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D’you know what they mean? Gli Oasis di ‘Supersonic’ nei ricordi degli ‘addetti ai lavori’ che hanno vissuto quegli anni.

Dal 7 al 9 novembre nelle sale cinematografiche italiane arriva 'Supersonic', film-documentario dedicato ai primi (e migliori) anni di vita degli Oasis, culminati nel concerto a Knebworth del 1996. Sette addetti ai lavori di Milano e Roma - Lele Sacchi, Francesco Mandelli, Andrea Dulio, Romina Amidei, Andrea Esu, Fabio Luzietti e Pietro Di Dionisio - ci raccontano come la band di Manchester ha avuto un impatto sulla loro vita personale e professionale. E sulle scene 'indie' della città.

Scritto da Matteo De Santis il 3 novembre 2016
Aggiornato il 21 marzo 2019

ANDREA ESU & FABIO LUZIETTI

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Andrea Esu è fondatore di L-EKTRICA, direttore artistico del festival Spring Attitude nonché uno dei dj più amati della capitale. Fabio Luzietti è stato responsabile musicale e voce storica di Radio Città Futura e ora trasmette tutte le mattine da Radio Sonica; a fine anni Novanta ha fondato la mitica serata Screamadelica, per anni riferimento del sabato sera rock alternative capitolino.

Andrea: «Devo essere onesto: il vero fan degli Oasis era Fabio. Io nella presunta guerra Blur-Oasis, se proprio dovevo scegliere, ho sempre preferito i Blur. Anche perché da pischello fu l’ascolto di Leisure a cambiarmi la vita».
Fabio: «Il gallagheriano convinto e mai pentito della coppia sono io. Nel giochino della divisione con i Blur, gli Oasis incarnavano un certo immaginario britannico in cui mi rispecchiavo di più. Preferisco tuttora il calcio, il pub, la working class e Manchester rispetto agli studentelli con l’aspetto più pulito e a Londra. Parliamo, senza esagerare, della band che mi ha cambiato la vita. É grazie a loro che mi è venuto in mente di fare radio e lavorare nella musica. Altrimenti, se nel 1994 non avessi ascoltato pezzi come Supersonic o Shakermaker, sarei ancora un impiegato in una compagnia di assicurazioni o un elettricista. In più mi sono sposato con Valentina, mia moglie, sulle note di Wonderwall e sulle nostre fedi nuziali c’è incisa la frase «You’re my wonderwall». Ah, per la precisione, ho anche un tatuaggio sul braccio con scritto “Live Forever”. Lo avevo visto a un ragazzo, durante un concerto degli Snow Patrol a Glasgow, e non ho potuto fare a meno di fotografarlo: una volta tornato a Roma, me lo sono fatto fare tale e quale».

A: «Il mio primo impatto con gli Oasis, riavvolgendo il nastro dei ricordi, è datato 1994. Avevo 18 anni e stavo leggendo Rockerilla. Tra le recensioni dei singoli in uscita si parlava incredibilmente bene di un pezzo intitolato Shakermaker di questa band inglese in attesa di pubblicare il primo album. Ascoltando già Stone Roses, Happy Mondays, gli altri gruppi venuti fuori dalla scena di Manchester, i Blur e cose simili, nella mia mente annotai il nome degli Oasis. Qualche mese dopo uscì Definitely Maybe, ma ero così giovane e sgarrupato da non poterlo comprare subito. Avevo pochi soldi in tasca e mica potevo acquistare tutti i dischi che mi interessavano: dovevo fare delle scelte. Lo comprai comunque qualche mese dopo. Quando invece, nel 1995, venne dato alle stampe (What’s The Story?) Morning Glory lo presi a noleggio – in quegli anni si poteva fare – da Renturn, un negozio mitico che stava in Via Giovanni da Castel Bolognese, alla fine di Viale Marconi, e me ne feci subito una copia. Ancora mi ritorna in mente il primo ascolto di Wonderwall: un pezzo che ti arriva subito nel cervello e ci resta. Una pop song perfetta».
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F: «Nel 1994 avevo 27 anni. Ero maturo, ma già malato di certa musica. Avevo una grande passione per tutti i suoni che provenivano dall’Inghilterra, come gli Stone Roses, gli Happy Mondays e gli Inspiral Carpets. Compravo assiduamente il New Musical Express e il Melody Maker nelle poche edicole che vendevano le riviste musicali straniere. A Roma, in quegli anni, c’era un negozio che era un vero punto di riferimento come Just Like Heaven, a Via di Torpignattara, una sorta di piazza di spaccio musicale dove ogni settimana arrivavano i singoli dall’Inghilterra. Ascoltai Supersonic, la prima uscita, e pensai tra me e me «Ammazza quanto è bello». Dopo Shakermaker, il secondo, ero pazzo, invasato, non capivo più niente. In quel periodo Radio 2, che era molto più alternativa di quanto si potesse pensare, chiedeva agli ascoltatori di preparare delle scalette: se erano in linea con la programmazione musicale, il compilatore veniva invitato in studio a selezionare la musica per una trentina di minuti. Ci provai, misi dentro una serie di cose – tutto britpop, ovviamente – e mi chiamarono: «Vieni, ci piace moltissimo la tua selezione. Soprattutto per la presenza di Shakermaker degli Oasis». Partii felice per gli studi di Radio Rai e quando arrivai ci fu una brutta sorpresa: «C’è appena stato un cambio ai piani alti. Ci dicono che questa musica troppo alternativa non va bene. Purtroppo un paio di canzoni non te le possiamo passare«. Una erano gli Oasis e l’altra erano gli Echobelly. Ci rimasi male. Al punto che una volta tornato a casa iniziai a ragionare: «Mi piacerebbe trasmettere un pezzo come Shakermaker, perché non ci provo io a fare radio?». Debuttai, grazie a degli amici, in una piccola emittente a Centocelle, Radio Antenna Romana. Un mese e mezzo più tardi mandai una mia cassetta a Radio Città Futura. Morale della favola: avevo una trasmissione settimanale sul britpop».

