In principio era NERO. Poi NERO disse: «sia fatto Not!». NERO vide che Not era cosa buona e giusta e allora iniziò a popolarla di libri, saggi, articoli e meme. Sulle sue verdi terre cominciarono poi a pascolare, nutrendole di idee sovversive, Danna Haraway, Mark Fisher, Bifo, Nick Srnicek, Alex Williams, Timothy Morton, Ian Svenonius e altri apostoli della catastrofe. Dalla creazione di Not sono già passati cinque anni e a partire dal 14 saranno festeggiati in lungo e in largo con AMMASSO: una non-rassegna diffusa, “un tour mondiale di Roma”, come l’ha definito Valerio Mattioli, editor di Not e agitatore culturale seriale di cui già sapete tutto se frequentate queste pagine. Lo abbiamo disturbato per un’intervista in cui fare il punto su questa esperienza editoriale e sulla lunga serie di eventi che ci accompagnerà fino a fine gennaio, anche, anzi, soprattutto in relazione a Roma e a tutte le decadenti meraviglie che riesce ancora a offrire. Una città sempre agonizzante ma anche sempre viva, pronta a regalare colpi di coda inaspettati e adrenalinici, come lampi argentei tra le tenebre della fine del mondo.
Quando e come nasce AMMASSO?
AMMASSO nasce perché a un certo punto ci siamo accorti che Not stava per compiere cinque anni e quindi volevamo festeggiare la ricorrenza in qualche modo. Poi diciamo che ci siamo lasciati prendere la mano e invece di organizzare la solita festa che va avanti per una notte soltanto abbiamo pensato di fare tre mesi di eventi sparsi per tutta Roma, impegnandoci praticamente per (quasi) tutti i venerdì dal 14 ottobre al 27 gennaio del 2023. Il nome viene dal fatto che, be’, è un ammasso di roba: talk, live, dj set, ospiti un po’ di tutti i tipi, un posto diverso ogni settimana…
L'idea di una rassegna diffusa nasce anche da un'esigenza di ancorarsi (o riancorarsi) al territorio di Roma?
Innanzitutto AMMASSO non è una rassegna né un festival: è, come dire, una specie di sigla-contenitore che ci serviva “a uso interno” per fare ordine e non impazzire visti gli impegni che ci occupano con NERO. Per quanto riguarda la scelta di Roma: viviamo qui, la nostra base è qui, passiamo la maggior parte del nostro tempo qui… dove altro avremmo dovuto farlo?
Avete scelto luoghi in qualche modo simbolici o c'è stata un'esigenza quasi simbolica di ritrovare Not in più luoghi?
Si tratta molto semplicemente di luoghi con cui sentiamo una certa complicità o affinità – posti che magari ci hanno già ospitato in passato – o che, più banalmente, amiamo frequentare. Ci piaceva anche l’idea di attraversare tutta la città e di saltare da un quartiere all’altro, insomma, di fare una specie di “tour mondiale di Roma”. Un po’ come quando vedi le locandine di, che ne so, Dua Lipa e leggi “10 aprile Parigi, 22 aprile Amsterdam, 5 maggio Berlino”… Ecco, noi abbiamo “14 ottobre Montesacro, 2 dicembre Mandrione, 27 gennaio Centocelle”.
Parlando degli artisti che avete invitato, molti appartengono all'ambito musicale: avete scelto volutamente questo linguaggio per rappresentare Not? La musica funziona ancora da catalizzatore principe per cultura e relative sottoculture?
La musica è sempre stata centrale per Not (e più generale per NERO). Al di là del fatto che all’interno della collana ci sono testi di carattere musicale come quello di Kodwo Eshun, la biografia dei KLF o il libro di Kit Mackintosh su drill, trap e auto-tune (che uscirà nel 2023). Ci siamo sempre divertiti a fare mixtape e playlist a tema, abbiamo sempre organizzato eventi e serate varie – quest’anno per esempio è stata la volta di SUTH – e una volta abbiamo persino composto un pezzo rap, o meglio un dissing (qui se volete approfondire). Ogni tanto qualcuno di noi prova pure a improvvisarsi dj, ma su questo forse è meglio sorvolare. Se poi la musica funziona ancora da catalizzatore… Di sicuro su di noi sì!
Come è avvenuta la selezioni degli artisti attivi su Roma, che città e che dinamiche artistiche e musicali avete voluto raccontare?
L’idea iniziale era quella di coinvolgere una serie di realtà, figure, dj e musicisti che, in qualche modo, “si sbattono per la città” contribuendo nel loro piccolo a rendere Roma un posto meno di merda di quello che quotidianamente è. Cosa sarebbe Roma senza Tropicantesimo, senza i ragazzi di SINCE o senza le serate di Reyetto Tapes? Noi siamo innanzitutto dei fan, non solo degli artisti stranieri che abbiamo invitato, ma anche (e forse soprattutto) di quei coraggiosi che, incredibilmente, ancora si ostinano a fare la loro cosa qui. Ovviamente, non abbiamo la pretesa di chiamare a raccolta tutto quello che si muove in città – sono solo 11 date, dopotutto. Però spero che da Arssalendo a Bunny Dakota di Merende passando per MistoMame (che in effetti ormai sono un po’ degli espatriati…) AMMASSO possa offrire se non altro un piccolo spaccato di un certo underground locale.
