; non devi chiedere niente a nessuno e te le fai tranquillo a casa. Le portavo in giro ai concerti, le ascoltavo in macchina e condividevo queste registrazioni su internet tramite Bandcamp. Poi mi è capitato di avere voglia, in particolare, di chiedere ad alcune persone e band che mi piacevano se avevano qualche pezzo in più, o delle registrazioni che non volevano usare… Come Second H. Sam, Théorème o Jeepneys. Questo ci ha permesso anche di diffondere alcuni progetti che non avevano ancora realizzato o prodotto un 7″ o un Lp, come Aktion, Hiss, Maria Violenza, Badaboum o la prima demo di Holiday Inn. Poi ci sono degli album veri e propri o degli Ep, come l’ultimo degli Intellectuals, Le Truc und die Maschine o la cassetta dei Metro Crowd. Alla fine sono una ventina di uscite fino ad ora.

Nomen omen, MyOwnPrivateRecords è quasi un affare privato, nel senso che è un progetto molto condiviso in fase di creazione ma poi non è che lo promuovi così tanto – almeno considerati gli standard asfissianti dell’era digitale… Possiamo dire che anche questa label fa parte di una visione più ampia, di un progetto attraverso cui contribuire a far crescere quella che è una rete di persone o comunque un territorio?
Ah… Non sapevo. Pensavo promuoverlo, un po’! Comunque sì, anche le uscite di MyOwnPrivateRecords sono una topografia e, relativamente al territorio, c’è il Fanfulla come denominatore comune. Sono tutte persone che frequentano, hanno registrato e/o suonato al Fanfulla, anche Théorème e Badaboum che sono francesi. E lo stesso per Jeepneys che è californiana.

Trans Upper Egypt
Trans Upper Egypt

Tu poi sei o sei stato in a vari gruppi, da Hiss e Bobsleigh Baby fino a Trans Upper Eypt e Holiday Inn. Posto che con TUE siete stati anche pubblicati con un’etichetta straniera e avete fatto svariati tour e ora siete con una nuova formazione a tre, ora i riflettori sono tutti puntati sugli Holiday Inn. Raccontaci come è nata la band, quale visione hai/avete avuto per tirare su un suono così bello e riconoscibile.
È una questione di suono – mi viene in mente questa frase: «Non guardare il passato, ascoltalo!». Il progetto è nato un po’ più di due anni fa. Era il periodo della piena psichedelia tra echo a nastro, riverberi e delay lunghissimi… Al momento avevo bisogno di un suono più frontale, più acido e avevo anche bisogno di tornare a una strumentazione e formazione più minimale. Avevo una vaga idea di ciò che cercavo e dopo qualche mese passato in sala prove a provare strumentazione e amplificatori vari, è uscita questa compressione che fa il suono degli Holiday Inn. Ho chiesto a Gabrio, che suonava all’epoca con Aktion, se voleva fare una prova e solo cantare… Ed è uscito il mostro!

Che progetti per il futuro degli Holiday Inn? Un album?!
Sì, quest’anno ci fermiamo per qualche mese. Abbiamo promesso un album ad Andrea della AVANT! RECORDS di base a Bologna per quest’inverno, e vogliamo prendere il tempo di studiarlo bene.

Holiday Inn (© Luna Vassarotti)
Holiday Inn (© Luna Vassarotti)

Fra tutte queste cose, tu sei anche un dj molto originale. Salutaci con i tuoi tre killing tune preferiti.
Non sono un dj… Mi capita di mettere i dischi che ascolto e mi piace condividere questi ascolti. Sono, credo, un po’ sentimentale con la musica, ma mi piace anche ballare. Ti sembra giusta come risposta!? Tre killing tune è una cosa molto difficile.. Senza pensarci troppo direi:

The RebelMaureen

Real MiracoloPoor Creature

Noir Boy GeorgeLes villes de moins de 4000 habitants