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ven 15.07 2022 – dom 11.12 2022

La Tradizione del nuovo

Dove

Triennale di Milano
Viale E. Alemagna 6, 20121 Milano

Quando

venerdì 15 luglio 2022 – domenica 11 dicembre 2022

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Come spesso capita per le grandi manifestazioni artistico culturali che si presentano ciclicamente ogni tot anni – Biennali, Triennali, Quadriennali – finiscono con l’assumere il ruolo importante di specchio, raccontano la capacità di analisi e visione di cui è capace e di cui ha bisogno il presente in cui si manifestano. E l’Italia è sempre stato un paese avanguardista in questo, ha la capacità di fare da precursore e incubatore di possibilità e innovazione. Di questa grande attitudine si fa portavoce il design, una delle punte di diamante che Milano ha scelto per se stessa e su cui la Triennale, come istituzione e come evento, investe da sempre: il 15 luglio ha aperto le porte la 23ª Triennale di Milano dal titolo, nonché leitmotiv, Unknown Unknowns, An Introduction to Mysteries, che declina le necessità artistiche e scientifiche di generare visioni alternative a tutto ciò che conosciamo, affondando nell’ignoto.

In questo dedalo di connessioni si innesta una messa a terra, una via che racconta uno spaccato delle scelte e della ricerca che ci hanno portato qui oggi. Stiamo parlando della mostra La tradizione del nuovo a cura di Marco Sammicheli, direttore del Museo del Design Italiano di Triennale Milano che ha orchestrato, nel braccio destro del pianterreno, il Padiglione Italia, delicato e divertente, che mette in risalto alcune delle fasi più raffinate e importanti della storia del design italiano. La mostra, con un allestimento firmato dallo studio Zaven, inizia letteralmente con delle soglie, delle porte oniriche a cui si accede suonando “diversamente” i marchingegni immaginati da Bruno Munari e Davide Mosconi – esposti nello spazio Danese nel 1991 e raccontati nel libricino Invece del Campanello – e che aprono i primi piccoli scenari sulla storia. Il percorso è infatti cronologico e unisce alcune delle tappe più significative del design e dei designer italiani, spalleggiati da alcune Triennali passate che, come dicevamo, hanno avuto il compito di restituire uno spaccato importante del loro presente. E questo è anche il ruolo più difficile per un curatore e insieme per l’istituzione, perché la responsabilità delle scelte che vengono fatte, la selezione degli elementi, dei lavori e degli allestimenti, decidono la storia che si vuole raccontare, delineano l’immagine che comparirà nello specchio quando ci si guarda dentro.
Il percorso che Sammicheli decide di farci intraprendere con La tradizione del nuovo racconta la capacità del design e dei designer italiani di riconoscere il ruolo del passato nella generazione del futuro, della necessità dell’essere umano di attingere da se stesso e dalle manifestazioni precedenti di sé, per analizzare, declinare ed evolvere. Ma, soprattutto, di ricordarci che il design è uno strumento essenziale della vita, non solo sedie e mobili, ma vero dialogo tra bisogno e materia che rimanipola gli artefatti in una continua ricerca di senso e funzionalità, fin dall’alba dei tempi.

In questa mostra sono esposti una miriade di “cose”: disegni, fotografie, prototipi, oggetti finiti e mai entrati in commercio, così come oggetti che tutti riconosciamo tra le icone di interni domestici un po’ sfumati nei ricordi delle case dei nonni o delle zie, e che forse non ci aspettiamo mai di ritrovare nei musei. Oggetti quindi comuni e ordinari, che vediamo a fianco di esperimenti straordinari entrati poi comunque nelle nostre vite – come il modulo poltrona/divano di Liisi Beckmann per Zanotta o i rubinetti chunky di Paolo Pedrizzetti – fino ad altri ancora decisamente audaci (forse fin troppo), portati avanti da singoli pensatori o da aziende e industrie che hanno provato tutte le vie dell’avanguardia, accompagnati tutti dal racconto visivo di alcuni degli artisti più importanti delle epoche che in questo percorso si succedono, dai quadri colorati di Carla Accardi alle traduzioni geometriche di Franco Grignani. La selezione è infatti a tratti complessa con delle chicche portate alla luce da alcune delle nicchie e delle derive del pensiero più ricercate – come lo sgabello Appoggio di Claudio Salocchi per Sormani o il Mobile Infinito di studio Alchimia, che possono lasciare il visitatore un po’ confuso, ma l’imperativo resta sicuramente quello di lasciarsi riempire, di permettere alla sorpresa e allo stupore di arrivarci addosso per ricaricarci in un periodo storico di affaticamento e immobilità come quello che stiamo attraversando. Ma, soprattutto, è magnifico cogliere la carica di divertimento che attraversa tutta La tradizione del nuovo, con progetti folli, ironici, sovversivi (quelli di Memphis, di Studio Azzurro o Nanda Vigo, ma anche i pazzeschi allestimenti della Triennale Il grande numero, che poi divenne ancora più celebre con le immagini della Triennale occupata ) che hanno attecchito o meno nella storia ma che comunque sono stati realizzati, e questo è fondamentale. La mostra sembra quasi ricordarci che, se quello che stiamo vedendo è il passato, allora il presente, che si nutre di esso e evolve, è inevitabilmente carico di eccellenze, di visioni inaspettate e di capacità di divertirsi molto, per tracciare le linee di ciò che ci saremo. Ultima componente eccezionale che impregna l’essenza stessa del design italiano è il rispetto, per l’essere umano e per la materia, e la necessità di rispondere a bisogni ottimizzando quello che si ha a disposizione con fervida immaginazione, sfruttando l’ingegno e il concetto di possibilità.

Scritto da Annika Pettini e Elisabetta Donati De Conti