La parte internazionale della "line-up" invece, si può leggere tanto come un "regalo" a Roma e al suo pubblico più attento tanto quanto una provocazione? Nel senso: svegliatevi, nel mondo sta succedendo tutto questo.
“Provocare” era l’ultima cosa che avevamo in mente! Però è interessante che ci possa essere questo tipo di lettura. Ora, come dicevo, noi siamo innanzitutto dei fan e come tali ragioniamo. La scelta degli artisti stranieri ospiti di AMMASSO nasce da ragionamenti molto semplici e da un modus operandi che più basico non si può, tipo: «Che fichi che sono è Oli XL/Abadir/Sky H1, sarebbe bello vederli in città, perché non li invitiamo?». E quindi abbiamo spedito un po’ di email dicendo: «Ciao, siamo X e Y di NERO/Not, facciamo questo e quest’altro, ti va di venire a Roma?». Tutto in una chiave molto do it yourself, a scanso di equivoci – per AMMASSO non ci sono né sponsor né appoggi istituzionali di alcun tipo. E devo dire che praticamente tutti i nomi che abbiamo contattato hanno risposto di sì, che erano felici di venire perché… boh, perché è così che si è sempre fatto, no? Il che ci porta alla “provocazione”. Non sono sicuro di interpretare bene il vostro ragionamento, ma immagino che vogliate dire che, negli ultimi anni, a Roma è sembrata mancare una proposta “attenta”, capace di una programmazione il più possibile regolare e continuativa. In parte sono d’accordo, ma bisogna anche considerare che: 1) un sacco di posti hanno chiuso (l’ultimo è stato il Klang); 2) organizzare cose a Roma non è mai semplice; 3) le forze sono quelle che sono, anche economiche. Negli ultimi anni poi si è sviluppato tutto un sistema – a volte anche perverso – di agenzie di booking, sponsor e aspettative da parte dei musicisti che fa sì che invitare un artista (specie se straniero) costi molto più che in passato. E se da una parte è sacrosanto che ai musicisti venga riconosciuto un giusto compenso per quello che fanno, dall’altra il rischio è che gli unici in grado di organizzare cose sono quelli che “se lo possono permettere”.
C'è anche altro che impedisce alla programmazione e all'offerta culturale di salire sul treno delle grandi città?
Non ho idea di cosa significhi “salire sul treno delle grandi città” (quale grande città? Berlino? Il Cairo? Lagos?), ma in parte penso di aver già risposto sopra. Come detto, non me la sento davvero di gettare la croce addosso a chi le cose continua a farle pur tra tutte le difficoltà di un posto come Roma, una città capace contemporaneamente di essere sommersa dai cumuli di monnezza alti tre piani e di avere uno dei mercati degli affitti più criminali d’Italia, con gente che si ritrova a spendere € 800 al mese per vivere in un monolocale seminterrato di 25 mq (ciao Riccardo). Vivere a Roma è difficile, faticoso: ti sembra di aver vinto alla lotteria quando l’autobus passa non dico in orario ma in ritardo di “soli” venti minuti. Quindi un enorme big up a tutte quelle situazioni che continuano a sbattersi arginando un mood che più passa il tempo più si fa cattivo, rancoroso e depresso. Ma a questo punto voglio accogliere io la provocazione e buttare lì un piccolo elemento di polemica, e cioè: proprio perché Roma è il posto che sappiamo, proprio perché Roma è la città dello sfascio e dello sfacelo, proprio perché Roma non sarà mai Milano (nel bene e nel male), forse è meglio dimenticarsi tutti quei tragicomici tentativi di “milanesizzazione” che ogni tanto spuntano qua e là, e che alla fine si risolvono in trashate che in questa sede preferirei non commentare.
In cinque anni di Not come avete visto cambiare Roma culturalmente?
Devo dire che, al netto di tutto quello che ci siamo detti prima, Roma resta una città culturalmente molto vivace, attiva, attenta… Noi con Not e NERO giriamo abbastanza l’Italia e notiamo sempre come il pubblico romano sia tra i più – come dire – “preparati”, forse proprio perché non condizionato da quei meccanismi di hype che altrove sono più evidenti. È vero, non hai ogni settimana il live della Nyege Nyege o della PAN, ma c’è tutta una rete di realtà, librerie, collettivi, riviste, situazioni varie, che comunque portano avanti discorsi interessanti e che per noi sono fonte di ispirazione. Ti faccio due esempi lontanissimi tra loro proprio perché a prima vista non condividono molto, ma con cui come NERO abbiamo avuto a che fare negli ultimi mesi: Short Theatre, l’ormai storica rassegna di performance art al Mattatoio; e Il Pasto Nudo, uno spazio a Centocelle che lo scorso giugno si è auto-organizzato una piccola tre-giorni chiamata Interzona. Nel primo caso, hai un festival più istituzionale che comunque s’è beccato gli strali di Franco Cordelli perché troppo “incomprensibile”. Nel secondo, hai una realtà totalmente underground e militante che se ne frega di sponsor e bandi del Comune. È stato bello partecipare a entrambi.
