“Un’opera è il risultato di una decisione, di una scelta. Se è vero che il mio lavoro nasce da contesti specifici, tuttavia la natura ultima di un’opera è modellata sulla base dell’astrazione; un’astrazione che non si limita a una scelta stilistica, ma il cui intento è comunicare significati e favorire molteplici letture”.
Nulla è lasciato al caso, tutto il materiale rimanipolato che passa tra le mani di Sheela Gowda (India, 1957. Vive e lavora a Bangalore) subisce infatti un’azione creativa paragonata a un rituale simbolico e spirituale. Un rito di passaggio costruito mescolando materiali e poetiche di luoghi e radici personali dell’artista che, anche una volta installati creando micro-mondi complessi, risultano sempre in movimento.
La sua pratica lavorativa è basata sul riutilizzo pratico e iconico di elementi tra i più diversificati e inconsueti. Dai capelli umani alla cenere – di rimembranza kieferiana, ma con una drammaticità femminile e naturale immediatamente riconducibile all’artista indiana e al suo contesto di appartenenza -, da polveri naturali e pigmenti fino allo sterco degli animali. E poi tessuti, sterpaglie, legni, rocce, terra. Elementi recuperati, altri naturali, che la Gowda riprende creando dei veri e propri rituali compositivi che costruiscono piccoli e grandi ambienti, o tracce di questi, nello spazio in cui è chiamata a intervenire.
Alla Tate Modern di Londra, ad esempio, è impossibile non passare senza emozione nella sala dedicata all’installazione Behold (2009), costituita da lunghe, alte e inquietanti corde realizzate con fitti capelli neri, che scendono dal soffitto aggrovigliandosi come grandi gomitoli senza bobina, creando reti, forme di liane o fili da cui pare che qualcuno sia scappato. Gli stessi grossi fili neri, con uno spessore notevole fatto appunto di capelli, da un alto della stanza sono bloccati, fissati attorno a sbarre in ferro. La freddezza della materia che blocca le creazioni in movimento è un contrappunto di impatto quasi drammatico.
Di contrappunti è costituita la densa mostra personale realizzata appositamente per l’imponente spazio delle Navate di Hangar Bicocca, dove le curatrici Nuria Enguita e Lucia Aspesi sviluppano un percorso espositivo selezionando una serie di lavori caratterizzanti della ricerca artistica di oltre vent’anni di Sheela Gowda, per la prima volta in Italia con una retrospettiva. Una selezione di opere datata dal 1996 con installazioni materiche, tessuti, acquerelli e stampe, oltre che un corpo di lavori realizzati ad hoc per lo spazio milanese. Un confronto estetico e interiore forte, quello che si percepisce sul percorso: da un lato l’energica femminilità scrutabile dalla forza e raffinatezza nella scelta dei materiali, dall’altro la freddezza spirituale dello spazio grigio di Hangar. Attendiamo dunque una mostra rituale interamente pensata in grande per Milano.
Scritto da Rossella Farinotti