Sin da quando ho sentito per la prima volta la parola Antropocene ne sono rimasta affascinata: l’idea che, tra tutte le specie, quella umana sia l’unica così pervasiva da meritare una sua era nei miliardi di vita del Pianeta, ha del sublime – nel senso che il termine aveva nel Romanticismo. Poco importa che l’effettivo riconoscimento dell’esistenza di questa era sia di là da venire: L’Antropocene è ormai entrato nel linguaggio comune e con lui la convinzione che l’essere umano sia in grado di incidere sulle epoche geologiche.
Perché questo tema preoccupi moltissimo poche persone e pochissimo (per non dire niente) molte altre, è un mistero insondabile che qualcuno prova con i propri mezzi a scardinare: i ragazzi di Fridays for Future, qualche accordo internazionale spesso disatteso e gli artisti. Appartiene all’ultima schiera Pietro Ruffo, che nel suo lavoro si concentra da sempre sulla storia dell’umanità.
Partendo dal suo interesse per la paleoclimatologia, scienza che studia il rapporto tra cambiamento climatico e habitat, l’artista costruisce opere che evidenziano come le condizioni climatiche abbiano determinato nel tempo diverse tipologie di paesaggi, e come questi abbiano influenzato la vita e le abitudini dell’uomo.
L’idea che quello che vediamo ci possa condizionare non è certo nuova: i più insigni urbanisti del
Ventesimo Secolo lo hanno sempre sostenuto quando cercavano (con alterne fortune) di progettare quartieri a misura d’uomo che fossero anche esteticamente piacevoli. Ed è facile capire come vedere il bello intorno a noi ci spinga a mantenerlo tale. Del resto, il principio mimetico garantito dai neuroni specchio è il più caratteristico dell’uomo, forse uno dei pochi lasciti positivi che la nostra primigenia condizione animale ci ha regalato. Ecco, Pietro Ruffo si aggiunge alla classe – fortunatamente sempre più cospicua – di intellettuali che provano a dare un contribuito al dibattito sull’Antropocene e la nostra indelebile impronta – vedi anche la recente mostra della GNAM, “Caring for a Burning World”. È il momento di iniziare a imitarlo.
Scritto da Enrica Murru