A: «Roma, in concomitanza con l’esplosione degli Oasis e del fenomeno britpop, viveva un bel momento a livello di serate e di locali. Io iniziai a mettere i dischi gratuitamente, in cambio di due birre pagate, in un pubbetto a Ostia. Mi presentavo con la mia bella valigetta di dischi che compravo ogni estate a Londra e attaccavo a suonare quello che mi pareva. Poi per un po’ di tempo, di venerdì e di sabato, curavo le selezioni al Dome, dalle parti di San Giovanni. Tutto cambiò quando conobbi Fabio. Lui suonava suonava al DDT (poi divenuto Mads, NdR), a San Lorenzo. La sua serata si chiamava Popvenue».
F: «Avevo iniziato da qualche mese, una sera venne da me in consolle un giovanissimo e ubriachissimo Andrea che mi urlò «Questa è la migliore serata che c’è a Roma, io ti amo». All’alba, dopo la chiusura del locale, lo accompagnai in macchina a prendere l’autobus notturno – a quei tempi viveva ad Acilia – e ci scambiammo i numeri di telefono. Il giorno dopo mi arrivò una sua telefonata: «Formiamo un gruppo». Gli risposi: «So strimpellare a malapena la chitarra, meglio se proviamo a fare qualche serata». E partimmo con Popvenue. Un mercoledì sera di settembre del 1995, dopo l’estate della battaglia dei singoli Country HouseRoll With it, ci recammo al DDT e c’era un capannello di gente davanti all’ingresso. C’erano tantissimi ragazzi, ma anche tanti genitori che li avevano accompagnati e ci chiedevano «Quando inizia la serata?», «Finisce tardi?», «A che ora devo passare a prendere mio figlio?». o si lamentavano perché «Domani mattina c’è scuola». Alla fine, quella volta, si presentarono quasi un migliaio persone. E il posto ne poteva contenere a malapena 200. Un autentico delirio».

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A: «Dopo ci siamo spostati al Velvet di Via Cairoli, dalle parti di Piazza Vittorio, dove adesso c’è un ristorante cinese. In seguito ci siamo trasferiti al Musillo a San Giovanni, al Classico Village a Via Libetta e infine, per due o tre stagioni, agli Ex Magazzini. Intorno al 2002 ho iniziato a fare L-EKTRICA, con mio fratello Fabrizio e gli altri. E quindi a essere, se così si può dire, un dj professionista. Fabio, invece, ha continuato a lavorare sempre di più in radio e si è inventato la serata Screamadelica al Circolo degli Artisti».
F: «Ancora oggi, una volta l’anno, torniamo a mettere i dischi insieme per Cool Britannia. Un appuntamento monotematico, dove passiamo solo musica inglese di quel periodo, a cui teniamo molto. Per me e Andrea è bello ritrovare e rivedere in pista le facce di quegli anni, nostri coetanei o anche gente più grande. Ci sono persone che addirittura lasciano i figli a casa o escono solo una volta l’anno per venire a Cool Britannia. In tantissimi ci chiedono già quando la rifaremo nel 2017. Posso solo dire che sarà sempre un sabato di febbraio al Monk».