Da un punto di vista più strettamente musicale, avete visto emergere nuovi suoni o tendenze "romane" e morirne altre? Siamo ancora la città della cassa dritta techno (e forse un po' dell'hip hop)?
Ma siamo sicuri che la techno tiri ancora? In ogni caso: tra i fenomeni più recenti, ti direi tutto il giro (post)-hyperpop che si è raccolto attorno alla compilation DanzƏ. Poi sarei curioso di sapere se e dove esiste una scena drill visto che, almeno a prima vista, da Roma non mi sembra sia ancora arrivato granché.
Qual è e dove si trova l'intellighenzia di Roma?
L’unica intellighenzia degna di questo nome è ovviamente quella che si ritrova da Hop Corner in quel di Torpignattara, dove basta andare in un qualsiasi giorno della settimana e ti ritrovi Elvira Del Guercio che discetta di pornoavanguardie con Demented Burrocacao mentre il vate nietzschiano Francesco D’Achille serve ai tavoli imbastendo lezioni su Furio Jesi agli incolpevoli bimbi che escono dall’oratorio di fronte, disturbando le lezioni di stile della fashion serial killer Yulia Kachan.
Qual è stato il rapporto di Not con Roma in questi primi cinque anni? Di scoperta, di attrito, di pacifica e neutrale convivenza? Come pensi si sia inserito il lavoro di Not nel tessuto cittadino?
Direi che è stato un buon rapporto, no? Un sacco di realtà ci hanno supportato, anche storiche – penso a tutto il lavoro fatto con l’infoshop del Forte Prenestino – e speriamo nel nostro piccolo di aver restituito qualcosa in cambio. AMMASSO in fondo è un po’ anche questo: il nostro personale “grazie” a chi in questi cinque anni ci è stato accanto.
Abbiamo parlato molto di musica e musicisti, per quel che riguarda penne e menti invece? Avete intercettato idee e contributi validi in città?
Sarebbe una lunga lista, ti dico i primi che mi vengono in mente: la nuova scena “apocalittica” guidata da Claudio Kulesko e Simone Sauza, Fernanda Fischione e Chiara Comito che hanno fondato un progetto splendido come Arabpop, tutto il pianeta Griot capitanato da Johanne Affricot, e poi ovviamente il giro di Droga Magazine, la migliore non rivista d’Italia.
Chi dovrebbe prima o poi scrivere un saggio o un libro sulla città?
Senza dubbio Lola Kola di Tropicantesimo, con tutti i suoi racconti che vanno dalla Roma anni Ottanta a suon di house ed Energie (il negozio di via del Corso) al degrado (in tutti i sensi…) pignetaro degli anni 2000. Anzi, ora che ci penso potremmo chiederle di scrivere le sue memorie per Not… Spero che nessun editore ci rubi l’idea.
Se fossi sindaco per un mese (in bocca al lupo!) da quale quartiere e genere musicale rifonderesti la vita musico-culturale di Roma?
Negli ultimi anni principale obiettivo delle famigerate “istituzioni” pare essere stato intralciare, ostacolare o direttamente chiudere alcune delle realtà più vitali della città. Basterebbe lasciare in pace quello che di buono si muove che già sarebbe un gran risultato. Detto questo: una cosa che eviterei come la morte è proprio la retorica dei “villaggetti creativi” che già ha prodotto i danni che sappiamo in posti tipo il Pigneto, e il cui unico risultato è stata un’invasione di costosissimi cocktail bar con il menù scritto in stile Luca Barcellona sulle lavagne. Perdonate l’espressione, ma ne ho davvero le palle piene della perenne ricerca del “nuovo Pigneto”. Quando ero ragazzino uno dei posti dalla programmazione più interessante in città era, che ne so, il centro sociale Auro e Marco a Spinaceto. Vuoi gentrificare Spinaceto? Auguri! È davvero deprimente l’idea che, se la sera vuoi fare qualcosa, l’unica opzione che hai è andare per isole pedonali varie perché è lì che ci stanno i baretti con spritz. Io abito a Roma Est da sempre e sono ovviamente felicissimo di avere dietro casa posti come il Fanfulla, il 30Formiche, Tuba o Kif Kif, perché sono tra i posti più belli, stimolanti e anche divertenti dell’intera città. Ma Roma non può essere solo Roma Est. E a sua volta (per tornare al parallelo con Milano di cui sopra), Roma Est non può essere No.Lo. O meglio: se No.Lo. sta per “Nord di Loreto” allora lanciamo un bel “Su.Ca.” (“Sud della Casilina”), sbarazziamoci una volta per tutte del vetusto spettro dell’apericena, organizziamo un festone sul Trenino Giallo e da lì sparpagliamoci per l’intera città, da Magliana a San Basilio, da Cinecittà a Primavalle.