Sarpi prende il nome dal suo corso, dal suo decumano cinese, quello che al capodanno si riempie di lanterne rosse: via Paolo Sarpi. Bella dritta, comincia da piazzale Baiamonti e finisce in via Canonica, ma è più bello percorrerla al contrario, con la prospettiva aperta della piazza e dei caselli daziari di Beruto (e della piramide di Herzog e De Meuron). In ogni caso, come in un paese, via Paolo Sarpi è gerarchicamente il centro. Qua affacciano ristoranti e bar con i loro dehors tutti uguali, le botteghe alimentari più nobili come la monumentale macelleria e i negozi più importanti. In sequenza troviamo i cinesi Chateau Dufan, Jin Yong, il bar Otto con la sua grande terrazza, l’enorme Jubin che ormai è considerato fintone, l’Oriente Store del fu mitico Wang Sang, la cappelleria Melegari, la eccellente Ravioleria, la scomoda ma ottima e sempre zeppa Cantine Isola, il Macdonald.
Ma è nel reticolo delle stradine a destra e a sinistra che si gode la vita sarpesca, con i negozi-magazzino e i negozi-che-riparano-tutto, con gli uffici dei creativi e le case d’artista, con i cortili dove si sparano i fuochi migliori durante le feste e si consumano liti sugli odori. A metà di via Giusti si trova anche una delle gallerie di design più belle di Milano, Luisa delle Piane.
Il fulcro della vita serale e notturna è una via che assomiglia molto a una piazza, la via Cesariano, pedonale e con un playground in mezzo, circondata da bar e baretti: da un lato Colorificio e Caffè Popolare, dall’altro Librosteria e il bar La Siesta di Hu Lee Fang.
Ma la cosa fascinosa di Sarpi è che al primo segno di oppressione, a un passo c’è la libertà: a sud confina col Sempione, a nord con il ben più tranquillo Cimitero Monumentale, e infine a est col giardino autocostruito Lea Garofalo, attaccato al Circolo Combattenti e Reduci odoroso di glicine.