A: «Ritornando agli Oasis, devo ammettere che della prima volta in cui li ho visti mi ricordo poco e niente. Solo qualche flash e la presenza, in apertura, dei Seahorses. Era il concerto di Bologna, al palasport di Casalecchio, del 1997. Il mio ricordo più vivo di un loro live, invece, risale al concerto del Primo Maggio del 2002 a Piazza San Giovanni. Inutile dire che è stata l’ultima volta che sono andato al concertone. Però devo altrettanto ammettere che sono rimasto impressionato. Davvero, non me lo sarei mai aspettato. E sapete da cosa? Gli Oasis attaccano Don’t Look Back In Anger e al ritornello esplode l’intera piazza. Il pubblico del concerto del Primo Maggio è quanto di più vario e differente che ci possa essere. Eppure a Don’t Look Back In Anger impazzì. Per me fu quasi uno shock. Forse solo in quel momento ho realizzato davvero l’importanza e il valore degli Oasis. L’altro giorno, spulciando il quaderno dove raccolgo tutti i biglietti dei concerti, ho ritrovato un reperto che non ricordavo: un pass dove c’è scritto Oasis 26/7/2002 – Roma, Centrale del Tennis – Andrea Esu – Radio Città Futura – No backstage».
F: «Mamma mia che fomento quella doppia data al Centrale del Tennis! Ma andiamo con ordine, il mio primo concerto degli Oasis fu nel 1997 a Bologna. Pur essendo accreditato in tribuna stampa, ricordo che scesi nelle prime file e mi ritrovai accanto a un gruppo di mod di Terni – erano davvero tanti – che minacciava di picchiare chi lanciava oggetti contro i Seahorses, il gruppo spalla in cui suonava John Squire degli Stone Roses. Di quel tour, successivo all’uscita di Be Here Now, ricordo che andai pure ai concerti di Milano, con la scusa di un’intervista cortissima a Noel per Radio Città Futura. Per sbobinarla ci misi due settimane, ma alla fine andò in onda. Il mio secondo contatto con i Gallagher fu all’Hotel Cavalieri Hilton nel 2002, in occasione del loro doppio concerto romano. Liam era fuori controllo, spuntava dappertutto e prendeva in giro una giornalista televisiva con frasi tipo «You’re my princess». L’ultimo incontro ravvicinato è stato nel 2015 con Noel. Prima dello show a Rock in Roma, a Capannelle, mi concesse un’intervista nel suo camerino, in cui campeggiava un’enorme bandiera del Manchester City, e dichiarò candidamente «Ho tanti soldi, scritto tante canzoni meravigliose e non trovo un motivo per riformare gli Oasis». L’intervista venne ripresa dalla pagina web dell’NME e rilanciata da tantissimi altri siti esteri».

A: «Erano anni meravigliosi, bellissimi. Tra il 1994 e il 1997 ho visto dei concerti incredibili al Frontiera, al Palladium e all’Horus: Blur, Supergrass, Stone Roses, Paul Weller, Stereophonics e Suede, solo per citarne alcuni. Il mio negozio di dischi preferito era Revolver, in via Silvestro Gherardi, una traversa di Viale Marconi: era una bomba, specie per l’usato e le offerte a prezzi stracciati. Compravo anche da Disfunzioni Musicali a San Lorenzo e per un periodo ho frequentato Managua, un negozietto sempre dalle parti di Viale Marconi. Ah, last but not least, Just Like Heaven, una delle mete più frequenti quando marinavo la scuola».
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F: «A metà anni Novanta Roma era viva. Nel giro di pochi mesi al Palladium suonarono Blur, Stone Roses e Charlatans. Negozio di dischi di riferimento? C’era anche Disfunzioni Musicali, ma devo dire Just Like Heaven, dove arrivavano i singoli inglesi con una sola settimana di ritardo rispetto alla Gran Bretagna. Esempio pratico: usciva qualcosa degli Oasis, c’erano solo 30 pezzi disponibili e noi matti passavamo il venerdì mattina a fare la fila là davanti per conquistare una copia. Ancora mi ricordo di due fratelli, Furio e Riccardo, che mi fregarono l’ultima copia di un singolo degli Oasis e mi incazzai parecchio. Ma mi ero preparato, in casi di emergenza, anche una soluzione strategica alternativa: avendo una casa in Abruzzo, ripiegavo su Screamadelica a Pescara, un altro negozio mitologico. Quando uscì Be Here Now, invece, il punto vendita di Ricordi a Piazza Indipendenza organizzò, straordinariamente, un’apertura notturna. E io, ovviamente, ci andai. Il mio rapporto personale con gli Oasis, in fin dei conti, è come quello di un tifoso con la sua squadra del cuore. L’ultima dimostrazione l’ho avuta l’altro giorno: qualcuno mi ha aggiunto su Whatsapp in una chat di altri ultras oasisiani per organizzare la trasferta di gruppo al cinema a vedere Supersonic».

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